venerdì 11 febbraio 2011

I compiti di Vassilissa – Seconda parte

Il sesto compito: selezionare e separare
A Vassilissa si chiede di separare quattro sostanze: il frumento buono dal cattivo, i semi di papavero dalla sporcizia. La bambola intuitiva completa la selezione. Talvolta questo processo selettivo avviene a un livello così profondo che arriva appena alla consapevolezza, finché un bel giorno…
È uno dei più bei fraseggi della storia. Il frumento buono, quello toccato dalla ruggine, i semi di papavero e l’immondizia sono tutti resti di un’antica farmacopea. Sono usati come balsami, unguenti, infusioni e impiastri per trattenere altre medicine sul corpo, e come metafore sono anche medicine per la mente; alcune nutrono, altre danno il riposo, alcune provocano languore e altre stimolano. Sono sfaccettature dei cicli della Vita/Morte/Vita. La Baba Jaga non soltanto chiede a Vassilissa si separare questo da quello, di sapere la differenza tra cose dello stesso genere – come tra il vero amore e il falso amore, o la capacità di nutrire la vita con la vita danneggiata – ma le chiede anche di distinguere una medicina dall’altra.

Il settimo compito: domande sui misteri
Vassilissa fa domande sui cavalieri che ha incontrato mentre cercava la capanna della Baba Yaga: l’uomo bianco sul cavallo bianco, l’uomo rosso sul cavallo rosso, l’uomo nero sul cavallo nero. La Baba Yaga, come Demetra, è un’antica dea madre-di-cavalli, associata con il potere e la fecondità della giumenta. La capanna della Baba Jaga è una stalla per i vari cavalli e cavalieri colorati. Le varie coppie sollevano il sole, gli fanno percorrere il cielo e riportano l’oscurità della notte. Ma non finisce qui.
I cavalieri nero, rosso e bianco sono simboli degli antichi colori che connotano la nascita, la vita e la morte. Rappresentano anche antiche idee sulla discesa, la morte e la rinascita – il nero per dissolvere gli antichi valori, il rosso per il sacrificio di illusioni preziose, e il bianco per la nuova luce, la nuova conoscenza che viene dall’aver sperimentato i primi due.
In epoca medievale si usavano i termini nigredo, nero; rubedo, rosso; albedo, bianco. Descrivono un’alchimia che segue il circuito della Donna Selvaggia, l’opera della Madre Vita/Morte/Vita. Senza i simboli dell’aurora, della luce che si diffonde, e della misteriosa oscurità, non sarebbe quella che è. Senza la speranza che ci nasce nel cuore, senza la luce, non importa se del sole o di una candela, capace di guidarci nel cammino, senza la notte in cui tutto trova lenimento, da cui tutto può nascere, neanche noi potremmo trarre beneficio dalla nostra natura selvaggia.
Nel racconto i colori sono estremamente preziosi, perché tutti hanno la loro natura di morte e la loro natura di vita. Il nero è il colore del fango, del fertile, della materia fondamentale in cui le idee vengono seminate. Ma il nero è anche il colore della morte, l’oscuramento della luce. E il nero ha ancora un altro aspetto: è anche il colore associato al mondo tra i mondi su cui sta La Loba – perché il nero è il colore della discesa. Il nero è la promessa che presto conoscerete qualcosa che vi era ignoto.
Il rosso è il colore del sacrificio, della collera, del delitto, dell’essere uccisi. Il rosso è anche il colore della vita vibrante, dell’emozione dinamica, dell’eccitazione, dell’eros e del desiderio. È il colore considerato una medicina per il malessere psichico, un colore che eccita l’appetito. In tutto il mondo esiste un personaggio noto come la madre rossa. Non è altrettanto nota come madre nera o madonna, ma è colei che osserva “le cose che vengono”. A essa in particolare si rivolgono coloro che stanno per partorire, perché chiunque lasci o arrivi in questo mondo deve attraversare il suo fiume rosso. Il rosso è la promessa di una prossima nascita.
Molti frammenti e favole derivano dalle antiche “dee rosse”, che sono divinità che governano l’intero spettro della trasformazione femminile – tutti eventi “rossi” – dalla sessualità alla nascita all’erotismo, e originariamente parte dell’archetipo delle tre sorelle (nascita, morte e rinascita), nonché dai miti sul sole che sorge e muore diffusi in tutto il mondo.
Il bianco è il colore del nuovo, del puro, dell’intatto. È anche il colore dell’anima libera dal corpo, dello spirito non più ingombrato dal fisico. È il colore del nutrimento essenziale, del latte materno. Per contro, è anche il colore dei morti, delle cose che hanno perduto il roseo flusso della vitalità. Con il bianco c’è per un momento la tabula rasa, la pagina bianca. Il bianco è la promessa di sufficiente nutrimento perché le cose ricomincino.
Come tutte le donne sanno, il nero rappresenta il materiale perduto dell’utero che non è gravido. Il rosso simboleggia sia la ritenzione del sangue nell’utero durante la gravidanza sia la macchia di sangue che annuncia l’inizio del travaglio e dunque l’arrivo di una nuova vita. Il bianco è il latte materno che fluisce per nutrire il nuovo arrivato. Questo è considerato un ciclo completo di trasformazione intensa. Questo è considerato un ciclo completo di trasformazione intensa. L’alchimia potrebbe essere un successivo tentativo di creare un recipiente simile all’utero, e un’intera gamma di simboli e azioni che si avvicinano ai cicli del mestruo, della gravidanza e dell’allattamento.
Anche Vassilissa e la sua bambola sono vestite di rosso, bianco e nero: esse sono gli anlagen alchemici. Insieme fanno sì che Vassilissa sia in erba la Madre Vita/Morte/Vita. Ci sono due epifanie nella storia. La vita di Vassilissa è rivivificata dalla bambola e dall’incontro con la Baba Jaga, e quindi attraverso tutti i compiti che esegue. Ci sono anche due decessi nella storia: muoiono l’originaria madre troppo buona e la famiglia acquisita. Pure ci rendiamo facilmente conto che sono decessi utili, che permettono alla ragazza una vita più piena.
Vassilissa fa domande sui cavalieri ma non sulle mani.
Cercare di comprendere il mistero dei servitori che appaiono e scompaiono sotto forma di mani è come cercare di comprendere in assoluto il nucleo del numinoso. Avvertendola di non porre la domanda, la bambola e la Baba Jaga mettono Vassilissa in guardia dal richiamare troppa numinosità dal mondo sotterraneo tutta in una volta; e questo è giusto, perché, pur visitandolo, non possiamo lasciarci intrappolare laggiù.

