giovedì 30 giugno 2011

Il Graal - IV



La lastra quadrata è il simbolo della terra, in opposizione al cielo, ma è anche, ad un altro livello, il simbolo dell'universo creato, terra e cielo, in opposizione al non-creato e al creatore; è l'antitesi del trascendente. Nell'antica Cina, in Persia e in Mesopotamia l'immagine della terra era quadrata. Essa rappresenta il modello del recinto sacro (Tempio), fondamento della congiunzione dei quattro simbolici punti cardinali, nonché della simmetria dei lati opposti. Se il cerchio è perfetto, il quadrato è giusto, tanto da essere stato adottato dai pitagorici quale simbolo della giustizia; rappresenta quindi la Legge, come normatività interiore, codice esteriore ed ordine concettuale Nelle antiche cattedrali medievali il quadrato funge da immagine del creato a misura d'uomo, al centro del quale viene pensato l'arciere celeste, l'asse del mondo. Il quadrato è una figura antidinamica, ancorata sui quattro lati, rappresenta l'arresto o l'istante isolato. Implica un'idea di stagnazione e di solidificazione, oppure di stabilizzazione. Mentre il movimento scorrevole è circolare e rotondo, l'arresto e la stabilità sono associati a figure angolose, con linee dure e a sbalzi.
Per gli alchimisti e gli ermetisti il quadrato, sormontato dalla croce simboleggiava la pietra filosofale.
Abù Ya'qub dice della tetrade, numero del quadrato, che è il numero più perfetto: il numero dell'intelligenza e il numero delle consonanti del Nome divino ('llh).
La simbologia del quadrato e quella del numero quattro sono spesso associate. Gli Ebrei facevano del Tetragramma il Nome impronunciabile della Divinità (Jhwh). I Pitagorici facevano della tetraktys (e anche del quadrato di quattro, cioè sedici) la base della loro dottrina.
La manifestazione solidificata viene espressa dal solo quadrato, il cui sviluppo va di pari passo a quello delle civiltà sedentarie. Il cerchio simbolo dell'animazione, è d'altra parte la forma abituale dei santuari presso i popoli nomadi, mentre il quadrato è la forma dei templi presso i popoli stanziali.
Le età del mondo, la vita umana e i mesi lunari sono ritmati sul numero quattro, mentre le quattro fasi del movimento ciclico vengono espresse dal cerchio

