martedì 31 dicembre 2013

Le questue di Natale



Per lo più attraverso formule o canti specifici, in cambio di doni (cibo, vino, denaro) i questuanti rendono un servizio alla comunità, promuovendo con il loro augurio la salute e la prosperità (e lanciano la maledizione se non vengono messi in condizione di farlo, cioè se non vengono accolti e non ottengono doni). I gruppi consumano poi in un banchetto comune, a volte aperto ai familiari e ad altri membri della comunità (ad esempio le ragazze), gli alimenti raccolti, mentre il denaro è destinato a celebrazioni liturgiche.
Nell’area inglese il canto di questua prende il nome di carol, un termine che però può essere applicato ad una vasta serie di manifestazioni che, pur in strutture formali differenti, sono presenti in tutta Europa e si realizzano come eventi rituali, soprattutto in connessione con il ciclo del solstizio d’inverno.
“Si tratta”, osservano Roberto Leydi e Sandra Mantovani, “di forme di propiziazione legate a credenze pre-cristiane e ad antichi riti di fertilità”, forme, che con il diffondersi del cristianesimo, “hanno assunto un carattere più o meno esteriore cristiano”. Ciò avviene, in particolare, in riferimento ai canti rituali eseguiti durante il ciclo del solstizio d’inverno. “Queste manifestazioni arcaiche mantengono spesso in modo più o meno esplicito i primitivi caratteri augurali di fertilità, abbondanza e buona salute, propri di una cultura agricola. Tracce dell’origine rituale pre-cristiana sono, del resto, avvertibili in tutte le manifestazioni di “caroling” della tradizione relativamente recente europea che pur si esprime in forme e contenuti di fonte cristiano-medievale”.
Il fatto che nelle sue forme medievali questo tipo di canto si sia soprattutto (anche se non esclusivamente) sviluppato con “riferimento natalizio” si spiega all’interno del sincretismo “per il quale un numero elevato di festività “pagane” hanno trovato (rimanendo nella loro collocazione stagionale originale) nuova definizione e significato in parte rinnovato con la diffusione del cristianesimo. Nelle antiche civiltà agricole il canto del carol era dunque collegato ai riti solari del solstizio d’inverno”. È ovvio che se i canti di questua hanno origine nel mondo precristiano “la diffusione del cristianesimo in Europa abbia provocato profonde trasformazioni nella pratica del “caroling” e, per quanto riguarda i testi, abbia dato vita a una vasta produzione di carols specificamente riferiti all’evento natalizio”.
Anselmo Calvetti scrive che “l’obbligo di dare ai questuanti offerte in cibarie e il potere di costoro di mandare la cattiva ventura a quanti non rispettavano l’obbligo derivavano dai riti precristiani di fare offerte di cibo ai morti in occasione del passaggio dell’anno”, quando i morti tornano per prender parte ai riti di fertilità dei vivi”. Eliade afferma che spesso le offerte rituali, fra cui quelle fatte ai questuanti, “hanno certamente carattere funebre”, aggiungendo che “le zone di interferenza fra culti della fertilità e culti funerari sono tante, e così importanti, che non può far meraviglia se, dopo la simbiosi e fusione, si raggiunge una nuova sintesi religiosa”. I morti, nella concezione degli antichi popoli di agricoltori, continuavano a vivere sottoterra ed erano i custodi dei semi e della vegetazione, tutelavano i raccolti e potevano influire sulla loro riuscita. Nei momenti di passaggio dell’anno, come appunto quello delle “dodici notti”, possono uscire dalle loro dimore sotterranee e penetrare nel mondo dei vivi. E ai morti che tornano si devono fare offerte per ottenere in cambio benevolenza e prosperità, fertilità dei campi e fecondità degli animali e degli uomini.
Così i riti di questua che hanno luogo nel tempo solstiziale, sembrano rappresentare, in origine, il ritorno dei defunti che ci si deve propiziare con la buona accoglienza e le offerte di cibo.
Osserva Carlo Ginzburg:

Fino a non molti decenni fa, in un’area vastissima comprendente parte dell’Europa, dell’Asia Minore e dell’Asia centrale, torme di bambini e di ragazzi durante i dodici giorni fra Natale e Epifania (più raramente a metà quaresima) usavano recarsi di casa in casa, spesso mascherati da cavalli o da altri animali, cantando filastrocche, elemosinando dolci e piccole somme di denaro. Gli improperi e maledizioni che accompagnavano un eventuale rifiuto osservavano l’antica connotazione aggressiva della questua, già registrata da Asterio (vescovo di Amasea, in Cappadocia, il quale in una predica contro la festa delle calende di gennaio, pronunciata il giorno dell’Epifania dell’anno 400, condannava le questue). Generalmente, però, l’elemosina veniva concessa: i questuanti la salutavano con canti augurali per gli abitanti della casa. In qualche caso la consuetudine si è mantenuta fino ai nostri giorni.
Nelle torme di bambini e di ragazzi mascherati che scorrazzavano per i villaggi è stata riconosciuta una raffigurazione delle schiere dei morti, che secondo la tradizione apparivano con particolare frequenza durante i dodici giorni. Le scorribande dei bambini dei paesi di lingua inglese di qua e di là dell’Atlantico, durante la notte di Halloween (31 ottobre), costituiscono un esempio vivente di una consuetudine analoga (1). Il rito apparentemente giocoso della questua avrebbe indotto sentimenti ambivalenti – legati all’immagine ambivalente dei morti.
Queste implicazioni psicologiche sono congetturali; l’identificazione dei questuanti con i morti sembra invece innegabile. Essa tuttavia lascia nell’ombra una questione decisiva: se il significato del rito fosse sempre condiviso esplicitamente dai suoi attori e spettatori.


(1) In realtà le questue rituali della vigilia di Ognissanti e/o del Giorno dei Morti riguardano anche il nostro Paese, non solo come odierna diffusione ormai “globale” della festa anglosassone, ma anche come arcaica tradizione autoctona.

A questa domanda si può rispondere che, almeno nell’Ottocento e nel Novecento, cioè nei due secoli per i quali possediamo testimonianze folkloriche dirette, l’identificazione tra questuanti e defunti non sembra più avvertita né dai questuanti né dagli spettatori. Però in alcuni casi è evidente il legame dei questuanti con il mondo dei morti.
La questua veicola significati legati funzionalmente alla vita e alla rinascita. I morti, a loro volta, attraverso i canti o le formule augurali dei questuanti, assicureranno ai vivi fertilità e fecondità. Ma la questua, al di là del suo significato originario, ha una funzione sociale e relazionale, garantisce la coesione della comunità.

Da Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi