venerdì 4 gennaio 2013

Spiriti e dee invernali delle Alpi


Udii sul Monte Civrari, fra la valle di Susa e quella di Viù, narrare, con una efficacia insuperabile da un pastore invecchiato fra le montagne, una delle leggende che furono popolari, ed ora vanno perdendosi in quella parte delle Alpi, ed è quella che ricorda la corsa delle fate.
Nel sito ove incontrai costui, i fianchi della montagna aridi e neri si elevavano come una fortezza immensa, dietro la casetta scura ove a sera egli ritirava il gregge. Il paesaggio era tristissimo nella sua imponenza, non vedevansi né campicelli di segala, né pascoli, né distese rosee di rododendri, che mettessero una nota gaia in mezzo alle rupi. Il Richiaglio solo balzava fra i massi accumulati dal precipitare d'una valanga e correva alla valle.
Di notte, in mezzo a quella desolazione, mentre forse la nebbia passava rapidamente nelle gole, fra il chiarore della luna, e spinta dal vento che flagellava le rocce, coprendo la voce monotona del Richiaglio, il vecchio pastore, sgomentato da un rumore di ruote e di sonagli, era uscito dalla povera casa, ed avea visto passare la splendida e meravigliosa corsa delle fate.
Ora noi possiamo sorridere pensando a questa credenza degli alpigiani, ma per intendere tutta la grandiosa poesia del racconto che mi venne fatto lassù, bisognava trovarsi fra i pericoli della montagna, verso i 2000 metri d' altezza, nella solitudine ove non giungeva altro suono di voce umana, ove moriva ogni ricordo della vita cittadina; e mentre il vecchio descriveva la visione apparsagli in quella notte, mi pareva di veder passare le fate colle corone di edelweiss, ritte sui carri di fuoco, in uno splendore di luce, seguite dai folletti nella corsa vertiginosa sulle creste, i colli e le altissime cime.
In questa credenza della corsa notturna delle fate sulle nostre Alpi Graie, che non devesi confondere colla ridda delle streghe, trovasi molta relazione con altre credenze che durano ancora su tutta la catena delle Alpi; e specialmente verso il Tirolo e le regioni austriache, ove si ha viva memoria della dea Bercht, che ebbe un culto esteso nell'antichità e venne ricordata da Tacito.
Le leggende che riguardano questa dea ed il suo seguito sono molte, e vennero raccolte con somma cura, come fiori del passato che la civiltà invadente potrebbe travolgere presto nell'oblio. Esse narrano che, specialmente da Natale all'Epifania, la dea, splendente di viva luce, passa sulle montagne, e col suo seguito di fate e di streghe, va raccogliendo le offerte che gli alpigiani depongono sui tetti delle case. Molte di queste fate sono orribili nell'aspetto, ed hanno lunghi bastoni e sacchi ove mettono i doni. Nel loro viaggio fanno un'infinità di salti.
In altri paesi di montagna, la corsa della dea colle così dette Perchten, avviene, secondo la convinzione dei montanari, nell'ultima notte di carnevale. Allora le fate si dividono in due schiere, in una di queste trovansi le belle, adorne in modo splendido con nastri e fiori, nell'altra sono riunite le brutte, vestite in maniera da mettere spavento; esse sono cariche di catene e di sonagli, e portano una quantità di topi attaccati alle vestì. Le belle hanno un bastone adorno con nastri; le brutte gettano cenere in faccia agli alpigiani, la dea Bercht salta in mezzo ad esse, e dalla minore o maggiore quantità dei suoi salti dipende che il raccolto dell'annata sia per gli alpigiani scarso o abbondante.
Forse come ultimo ricordo delle feste che si dovettero celebrare nei tempi lontani, in onore della possente dea, si usa ancora fra certi alpigiani una danza che prende il suo nome. Questa però non ha nulla di speciale nei movimenti dei quattro ballerini che l'eseguono; essi sono vestiti con abiti ricchissimi, di color giallo e rosso, adorni con nastri, e portano una corona di penne.