Da:
http://www.fralenuvol.it/albero/sapere/significato/simboli/quadrato

Il Graal - III


Guenon considerando i due aspetti peculiari del Graal, e cioè quelli dello stato primordiale e della tradizione primordiale, fa notare che questi si riferiscono al duplice senso della parola Graal.
Essa significa, al tempo stesso, vaso (grasale) e libro (gradale).
Il primo di questi aspetti, esprime esplicitamente l'idea dello stato, mentre il secondo è intimamente connesso con il concetto di tradizione.
Qui viene da pensare ad altri simbolismi dove la pietra ed il libro si fondono in uno stesso simbolo.
Il libro diventa allora una scrittura tracciata dal Cristo stesso sulla coppa, oppure le Tavole della Legge di Mosè, o l'enorme pietra preziosa con scolpite alcune figure rappresentanti i simboli del dualismo cataro.
Quest'ultimo, per inciso, è, secondo Fernand Lequeme, il Tesoro che i Perfetti lasciarono ai Catari.
O ancora, la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto che contiene il simbolismo della tradizione e dello stato e indica le tre vie per il suo raggiungimento.
La Tavola di smeraldo”, dice Papus,”comincia con una Trinità, ed il suo autore precisa, in questo modo, fin dall'inizio, la legge che regge tutta la natura”.
Se il ternario si riduce ad una precisa gerarchia che va sotto il nome dei "tre mondi", quella della Tavola smeraldina è la verità nella sua triplice manifestazione nei tre mondi stessi.
È vero, senza menzogna, è certo e verissimo.
È vero: "verità sensibile corrispondente al mondo fisico".
La verità della Tavola rotonda.
Senza menzogna: "Opposizione dell'aspetto precedente - Verità filosofica, certezza, corrispondente al mondo metafisico o morale".
La verità della Tavola quadrata.
È certo e verissimo: "Unione dei due aspetti precedenti, la Tesi e l'Antitesi per costruire la Sintesi-Verità intellegibile, corrispondente al mondo divino.
La verità della Tavola rettangolare.
Charpentier critica quelli che hanno visto in queste lastre la rappresentazione del movimento degli astri, essendo questa, a suo avviso, una spiegazione troppo intellettuale per quella che è essenzialmente un’attività fisica.
Ma è un’attività fisica di tipo tutto particolare, ed egli stesso, poco più avanti, parlando del risultato di questa attività, la definisce come una condizione che si avvicina allo stato medianico e che permette un’incorporazione dei "ritmi naturali".
E che cos'è questa incorporazione nei ritmi naturali, se non partecipare armonicamente al movimento del cosmo?
È porsi al centro della ruota dello zodiaco non più soggetti alle influenze degli astri ma partecipi delle loro influenze in un centro equilibrato.
A questo punto non si può non parlare della Tavola rotonda di Re Artù. L'essere cavaliere della Tavola rotonda non costituisce il risultato di una prova, ma è un fatto magico che diventa l'elemento indispensabile per partecipare a prove future.
Lo stato di passività che è caratteristico della Tavola rotonda è messo in assoluta evidenza nei racconti della Cerca del Santo Graal. Anche se il cavaliere fallisce, non gli è per questo interdetto il ritorno a
Camelot, e questo gli succede per non essersi comportato conformemente a quei principi che gli devono essere propri in quanto cavaliere; della sua appartenenza alla Tavola rotonda nulla viene menzionato né, ancor meno, messo in dubbio.
Quanto detto definisce ulteriormente la lastra rotonda come tavola di iniziazione passiva, nella quale l'uomo è guidato, e ad un tempo ci fa intravedere il significato della seconda Tavola.
Non vi è alcun dubbio che la Tavola rotonda arturiana trapianti nel mondo cristiano e cortese una realtà più antica del Medioevo, che potrebbe risalire a tempi celtici, anzi preceltici. Essa sembra recare l’immagine di una regalità cosmica, che trova cioè il proprio fondamento nei segni della natura ed è legata ai suoi movimenti. Se la Tavola rotonda gira, è perché anch’essa deriva da quelle pietre girevoli, le pietre che ruotano o che danzano, generalmente in quei particolari momenti dell’anno rappresentati dai solstizi. È senza dubbio una delle ragioni per cui Artù riuniva i suoi cavalieri intorno alla Tavola Rotonda in occasione delle grandi feste dell’anno.
Autentico custode della Tavola rotonda, Artù sembra essere proprio la figura tutelare legata alla Ruota dell’Anno

Da:
http://digilander.libero.it/ilsitodelmistero/trelastregraal.htm

martedì 28 giugno 2011

Il Graal - II


La tradizione vuole che il Santo Graal sia stato retto da tre lastre 

Il Charpentier individua queste lastre con tre possibili vie di mutazione dell'individuo: quella dell'intuizione, quella dell'intelligenza e quella della mistica.
Sono le tre lastre che nella navata centrale della Cattedrale di Chartres si susseguono, dal portale di ingresso all'abside, da quella circolare a quella quadrata, a quella rettangolare. Esse rappresentano per il fedele la via verso la conoscenza del Santo Graal.
La prima lastra, che troviamo dopo l'ingresso nella Chiesa, è la lastra rotonda. Si è palesata molto presto nella storia dell'Umanità. I Cromlechs, i cerchi delle fate sono lastre rotonde. La si ritrova nella rappresentazione della croce celtica che è circondata da un cerchio. Sotto l'aspetto utilitario, e dal momento che si trova sempre situata su certi sbocchi di correnti telluriche, essa appare come una pista di danze rituali che si ballavano in girotondo e che erano un mezzo d'accordo con i ritmi naturali. A quel che sembra, il girotondo, iniziato nei limiti del cerchio più lontano dal centro, doveva per alcuni, avvicinarsi a poco a poco a questo centro, man mano che i ritmi penetravano l'uomo e lo liberavano da un'ingombrante personalità. In alcuni Cerchi delle Fate che furono delle piste di danza, si ritrovano tre piste concentriche. Sembra probabile che, per il danzatore giunto ad una specie di delirio sacro, la danza doveva terminare con una evoluzione al centro. In qualche modo, il danzatore doveva risalire i cicli naturali sino alla loro origine dove, più incoscientemente che coscientemente, egli poteva mettersi in contatto diretto con questa origine. Si può ancora procedere oltre.
L'uomo che gira, evade dallo spazio. Ma evadere dallo spazio significa ugualmente evadere fuori dal tempo. Ci si può chiedere: sino a che punto l'uomo che gira, in certe condizioni,non diventa visionario? Pensiamo ai doni profetici delle druidesse che si manifestavano in una specie di delirio, durante la danza; pensiamo a David che danza davanti all'Arca e che profetizza; pensiamo ai dervisci danzatori. E ricordiamoci che i girotondi nella cattedrale di Chartres erano di consuetudine nel tempo pasquale, e guidati dal vescovo stesso. Alcuni hanno creduto di vedervi una rappresentazione del movimento degli astri. È una spiegazione ben intellettuale per un’attività tutta fisica! Si trattava ben più semplicemente della ricerca di una condizione che si avvicinasse allo stato medianico e che permettesse un'incorporazione nei ritmi naturali. La lastra rotonda era rappresentata, davanti al Tempio di Salomone, dal Pozzo di Bronzo che conteneva dell'acqua, e le cui proporzioni definite erano in rapporto con i pesi della Terra, secondo l'abate Moreaux. I Templari - e non solo loro - hanno fatto della lastra rotonda il centro delle loro chiese. È in questo centro che essi ponevano l'altare.
Per dare una spiegazione alla lastra quadrata, è necessaria maggiore acutezza. Essa è la “quadratura” della lastra rotonda. Essa deve permettere il passaggio alla coscienza, delle co-noscenze istintive; è una lastra di iniziazione intellettuale. Il modo in cui è rappresentata più frequentemente è sotto forma di scacchiera; è così la primitiva tessera, diventata gioco di bambini, ma che all'origine, era lastra di abaco, tavola di lavoro, tavola di Numeri. È ancora la tavola di Pitagora, che non è solo una tavola di moltiplicazione. Il simbolo più “parlante” di questa tavola è naturalmente la scacchiera che solo la Dama e il Cavaliere possono percorrere in tutti i sensi, montando la cavalla, la “cabala”, la conoscenza. Si ricorderà che il gioco degli scacchi utilizza il cerchio nel quadrato, mentre Torri e Alfieri sono ridotti a rimanere nelle loro verticali o diagonali.
L'indicazione è preziosa. Non si passeggia nei Numeri per la sola virtù del cervello (solo nelle cifre) più di quanto non si faccia musica addizionando delle note. È necessaria un’iniziazione, almeno istintiva, alle leggi dell'armonia, alle leggi naturali. È una tavola-trappola nel percorso della quale l'intelletto, abbandonato a se stesso, si illude sulle proprie creazioni e si trova “intrappolato” nelle sue illusioni come l'Alfiere o la Torre nelle loro linee. Realizzare la quadratura del cerchio, significa trasformare l'iniziazione istintiva in iniziazione cosciente, ragionata, attiva. Bisogna “montare la cavalla”, cioè la cabala. La tavola quadrata non è una tavola di vita ma una tavola di organizzazione; solamente essa presuppone una conoscenza reale della materia. Secondo gli antichi, la migliore organizzazione possibile della società era costruita su questo schema quadrato che divideva gli uomini in categorie, che erano piuttosto delle caste: il Contadino che nutre, il Soldato che difende, l'Artigiano che trasforma e il Commerciante che distribuisce; i gradi in ogni casta, che formano la piramide dai tre piani: apprendista, operaio e padrone che mette capo, alla sommità, all'Aristocrazia, quella vera, quella del Saggio, nella sua casta. La lastra quadrata la ritroviamo nel Santo dei Santi del Tempio dì Gerusalemme; e, forse, è la base delle costruzioni templari, perché l'Ordine utilizzava molto il piano quadrato nelle sue commende o fortezze; unito d'altra parte spesso, ad una chiesa a pianta rotonda.





