lunedì 7 gennaio 2013

I Re Magi


Portatori di doni per eccellenza sono i Re Magi. Secondo la tradizione cristiana, alcuni “Magi” (non si sa bene cosa si intenda con questa parola) guidati da una stella (forse una cometa), giunsero da oriente in Palestina, fino alla grotta di Bethlem, per riconoscere e recare omaggio e doni al Messia, da poco nato.
Non sappiamo quali siano le fonti su cui è costruito questo racconto del Vangelo. Al riguardo, nessuno storico e nessun teologo sanno rispondere con esattezza. È anche difficile definire con precisione quale fosse l’esatto significato del termine “Magi”; con tutta probabilità questo vocabolo è di origine cristiana. Scrive Alfredo Cattabiani:
“…Mago deriva da Mag che significa letteralmente dono ed esprime un particolare valore religioso di cui parlano le Gatha dell’Avesta, il complesso dei libri sacri dello Zoroastrismo. Lo stato di Mag separa ciò che è spirituale da ciò che è corporeo, porta in diretto contatto con le energie divine; sicché il mago è colui che partecipa del Mag, acquisisce un potere magico per mezzo del quale può ottenere un’illuminazione, una conoscenza fuori dell’ordinario, una visione e percezione che non son mediate né trasmesse dagli organi fisici né dai sensi”.
Secondo Erodoto invece, con il titolo di “Magi” venivano identificati gli appartenenti ad una tribù o ad una casta sacerdotale del popolo della Media o Madia, antica regione della Persia, da cui “Madi o Magi” per variazione di pronuncia o di trascrizione.
Questi individui, per diritto di casta o perché iniziati ai misteri sacri e alle prime conoscenze scientifiche, avrebbero avuto una grande influenza sulle autorità della Persia e di altre terre d’oriente.
La maggior parte degli studiosi della materia ritiene abbastanza probabile la tesi che li vuole sacerdoti di Zarathustra, oppure indovini, astrologi o maghi, secondo la più facile interpretazione di Greci e Latini.
Ma anche la parola “Mago” si confonde con “Magi” e questa trasposizione di termini si è trasmessa fino ai giorni nostri. Con l’espressione “mago” viene infatti indicato sia il concetto di “grande sapiente”, sia quello più popolare di “autore di incantesimi o prodigi”, entrato ormai nell’uso comune.
L’espressione “Re Magi” potrebbe anche significare “I Magi del Re” o “reali” e la parola “Re” avere semplicemente valore di aggettivo.
Secondo l’interpretazione biblica più diffusa, i Magi del testo evangelico sarebbero uomini di scienza e di preghiera, forse anche astrologi, quindi saggi o sacerdoti di rango, dignitari di corti imperiali, incaricati di fornire consigli ai regnanti, di trarre auspici dagli astri e di interpretare gli eventi. Sono anche chiamati “Re”, poiché collocati ai vertici delle gerarchie umane, al fianco dei sovrani, che all’epoca erano spesso personificazioni delle divinità.
Leggendo attentamente la Bibbia, troviamo personaggi con analoghe caratteristiche alla corte del Re di Babilonia Baldassar (Daniele 5, 7-8).
“…Allora il Re (Baldassar) si mise a gridare, ordinando che si convocassero gli astrologi, i Caldei e gli indovini…
…. Il Re disse ai saggi di Babilonia: Chiunque leggerà quella scrittura e me ne darà la spiegazione, sarà vestito di porpora, porterà una collana d’oro al collo e sarà il terzo signore del regno”.
(Daniele 5,7)
Questi versi dell’Antico Testamento confermano l’interpretazione che stiamo dando alla parola “Magi”. I “sapienti” di corte ottenevano i massimi onori dal sovrano che li elevava a rango reale, rivestendoli d’oro e di porpora, emblemi tipici della regalità.
Come i sovrani rendevano loro omaggio, considerandoli loro pari, così i Magi, quali sommi sacerdoti, rendevano omaggio ai Re, legittimandone la sovranità e la sacralità.
In oriente, era diffusa la credenza che alla nascita di un grande personaggio coincidesse l’apparizione di un nuovo astro. Secondo la tradizione, fu una stella misteriosa a colpire l’attenzione dei Magi e a indicare loro la strada per raggiungere il nuovo Re, nato da poco.
La storia dei Magi, che tanta suggestione suscita, è riportata solo dal Vangelo di Matteo.