L’ottavo compito: stare a quattro zampe
Alla Baba Jaga ripugna la benedizione della mamma morta e dà a Vassilissa la luce – un teschio infuocato su un bastone – e le dice di andarsene.
Sebbene Baba Jaga possa soffiare l’alito della vita su un topolino con infinita tenerezza, la dolcezza e la luce non la riguardano a lungo. Lascia tutto ciò alla psiche personale. In questo senso, si potrebbe dire che sa stare abbastanza bene nel suo territorio, il mondo sotterraneo della psiche. Il territorio della madre troppo buona è quello in superficie. Se la dolcezza può stare nel selvaggio, il selvaggio non può restare troppo a lungo nella dolcezza.
Il teschio con la luce è un simbolo ancestrale, le ossa erano considerate agenti per richiamare gli spiriti, e i teschi erano la parte più importante.
Si credeva che la sapienza speciale e atemporale dei vecchi continuasse a vivere nelle loro ossa dopo la morte. Il teschio è considerato la volta che ospita un resto potente dell’anima del defunto… che, su richiesta, può richiamarne l’intero spirito, il tempo di consultarlo. È facile immaginare che l’Io-anima viva proprio nella cattedrale ossea della fronte, con gli occhi come finestre, la bocca per porta e le orecchie come imposte.
Quando Baba Yaga dà a Vassilissa un teschio acceso, le offre un’icona, da donna vecchia, “un sapiente ancestrale” da portare con sé per la vita. La inizia a un’eredità matrilineare di sapienza, che si mantiene integra e fiorente nelle caverne e nei canyon della psiche.
Si allontana dunque nella buia foresta con il teschio sul bastone. È l’ascesa dall’iniziazione dell’intuito profondo. L’intuito è stato incastonato in Vassilissa come una preziosa pietra al centro della corona. La donna che è arrivata a questo punto è evidentemente riuscita a staccarsi dalla protezione della sua madre interiore troppo buona, ha imparato ad aspettarsi dal mondo esterno avversità che saprà affrontare in modo potente e non complice. È diventata consapevole della sua matrigna e delle sorellastre inibitorie, e della distruzione che vorrebbero procurarle.

Il nono compito: riplasmare l’Ombra
Vassilissa è sulla via di casa con il teschio, ha la tentazione di gettarlo via, ma quello la rassicura. E a casa osserva le sorellastre e la matrigna e le riduce in cenere. Vassilissa vivrà a lungo felice e contenta.
Una luce accesa proviene dagli occhi, dalle orecchie, dal naso, e dalla bocca del teschio. È la rappresentazione di tutti i processi psichici connessi alla discriminazione, al culto più antico e alla memoria. Il teschio è un’ulteriore rappresentazione dell’intuito – non fa del male alla Baba Jaga o a Vassilissa – e ha una sua capacità di discriminazione. Può udire, vedere, odorare e gustare coi suoi sensi ardenti, possiede il suo Io.
Per un attimo ha paura del potere che porta, e pensa di gettar via il teschio. Con questo potere formidabile ai suoi ordini, non stupisce che il suo io pensi che forse sarebbe meglio, più facile e più sicuro scardinare quella luce ardente, perché è tanta, e grazie a lei Vassilissa è diventata così grande. Ma una voce soprannaturale proveniente dal teschio le dice di star calma e di andare avanti. Lei è in grado di farlo.
Mentre va per la foresta, indubbiamente pensa anche alla famiglia acquisita che l’ha mandata a morire, e, se lei ha buon cuore, il teschio non è altrettanto buono: deve vedere perfettamente. Così, quando ha voglia di buttarlo via, sappiamo che pensa al dolore causato dal conoscere alcune cose su se stessi e gli altri, sulla natura del mondo.
Lasciar morire le cose è il tema della fine del racconto. Vassilissa ha imparato bene. Si agita quando il teschio fa bruciare le maligne? Neanche per idea. Muoia dunque, quel che deve morire.
Come prendere una simile decisione? Si sa. La Que Sabé sa. Interrogatevi dentro per avere il suo consiglio. È la Madre delle Età. Nulla la sorprende. Ha visto tutto. Per le donne in genere lasciar morire non va contro la loro natura ma solamente contro la loro educazione. La cosa può essere capovolta. Noi tutte sappiamo in los ovarios quando è il tempo della vita, quando è il tempo della morte. Magari cerchiamo di ingannare noi stesse per vari motivi, ma sappiamo.
Alla luce del teschio fiammeggiante, sappiamo.

Da Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés

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