La tavola rettangolare è una tavola mistica; una tavola di rivelazione. Essa non ha, né spiegazione né avvicinamento intellettuale possibili. Essa è la Tavola della Cena, la Tavola del Sacrificio di Dio.
Ecco quello che si può dire sul Graal e sulle tavole. Non è affatto strano che si presentino nell'ordine in cui le abbiamo situate a partire dal portale reale, quello che custodiscono re e regine che non hanno più nome. La loro nascita corrisponde proprio alle tre nascite realizzate nella navata coperta




Da: I misteri della cattedrale di Chartres di Louis Charpentier

Il Graal - I


Per capire il Graal occorre necessariamente comprendere il sacro principio della Grande Madre e il suo culto poiché, più di ogni altra cosa, il Santo Graal è associato all’eterno femminino. Ne consegue che il Graal è Melkisedeq, il Re del Mondo nel suo aspetto femminile e naturante, ed essendo Melkisedeq associato inequivocabilmente alla Tradizione Eterna poiché egli stesso eterno (Ebrei 7:3); il Graal, sotto un certo aspetto è la Tradizione Primordiale. Gli Egizi venerarono il Melkisedeq attraverso Iside, la Vedova, la Vergine Luce che offre all’iniziato (figlio della vedova) la sacra conoscenza. Gesù si fece Sacerdote al modo di Melkisedeq (Ebrei 7:15) poiché era un Nazirita, occultamente un Figlio della Vedova. Si dice, in ambiti esoterici, che un iniziato è un "Figlio della Vedova", ed è realmente così, perché essere un Figlio della Vedova significa essere come Horus, o come Gesù, in quanto entrambi, secondo i rispettivi culti, nacquero senza l'intervento del padre. Questo appellativo è stato tramandato sino al giorno d'oggi dai Liberi Muratori, i Massoni, che si autodefiniscono proprio Figli della Vedova.
Horus e Gesù, però, non sono i soli, anche la nascita di Melkisedeq fu simile, e se andiamo a verificare in diverse fonti e religioni, altri personaggi e portatori di conoscenza sono stati descritti come nati senza intervento del padre. È necessario comprendere che queste tradizioni non si riferiscono a coppie materiali uomo-donna, ma ai princìpi archetipali di uomo-maschile e di donna-femminile, che si incontrano entrambi in ogni uomo e, pertanto, in tutta l'umanità. Il concepimento e la nascita di Gesù spiegano metaforicamente che tutti possiamo produrre una simile nascita divina dentro di noi, unendo "alchemicamente" i due princìpi, e facendo in modo che il due (l'unione maschile-femminile) partorisca il tre (il Figlio o Spirito).
Qualcuno ha affermato che il Graal sia la tradizione segreta cristiana, il che è vero sotto certi aspetti, ma è limitativo, poiché il Graal medievale ha a che fare anche con la tradizione druidica, ove la coppa era sostituita dal calderone, pur rappresentando lo stesso principio.
Nel paganesimo c’è la presenza, quasi costante, di un Divino femminile. In reazione alle religioni patriarcali, rivelate, spirituali e incentrate sul maschile – sia come sacerdozio che come rappresentazione del divino – il neopaganesimo si fa araldo della necessità di far sentire l’altra campana, di far esperire un divino che sia femminilità, terra-corpo-natura, istinto.
Fu il cristianizzante Sir Thomas Malory a coniare per primo il termine “Holy Grail” nel suo Le Saint Graal. Egli sosteneva che il Graal era il sacro recipiente, confondendo il Graal con il contenitore anziché identificarlo col contenuto. Malory non è stato certo l’unico ad aver commesso l’errore. Sì, perché in realtà il contenuto del sacro calice non era vino, ma sangue o un estratto del sangue che gli alchimisti codificano da sempre col termine “sale” e che si identifica con quel calice di amarezza che Gesù per un momento non volle bere.
Il piangere, il sanguinare, il sudare, l’orinare fanno affiorare il sale dalle sue miniere interiori, sotterranee. Il sale si manifesta nei nostri umori, che sono il fluido attraverso il quale esso affiora alla superficie e nel corso dell’Opera esso diviene simile al sangue.
Se intendiamo che il Graal si identifichi col sangue, obiettivo dell’iniziato alchimista è quello di volgere il graal in Santo Graal, ovvero il sangue/genetica in sangue blu/genetica superiore. Quindi, la reale dizione, sul piano strettamente alchemico, non deve essere Graal ma Santo Graal. Volendo utilizzare il lessico alchemico, è come confondere il piombo con l’oro. Il Graal/piombo, la materia grezza, deve trasmutare in Santo Graal/oro. La materia deve spiritualizzarsi.
La cerca del Graal è segretamente la ricerca dell’Oro Filosofale, dello Spirito Divino in noi, un processo prettamente alchemico che gli iniziati chiamano: Grande Opera, Arte Reale, Agricoltura Celeste, Operazione della Natura, Serpente auto-divorante, Mare Tempestoso, Quadratura del Cerchio, Magistero, Arcanum Dei. Il suo obiettivo dichiarato è la liberazione della luce cristica che solo gli “artisti” Gesù, Siddharta ed Elia hanno mostrato

