domenica 27 febbraio 2011

La betulla degli sciamani



La betulla (Betula alba) è considerata fra gli sciamani siberiani l’Albero cosmico. Eppure non è gigantesca, raggiungendo al massimo i 25 metri d’altezza, né longeva perché la sua vita media supera raramente il secolo. Sono probabilmente il coloro bianco-argenteo del tronco, l’aerea luminosità e anche la resistenza al freddo, che le consente di giungere sino al limitare della tundra, ad aver evocato questo simbolo.
Quest’albero fu al centro di una straordinaria iniziazione che ebbe come protagonista un futuro sciamano dei samoiedi Avam, in Siberia. Malato di vaiolo, rimase in uno stato di totale incoscienza per tre giorni, alla fine dei quali corse il rischio di essere seppellito. Durante quel periodo ebbe luogo la sua iniziazione. Condotto in mezzo a un mare, udì la voce della Malattia che gli diceva: “Dai Signori dell’acqua riceverai il dono dell’iniziazione sciamanica. Il tuo nome di sciamano sarà “Colui che s’immerge”. Egli uscì dall’acqua e salì su un monte dove incontrò una donna nuda, probabilmente la Signora dell’Acqua, che gli permise di succhiare latte dai suoi seni per prepararsi alle gravi prove che avrebbe dovuto affrontare. Poi il marito della donna, il Signore degli inferi, gli dette due guide, un topo e un ermellino, per guidarlo nel mondo sotterraneo.
Quando l’uomo ebbe raggiunto un luogo elevato, le guide gli mostrarono sette tende dai tetti lacerati. Entrò nella prima e vi trovò gli abitanti degli inferi e gli uomini della Grande Malattia. Questi ultimi gli strapparono il cuore per poi gettarlo in una marmitta. Nelle altre tende conobbe il Signore della pazzia e i Signori di tutte le malattie nervose e di quelle che colpiscono i cattivi sciamani. Così ebbe modo di apprendere il significato dei diversi malanni che torturano gli uomini e le terapie per guarirli.
L’uomo, preceduto sempre dalle sue guide, giunse poi nel Paese degli Sciamani-Donne, che gli fortificarono la gola e la voce. Fu condotto subito dopo in un’isola posta al centro di uno dei Nove Mari, dove un giovane albero di betulla era così alto da toccare il cielo: era l’Albero del Signore della terra, circondato dai Nove Mari, su ciascuno dei quali nuotava una specie di uccello con i suoi piccoli: anatre, cigni e sparvieri.
Dopo averne visitato le acque, alcune delle quali salate e altre talmente calde da non potersi avvicinare alla riva, alzò la testa e vide sulla cima della betulla uomini appartenenti a popoli diversi. “È stato deciso” risuonò una voce “che avrai la cassa di un tamburo fatto con rami di quest’albero”. Poi egli cominciò a volare con gli uccelli di quei mari allontanandosi dalla riva mentre la betulla gli gridava: “Il mio ramo è caduto or ora: prendilo e fa’ di esso il tamburo che dovrà servirti per tutta la vita”.
Dal ramo si ripartivano tre ramoscelli con i quali il Signore dell’Albero gli ordinò di costruire tre tamburi. Sarebbero stai custoditi da tre donne per farne un uso speciale: il primo per praticare lo sciamanismo sulle donne partorienti, il secondo per guarire i malati, l’ultimo per ritrovare gli uomini che si fossero sperduti fra la neve.
Il Signore dell’Albero assegnò dei rami anche a coloro che stavano sulla cima della betulla; poi, uscendo con sembianze umane dal tronco fino a metà busto, soggiunse: “Soltanto un ramo non do agli sciamani, perché lo riservo agli altri uomini. Con questo essi potranno costruire delle abitazioni e utilizzarlo per le loro necessità. Io sono l’Albero che dà la vita a ogni essere umano”.
Stringendo il ramo l’uomo era pronto a rimettersi in viaggio, quando udì nuovamente una voce che gli rivelò le proprietà medicinali delle sette piante, trasmettendogli anche alcune istruzioni nell’arte dello sciamanismo.
Ripreso il cammino, giunse a un mare sconfinato dove trovò degli alberi e sette pietre che a turno gli parlarono. La prima, dai denti simili a quelli dell’orso e con una cavità che poteva essere contenuta in un cesto, gli rivelò di essere la pietra che premeva la terra: il suo peso sui campi li proteggeva dal vento che avrebbe potuto spazzarli via. La seconda serviva per fondere il ferro. L’uomo restò sette giorni con le pietre imparando da loro ciò che poteva servire nel mondo degli uomini.
Le due guide lo condussero poi su un monte alto e tondeggiante, dove egli penetrò in una caverna luminosissima, rivestita di specchi. Al centro vi era qualcosa di simile a un fuoco, ma non era fuoco, era una luce che proveniva dall’alto attraverso un’apertura. Vi erano anche due donne nude, ma ricoperte di peli (personificazioni della Madre degli Animali), che partorirono: la prima due renne come animali sacrificali; la seconda altre due renne per nutrire gli uomini e aiutarli nel lavoro quotidiano. Entrambe gli donarono anche un loro pelo che gli sarebbe servito per sciamanizzare.
Concluso questo incontro, l’uomo raggiunse un deserto da dove si scorgeva una montagna. In tre giorni arrivò e penetrò all’interno. Qui trovò un uomo nudo che manovrava un mantice. Sul fuoco vi era un calderone “grande come la metà della terra”. Appena l’uomo nudo lo ebbe scorto, lo afferrò con una tenaglia enorme, gli tagliò la testa, fece il suo corpo a pezzetti e lo gettò nel calderone facendolo bollire per tre anni. Mise invece la testa su una delle tre incudini che si trovavano in quel luogo – incudine destinata a forgiare gli sciamani migliori – e le diede una nuova forma. Poi la gettò in una delle tre marmitte che si trovavano poco distanti – quella che conteneva l’acqua più fredda – e gli rivelò che quando uno sciamano era chiamato a curare qualcuno, la sua opera sarebbe risultata inutile se l’acqua fosse stata molto calda; se fosse stata tiepida, l’avrebbe potuto guarire; se fosse stata invece fredda, l’uomo sarebbe stato sano.
Poi il fabbro ripescò le sue ossa galleggianti su un fiume, le ricompose e le ricoprì di carne. Ma dopo averle contate dichiarò che ve ne erano tre di troppo. Per questo motivo l’uomo avrebbe dovuto procurarsi tre costumi da sciamano. Gli forgiò la testa mostrandogli come si potessero leggere le lettere che conteneva; gli cambiò gli occhi per permettergli di vedere durante i futuri “viaggi sciamanici” con gli occhi mistici e infine gli forò le orecchie permettendogli di “capire il linguaggio delle piante”.
L’uomo, diventato sciamano, si ritrovò sulla vetta di un monte per risvegliarsi infine nella yurta, accanto ai suoi parenti, pronto a compiere i “viaggi sciamanici” senza mai stancarsi.
Che significa tutto ciò? “Si vede che l’estasi iniziatica” spiega Mircea Eliade” ripete fedelmente certi temi tipici: l’aspirante incontra varie figure divine (la Signora delle Acque, il Signore degli Inferi, la Signora degli Animali) prima che i suoi animali guida lo conducano al centro del Mondo, sulla vetta della Montagna cosmica dove si trovano l’Albero del Mondo e il Signore universale; dall’Albero cosmico e dalle mani dello stesso Signore egli riceve il legno per costruirsi il tamburo; esseri semidemonici gli rivelano la natura e la terapia di tutte le malattie; infine altri esseri demonici gli tagliano il corpo a pezzi, che poi essi cuociono e sostituiscono con organi migliori. Ciascuno di questi elementi del racconto iniziatico è coerente e s’inquadra in un sistema simbolico o rituale ben noto nella storia delle religioni.”
Nel racconto già si delinea la figura dello sciamano capace di passare da una regione cosmica all’altra, dalla Terra o al Cielo o dalla Terra agli Inferi, poiché conosce il mistero della “rottura dei livelli”. Egli si pone nel centro del Mondo e attraverso l’Albero cosmico, il pilastro centrale, compie l’ascensione ai cieli o la discesa agli inferi per divinare o curare un malato recuperando l’anima sfuggita al corpo.
I siberiani sostengono infatti che quando il dio supremo, Ajv o Ajv tojen, creò lo sciamano, piantò nella sua dimora celeste una betulla a otto rami sui quali pose dei nidi dove si trovano i figli del Creatore.