Quanti erano i Magi? Il Vangelo di Matteo non lo dice e non dice neppure se erano o meno re. Uno scritto apocrifo del V secolo attribuisce loro una regalità e una antica tradizione popolare che risale al III secolo ne stabilisce il numero in tre (numero perfetto) in relazione ai tre doni. Secondo la Chiesa armena, i Magi erano addirittura 12 (come gli apostoli), mentre altri sostenevano che fossero solo due. Nell’Alto Medioevo fiorirono numerose leggende legate alla storia dei Magi, finché Giovanni da Hildesheim, un frate carmelitano, morto nel 1375, dopo aver girato in lungo e in largo l’Europa, volle sintetizzarle tutte in un suo scritto dal titolo appunto Storia dei Re Magi. In questa breve opera confluiscono miti remoti che si perdono sulle vie carovaniere dell’oriente, il culto iranico e turco-mongolo del fuoco, l’invasione dei Tartari.
Giovanni da Hildesheim fissò il numero dei Magi in tre: Melchiorre re della Nubia e dell’Arabia, Baldassarre re di Caldea, Gaspare re dell’Etiopia.
Ai Magi, il Bambino si manifesta nella sua umanità, nella sua regalità e nella sua divinità: è l’Epifania, parola greca che significa appunto manifestazione, dalla quale i Magi prendono atto con la prostrazione e l’adorazione del Dio-Re dei Giudei-Bambino. Infine, questi “sovrani” sapienti, esperti nei simboli della conoscenza sacra, offrono al Messia tre doni: incenso, oro e mirra. Il significato mistico ed esoterico delle tre sostanze si è consolidato nella tradizione: incenso-divinità, oro-regalità e mirra-umanità. Nel mondo antico, infatti, l’incenso veniva offerto agli dei, l’oro era il tributo che si doveva al re e l’attributo della sovranità, mentre la mirra era una sostanza utilizzata sia come potente analgesico, sia come balsamo nella sepoltura dei morti. La mirra è dunque simbolo della sofferenza e della fragilità della condizione umana. I tre doni assumono quindi un valore misterico e vengono offerti al Bambino come rito di iniziazione alla vita messianica e come riconoscimento delle tre dimensioni, divina, regale ed umana, del Cristo. Ancor secondo Giovanni da Hildesheim, che riprende un passo di Fulgenzio (Serm. IV de epih. 9, PL, LXV, 736), l’allegoria dei tre doni sarebbe leggermente diversa: l’incenso si riferirebbe al sacrificio, l’oro al tributo e la mirra alla mortalità.
I Magi, quali Re o reali, delle grandi nazioni conosciute nell’antichità, potrebbero anche rappresentare le tre razze umane più diffuse allora nel bacino mediterraneo: la bianca, la nera e l’orientale.
La molteplicità delle interpretazioni e le numerose versioni e leggende sorte intorno a queste figure hanno sviluppato nel Medio Evo un importante ruolo dei Re Magi nel mito, nella tradizione popolare e nel folklore delle feste natalizie. Un vero e proprio culto dei Magi si è sviluppato in Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali, per ricordo di leggende bizantine che ebbero diffusione in varie zone della penisola nei secoli del primo millennio. Secondo questa tradizione, Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, aveva rinvenuto miracolosamente i resti mortali dei tre Magi e li aveva fatti tumulare nella grande basilica di Santa Sofia a Costantinopoli (l’odierna Istanbul). Successivamente, donò queste reliquie al vescovo di Milano, Eustorgio, che le fece sistemare in un sarcofago della chiesa detta appunto “dei Santi Re Magi”. Da allora, si diffuse presso i Lombardi una fervida devozione nei confronti dei Tre Re, annoverati insieme agli altri santi e raffigurati spesso con costumi ricchissimi nelle rappresentazioni popolari. Quando Federico Barbarossa invase Milano, volle che le reliquie dei Magi fossero trasportate a Colonia, per privare i Lombardi di quest’oggetto di culto divenuto molto caro alla popolazione milanese. Successivamente la città riuscì a riottenere dai Germanici alcuni frammenti delle reliquie, che tornarono ad essere venerate nel giorno dell’Epifania. Fu proprio in questo periodo che accanto alla venerazione religiosa si sviluppò in Lombardia e in altre regioni del centro-nord la tradizione di far credere ai piccoli che i Re Magi, così come avevano fatto per Gesù Bambino, portassero altri doni anche a tutti gli altri fanciulli che si fossero mostrati buoni e ubbidienti nel corso dell’anno.