 Da: 
http://mikeplato.myblog.it/archive/2009/03/15/il-graal-e-l-eterno-femminino.html
http://www.altrogiornale.org/news.php?item.5525.1

domenica 26 giugno 2011

Giorni delle fate – Fairy Ring di Gary Stadler e Singh Kaur


Twas a longing came into my heart
I could not sense a name
It tore me from my shattered heart
Then swift to nature came

The beauty of the soft green hills
The singing of the trees
They left my soul more empty still
I could not find a peace
I could not find a peace

I saw the shining fairy ring
Myself within its heart
And I found a lonely comfort
Though its magic touched me now
Its magic touched me now

I wandered by a running stream
And touched its stones so deep
Then I sat underneath a great old tree
Then drifted into sleep

It lifted me with gentle powers
And took me far away
When I awoke the darkest night
Had chased away the deep

I lay within a fairy ring
Myself within its heart
And I found a lonely comfort
Yet the magic touched me not
The magic touched me not

My mind a whirl of clouded dreams
I knew not where I dwelled
Yet in that shining fairy ring
A calming word I felt

Oh thrice I called unto the Fay
And thrice about this turned
I fell upon living earth
And that moment learned

For there that night I felt a touch
And in that moment knew
The fairy magic had rebuilt
My hearts desire true

For in that touch I felt such love
And in that moment knew
That I did touch a perfect love
My heart's desire true
My heart's desire true

I lay within a fairy ring
Myself within its heart
And I found a loving comfort there
The love that I had sought
The love that I had sought

My words at once are stilled within
My heart has felt so much
I oft returned to the magic ring
To feel the fairy touch

Oh now when 'ere the moon is full
I bid my cares depart
And kneel within the shining ring
To touch the fairies heart
To touch the fairies heart
To touch the fairies heart

giovedì 23 giugno 2011

Giorni delle Fate - Realm of the Faerie


Giorni delle Fate - Walking in the Air di Celtic Woman


Walking in the air, floating the sky...
Floating in the air...