L’iniziazione rituale presso i Buriati
Anche nelle iniziazioni rituali dei Buriati la betulla svolge un ruolo importante. Alla vigilia della cerimonia alcuni giovani sotto la guida di uno sciamano si recano a tagliare nel bosco, dove sono sepolti gli abitanti del villaggio, alberi di betulla saldi e diritti e placano gli spiriti del luogo con offerte di carne di montone e di tarasun.
La mattina del giorno di festa viene fissata nella yurta, la tenda del futuro sciamano, una robusta betulla con le radici nel focolare e la cima che emerge dall’orifizio superiore, il cosiddetto buco del fumo. Essa viene chiamata “il custode della porta” perché apre allo sciamano la soglia del Cielo.
Le altre betulle sono piantate nel luogo in cui si svolgerà la cerimonia iniziatica. Fra queste figura l’albero in cui il neofita dovrà arrampicarsi. Dalla betulla principale, quella situata all’interno della yurta, due nastri, l’uno rosso e l’altro turchino, si allungano fino ad abbracciarsi a tutte le altre disposte all’esterno: sono il simbolo dell’arcobaleno, della via attraverso la quale lo sciamano raggiunge il Cielo.
Dopo i rituali sacrifici e le cerimonie di purificazione il “padre sciamano” sale su una delle betulle e pratica nove incisioni sul tronco, verso la cima, a simboleggiare i nove cieli. Scende e si siede su un tappeto che i suoi “figli” hanno disposto lì sotto. Poi a salire sull’altro è il candidato seguito dagli sciamani. È dunque evidente che la betulla simboleggia l’Albero cosmico o Asse del Mondo: arrampicandovisi lo sciamano compie un viaggio estatico

Da: Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante di Alfredo Cattabiani

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