Quest’usanza è comune anche a tutti i paesi di cultura ispanica: i regali ai bambini arrivano il 6 gennaio, misteriosamente portati da “los tres Reyes Magos”. La tradizione è particolarmente viva in Spagna e in America Latina. I bambini lasciano le loro scarpette sul davanzale delle finestre e le riempiono con orzo, carote e paglia, per i cavalli o i cammelli dei tre Re. Più amato dai fanciulli, sarebbe Balthasar, che arriva in groppa ad un asino. Sarebbe lui a lasciare materialmente i regali.
Abbiamo così la prima spersonalizzazione della paternità del dono e la prima forma di “paganizzazione” di personaggi, peraltro già ai confini della leggenda. Personaggi che, dal Vangelo di Matteo, subiscono una trasposizione nella sfera secolare, per entrare a far parte del rituale quotidiano della festa. I Re Magi, pur non perdendo il loro ruolo nella tradizione religiosa, entrano a far parte della fiaba, per quanto riguarda questa attribuzione di “portatori di doni”, data loro dalla immaginazione popolare. Di conseguenza, in talune regioni, il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, diviene anche nella consuetudine la festa dei “Tre Re”, con chiaro riferimento ai Magi o, più esplicitamente: “Festa dei doni”, perpetuando quella tradizione già in uso nel mondo romano con i “Saturnalia” e le “Sigillaria”.
Rimane il fatto inspiegabile che i milanesi per secoli chiamarono i tre Re Magi con i nomi di Eleuterio, Rustico e Dionigio.
Eleuterio deriva dal nome greco Ελευθέριος (Eleutherios) che significa letteralmente libero. Il nome era usato come epiteto per Dioniso, per la sua capacità di liberare gli uomini attraverso l'esperienza dell'estasi.
Rustico vuol dire campagnolo ma anche abitante delle campagne, uomo libero e non rinchiuso dentro le mura... della propria mente?
Dionigio rappresenta una variante del nome Dionisio, derivato dal nome greco Dionysos attraverso l'antica forma francese Denis. Il significato è dunque sempre libero come per Eleuterio.
Chissà se questi nomi hanno un senso metafisico o, invece, sono un anelito ed un invito ad un futuro di libertà da parte di un popolo sempre sottoposto ad angherie da parte del tiranno di turno.
Riccardo Taraglio, ne Il vischio e la quercia, Edizioni L’età dell’Acquario, citando Jean Baptiste Bullet, ricorda che nella redazione irlandese del Nuovo Testamento i Magi vengono chiamati druidi. “Durante l’epoca della cristianizzazione d’Irlanda – scrive ancora Taraglio - gli antichi manoscritti cristiani riportano la parola “Druido” utilizzata nel senso di “saggio”, “sapiente” e spesso tale termine viene sostituito da quello di Mago, non nel senso dispregiativo, ma come singolare di Magi, paragonando la saggezza, il valore e l’importanza dei tre uomini che resero omaggio al Maestro Gesù appena nato portando i famosi doni, alle qualità possedute dai Druidi”. Negli anni immediatamente successivi alla cristianizzazione d’Irlanda, i monaci, che erano ancora nella loro grande maggioranza Druidi, hanno cercato di adattare le antiche tradizioni ai testi sacri cristiani. Un esempio eclatante lo troviamo nella trasformazione di Brighit in Santa Brigida, la quale, data l’importanza della Dèa nell’antica religione dei Celti, viene addirittura indicata come la levatrice o la madre adottiva di Gesù. Una leggenda irlandese narra che Santa Brigida giunse alla stalla di Betlemme dove aiutò il bimbo a nascere e gli fece cadere sulla fronte tre gocce di pura acqua di sorgente. Questa narrazione è la versione cristianizzata di un antichissimo mito celtico nel quale il Figlio della Luce (Mabon) veniva salutato alla nascita con la Benedizione della Triplice Purezza (i tre doni dei tre Magi?) fatta tramite tre gocce di saggezza versate sulla sua fronte

Da: La storia di Babbo Natale di Carlo Sacchettoni

http://www.silvanodanesi.info/?page_id=402

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