We're walking in the air
We're floating in the moonlit sky
The people far below are sleeping as we fly

We're holding very tight
I'm riding in the midnight blue
I'm finding I can fly so high above with you

Far across the world
The villages go by like dreams
The rivers and the hills
The forest and the streams

Children gaze open mouthed
Taken by surprise
Nobody down below believes their eyes

We're surfing in the air
We're swimming in the frozen sky
We're drifting over icy
mountains floating by

Suddenly swooping low on an ocean deep
Arousing of a mighty monster from its sleep

We're walking in the air
We're dancing in the midnight sky
And everyone who sees us greets us as we fly

Giorni delle Fate - Dance of the Wild Faeries e Invocation di Gary Stadler e Wendy Rule


Altre belle immagini con Dance of the Wild Faeries e Invocation di Gary Stadler e Wendy Rule:

Invocation
Under moonlight's misted veil
Find the dream on which we sail
Stillness calls you far away
Where the nature spirits play

Down from the trees
Down from the sky
Into the dark forest we fly
Up from the earth
Under the ground
Deep in the wild forest we're found

Deep in midnight's secret song
Find the place where you belong
In the forest of delights
Light and darkness both shine bright

Down from the trees
Down from the sky
Into the dark forest we fly
Up from the earth
Under the ground
Deep in the wild forest we're found

Within the flower
Under the leaf
Hollow of tree
Hidden beneath

Spirit of fire
Spirit of air
Water and earth
Calling you there

Giorni delle Fate - Believe in Faeries ~§~ The Celtic Harmony


Giorni delle Fate - King of the Fairies


Giorni delle Fate - Fairy Nightsongs di Gary Stadler


Dancing a spiral we sing unaware
On faery night wings our songs fill the air
Making a circle of magic and light
Watched silently by the fay of the night

Our hearts full of love and our arms open wide
We hold the key to the faeries delight
Song in our hearts belong in the air
The words of our wisdom we bring forth to share

The songs in the night
As we dance 'round the flame
The Fairy Nightsongs are never the same
The words from our lips as we sing for the night
Impart to the Fay our hearts truest sight

Sounds of the forest in sweet harmony
We give the gift of our song to the faery
Dancing a spiral we sing unaware
The faery night wings our song fill the air

The songs in the night
As we dance 'round the flame
The Fairy Nightsongs are never the same
The words from our lips as we sing for the night
Impart to the Fay our hearts truest sight

Ahh.....

Dancing a spiral we sing unaware
On faery night wings our songs fill the air
Making a circle of magic and light
Watched silently by the fay of the night

The songs in the night
As we dance 'round the flame
The Fairy Nightsongs are never the same
The words from our lips as we sing for the night
Impart to the Fay our hearts truest sight

Our hearts full of love and our arms open wide
We hold the key to the faeries delight
Song in our hearts belong in the air
The words of our wisdom we bring forth to share

The songs in the night
As we dance 'round the flame
The Fairy Nightsongs are never the same
The words from our lips as we sing for the night
Impart to the Fay our hearts truest sight

Sounds of the forest in sweet harmony
We give the gift of our song to the faery
Dancing a spiral we sing unaware
The faery night wings our song fill the air

mercoledì 22 giugno 2011

Giorni delle Fate - Fly Away di Gary Stadler e Wendy Ruler



Fly away with me
release the ground below
there's everything to see...
and everywhere to go!

Take my hand within your hand
and watch your wings appear
the hidden world we'll see
the distant world is near

See below far below
the rhythm of the tide
will answer unto time
the river strange and wide

Other worlds calling us
beyond what we can see
so limitless the sky
so beautifully free

Soft as angels we will fly
in galaxies bright in visions of light
beyond the sun beyond the moon
beyond the night

In a meadow we will lay
and onto the world and under the sky
discover the dream
you and I

Fly away with me
together we will find
the wisdom of the heart
the wonders of the mind

Fly away with me
release the ground below
there's everything to see
and everywhere to go

Soft as angels we will fly
in galaxies bright in visions of light
beyond the sun beyond the moon
beyond the night

In a meadow we will lay
and onto the world and under the sky
discover the dream
you and I

Fly away with me
together we will find
the wisdom of the heart
the wonders of the mind

Fly away with me...
Release the ground below
there's everything to see
and everywhere to go

Giorni delle Fate - The Dance of the Wild Faeries di Gary Stadler e Wendy Rule


I wandered alone to the forest one night
Led by a music strange to hear
And followed the glow of a shimmering light
That seemed to grow distant as I grew near