Sulle Alpi austriache si crede che nella notte di San .Michele la dea Bercht, sempre fulgente col suo seguito, passi benedicendo i buoni e castigando i cattivi, e la seguono anche dei fanciulli che vanno cantando una tristissima nenia.
Sulle Alpi della Svizzera, credesi che la processione delle fate avvenga nel secondo giorno dell'anno, o nel terzo se l'anno comincia di sabato; però nell'inverno la bella dea ha il suo trono sottoterra, ove trovasi anche il suo gregge; ma essa ritorna pure qualche volta sulla terra vestita con indicibile ricchezza, e getta segala sui campicelli delle montagne, o a Natale, vestita da cacciatrice, corre seguita da una folla di spiriti allegri, ed è speciale protettrice delle buone fanciulle.
Questa dea Bercht cambia nome fra il Reno e l'Elba e si trasforma nella dea Freya che, accanto al fratello Freyr, era nel Walhalla la divinità dalla quale dipendevano la pioggia , la luce del sole, la fertilità della terra e l'amore; ma volgendo ancora verso il gelo dei Nord si trasforma nuovamente e diventa la dea Holda.
Però con qualsiasi nome venga chiamata, è la figura più imponente e bella delle mitologie nordiche, e dicesi che si lascia vedere specialmente nei siti ove furono eretti i suoi templi. Nel Medioevo si volle dare alla sua figura influenza malefica, e si disse che spaventava i fanciulli, mentre pur si credette che sul Horselberg, in Turingia, menasse a sicura rovina coloro che lasciavansi, al pari di Tannhäuser , ammaliare dalle parole mendaci delle belle dee. Anzi sotto questo nuovo aspetto non poche volte essa fu confusa con Venere, ma a dispetto dei racconti che vollero farne un demone malefico, la tradizione popolare la mostra quasi sempre colla sua bellezza serena, coi lunghissimi capelli d'oro e le vesti splendide, sorridente fra le nebbie delle montagne e compagna dei possenti dei Dunar-Thor e Wuothan-Odino.
Nella sua ultima trasformazione nella Scandinavia lontana, la dea Bercht, divenuta Holda, va pur mettendo col suo seguito una vita nuova sulle montagne. Essa appare fra la tristezza del paesaggio nordico vestita d'azzurro, con un lungo velo bianco, ed è la regina degli spiriti della montagna e di tutto un popolo misterioso, che l'accompagna nei suoi viaggi. Anche laggiù protegge le buone fanciulle, e la leggenda narra che se toccasi il suo letto di piume nevica, mentre essa muta rapidamente aspetto. La veste splendida diviene di un bigio terreo, la sua beltà sparisce ed essa mostrasi come un'orrida vecchia dai lunghissimi denti.
Forse in quelle terre lontane sarà compagna del celebre re Jack Frost che, secondo una leggenda inglese, regna all'estremità del Polo Nord. Seduto sul suo trono di ghiaccio, ha un gelido serto che par fatto di brillanti, e asconde la sua altera maestà sotto un velo formato dalle larghe falde di neve, che cadono senza posa dalla volta di cristallo della sua dimora. Quando egli dorme l'Europa si allieta in un mite inverno, ma quando è desto nella fredda stagione, manda coll'alito potente la neve sui paesi lontani.
Ma ritornando alla splendida dea Bercht-Freya-Holda, dirò che nella Scandinavia lontana pare che essa si fermi nell'inverno, secondo la credenza popolare, nell'Engelland o paese degli angeli, che viene anche detto Glasberg o montagna scintillante. Però non è libera nella sua nuova dimora, perchè dei nemici la tengono prigioniera finché dura l'inverno , ed è liberata solo a primavera con tutto il suo seguito, che l'accompagna di nuovo nei suoi viaggi.