The woods were alive with the fragrance of spring
But winter was everywhere clear to see
The moon shone bright and a bat on the wing
Beckoned me closer and said to me:

"A clearing close in the forest you'll find
A fabulous banquet, a fairy ball

If you close your eyes and you open your mind
The veil disappears and you'll see it all”

Come and play as the wild fairies play
In a magical circle, a fairy ring
You won't want to leave and forever you'll stay
Where the vision is bright as spring

Come and dance the wild fairy dance
Spin in a circle as fast as light
Once you begin you are caught in a trance
And the world can grow old in a single night

When I closed my eyes to the shimmering light
All memory faded and I could see
That a mushroom circle of red and white
And myriad fairies surrounded me

Beyond all space and beyond all time
On gossamer wings did the fairies fly
With a joy unknown to a music sublime
The fairies danced, and there danced I

Come and play as the wild fairies play
In a magical circle, a fairy ring
You won't want to leave and forever you'll stay
Where the vision is bright as spring

Come and dance the wild fairy dance
Spin in a circle as fast as light
Once you begin you are caught in a trance
And the world can grow old in a single night

"Those who seek us surely find us
See the trail we leave behind us
Some bewildered, some enlightened
Some are brave, some are frightened
Are we kind or are we vicious?
Nectar poison or delicious?
That, my sweet, you will discover
Fairy foe, or fairy lover"

Come and play as the wild fairies play
In a magical circle, a fairy ring
You won't want to leave and forever you'll stay
Where the vision is bright as spring

Come and dance the wild fairy dance
Spin in a circle as fast as light
Once you begin you are caught in a trance
And the world can grow old in a single night

I wandered alone to the forest one night
Led by a music strange to hear
If you happen to pass when the moon is bright
And the veils are thin you will find me here
If the veils are thin you will find me here