L'illustre Mannhardt volle annodare quest'ultima credenza ad un gruppo di miti celebri fra tutti i popoli Arii, e che trovasi specialmente nelle mitologie dell'India vedica e della Scandinavia, ed è quello delle donne simboliche prigioniere dei nani e dei giganti, liberate da Indra.
Qualche volta nelle leggende delle Alpi svizzere, in cui ricordasi la dea Bercht, parmi che essa vada confusa colla leggendaria Berta dai grossi piedi, creduta madre di Carlomagno, e ricordata nei romanzi di - Berte aus grans piés
Fra certe statue sulle porte di grandi chiese gotiche vedesi una figura conosciuta in tutta la Francia, sotto il nome della — reine Pédauque —, e vuolsi che rappresenti la regina Berta, cantata da Adenès, chiamato il re. Anche la dea Bercht in certi racconti ha i piedi deformi, e questo ci prova la confusione che avviene quasi sempre fra diverse leggende assai note fra le genti. Però, trasformatasi in Berta nelle leggende delle Alpi svizzere, viene creduta donna selvaggia e dal volto spaventevole.
Un'altra variante strana nei racconti popolari, intorno alle splendide processioni che vanno sulle montagne, trovasi verso le valli di Pinerolo, ed in essa vediamo una trasformazione assoluta di antichissima credenza pagana, in un'altra tutta cristiana; poiché una leggenda, nota specialmente in Frossasco, non ci mostra le fate alpine in una processione, che partesi il 7 di settembre dal Monviso, e va fino alla Basilica di Superga, ma dice che essa è formata dalle 11.000 vergini che subirono, secondo una pia credenza, il martirio con Santa Orsola. Queste fanciulle hanno in mano un lume acceso, ed in mezzo a tutte le fiammelle che splendono sulle montagne ove passa la processione, vedesi un lume più grosso portato dalla Santa.
Veramente in quella sera si accendono in onore della Madonna innumerevoli fuochi, e chi guardi la catena delle Alpi, nella parte che dal Monviso volge alla Liguria , dietro Pinerolo e Mondovì, può immaginare strane cose, vedendo quale fantastico aspetto danno alle montagne le innumerevoli fiamme che si elevano in lontananza; e queste splendono anche sopra ogni collina, vicino ad ogni villaggio, ad ogni casa, nei vigneti, nei campi e sulle sponde del Tanaro, dalle montagne fino alle città d'Alba e di Bra.
La leggenda sul martirio di Sant'Orsola fu una delle più diffuse nel Medioevo, però la credenza nella processione delle vergini che seguono la Santa, tradisce la sua origine pagana, e si avvicina assai a tutte le altre credenze sparse sulle Alpi, intorno alle processioni delle fate, a quelle dei fantasmi, ed ai cacciatori selvaggi, quando dicesi che di nuovo può essere vista, se il tempo è sereno, nell'ultima notte di carnevale, perché la notte suddetta è appunto una di quelle in cui le leggende note ancora, specialmente sulle Alpi della Svizzera e dell'Austria, fanno apparire in maggior numero tante strane processioni infernali.
Inoltre un mito che sulla Dea Freya raccontava che, col nome di Horsel od Ursel, accoglieva nell'al di là le fanciulle defunte.
In quella notte usavasi pure in quasi tutti i borghi, ed i miseri villaggi dell'estesa catena delle Alpi, di bruciare un fantoccio di paglia in mezzo ad un alto rogo, illuminando di nuovo le montagne: come pure usavasi, anche fra le Alpi, nella notte di San Giovanni.
Sulle Alpi della Svizzera questo costume finì quasi interamente fin dal tempo della Riforma, e vuolsi che ricordasse grandi feste pagane in omaggio alle forze della natura. Pare che in tempi lontanissimi ardevasi una fanciulla o un guerriero sul rogo, divenuto più tardi il trono fiammeggiante dei fantocci.

Da: Leggende delle Alpi di Maria Savi-Lopez


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