lunedì 20 giugno 2011

Solstizio d'Estate, il trionfo della luce




Intorno al 21 giugno il sole celebra il suo trionfo, in quello che è il giorno più lungo dell’anno, ma che allo stesso tempo, rappresenta l’inizio del suo declino. Infatti, dopo il Solstizio d’Estate, le giornate iniziano lentamente ma inesorabilmente ad accorciarsi fino al solstizio d’inverno, in quella che è la fase “calante” dell’anno. Solstizio deriva dal latino sol stat, “il sole si ferma”, e, infatti, pare quasi che il sole indugi un po’ in questa posizione prima di riprendere il suo cammino discendente. Il sole raggiunge la sua massima declinazio­ne positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso: inizia l’estate astronomica.
È tempo in cui possiamo ricevere il massimo della potenza solare: la mistica forza che unisce cielo e terra è ora più forte. Questa elementare verità, era conosciuta dagli antichi popoli che pare fossero a conoscenza del fatto che le “ley lines”, le misteriose linee energetiche che solcano la superficie terrestre aumentano la loro carica energetica tramite la potenza solare. Anche monumenti come menhir, dolmen e cerchi di pietre erano forse focalizzatori artificiali del siste­ma energetico terrestre. I cristalli possono essere potentemente caricati al solstizio e siccome il granito dei megaliti di Stonehenge contiene una grande quantità di quarzo, questo cerchio si attiva al Solstizio, generando un forte campo energetico. Non a caso la cerimonia del Solstizio d’Estate è la festa più elaborata e più famosa compiuta dai moderni ordini druidici, che la celebrano ogni anno appunto a Stonehenge (nel 1999 sono ripresi i rituali dopo una sospensione di dieci anni decretata nel 1988 dalle autorità britanniche per motivi di ordine pubblico).
Il Neo-Druidismo chiama il Solstizio d’Estate Alban Heruin, “Luce della riva”. Infatti, la festa è al centro dell’anno, al suo volgere, così come la spiaggia è il luogo d’incontro di mare e di terra dove i due confini si uniscono. Nelle tradi­zioni antiche la “terra” era la zona astronomica al di sopra dell’equatore celeste e I’“acqua” quella inferiore. Il sole tro­vandosi nel loro punto d’incontro è come sulla riva del mare.
Nell’antica Grecia i due solstizi erano chiamati “porte”:
“Porta degli uomini” l’estivo (Borea perché il sole è a nord dell’equatore celeste) e “Porta degli dei” l’invernale (Noto perché il sole è a sud dell’equatore celeste). Per la prima porta si entrava nel mondo materiale della creazione mentre per la seconda si entrava nel regno divino e soprannaturale. Tempo di passaggio è dunque il Solstizio, che colloca fuori dallo spazio-tempo quel confine che separa la crescita dal declino, la manifestazione dalla non-manifestazione. Esso è una sorta di capodanno. Midsummer, mezza-estate, lo chiamano nei paesi anglosassoni, e Shakespeare nel suo “Sogno di una notte di mezza estate” ne ha raffigurato l’aspetto magico, dove sogno e realtà si fondono. Questa atmosfera di tempo fuori dal tempo rende il Solstizio un momento propizio per i presagi e le pratiche divinatorie, sia nel folklore popolare, sia nelle tradizioni magiche cerimoniali e “colte”.
Pur se cristianizzata come festa di San Giovanni (24 giugno) la notte di mezza estate ha conservato tutte le sue valenze magiche. In tutta Europa si traevano (e forse ancora si traggono) presagi ad opera delle ragazze nubili per sapere se si sposeranno ed eventualmente acquisire indizi sull’identità del futuro sposo. Ad esempio col piombo liquefatto nelle padelle si individuava, tramite le forme assunte dal metallo, il mestiere del futuro sposo. Altri metodi utilizzavano la chiara d’uovo versata nell’acqua o le fave sbucciate.
In Galles per trovare la propria anima gemella si camminava intorno ad una chiesa nove volte e si metteva alla fine di ogni giro un coltello nella serratura del portone, dicendo: “Qui c’è il coltello, dove è il fodero?” Il simbolismo è evidente...
Usanze logiche se si pensa che la Natura, al massimo del suo rigoglio, favorisce tutto ciò che riguarda l’amore e la fertilità. Mazzetti di erbe collocati sotto il cuscino favoriscono i sogni divinatori: le erbe giocano un ruolo di primo piano nelle tradizioni solstiziali e di San Giovanni.
Si raccolgono piante aromatiche da bruciare sui falò solstiziali, piante che danno poco fumo e hanno un buon aroma, come timo, ruta, maggiorana. Era comune credenza che mol­tissime piante in quest’epoca avessero poteri quasi miracolosi. Il vischio è una pianta solstiziale molto importante nella tradizione celtica: secondo lo scrittore romano Plinio pare che gli antichi Druidi raccogliessero questa pianta con un falcetto d’oro, strumento che univa la forma lunare al metallo solare. I rami di vischio al Solstizio d’Estate assumono un aspetto dorato, il famoso Ramo d’Oro dei miti. Il sambuco tagliato la vigilia del Solstizio, sanguina nelle leggende britanniche. Il seme di felce permetteva di trovare tesori nascosti, mentre il leggendario fiore di felce (che non esiste, al pari del seme, in quanto la felce è una pianta pteridofita, cioè che si riproduce tramite spore) rendeva invisibili i suoi fortunati raccoglitori. In tutti i paesi europei si raccoglievano erbe rite­nendole impregnate di miracolose virtù: la verbena portava prosperità, mentre l’artemisia sacra ad Artemide sorella di Apollo, proteggeva dal malocchio. Si riteneva in particolare che l’energia solare si raccogliesse in fiori come la calendula o l’iperico, la miracolosa “erba di San Giovanni”.
Proprio tutte queste virtù più magiche che terapeutiche attribuite alle piante, spiegano l’abbondare di leggende riguardanti coloro che più di ogni altra persona conoscevano le erbe magiche: le streghe. L’usanza antica di certe donne di recarsi nude a raccogliere erbe ricorda antichi riti in cui le donne andavano nude nei campi per propiziare il raccolto, spesso compiendo danze cavalcando bastoni o manici di scopa. Anche questa usanza può essere all’origine di tanti rac­conti sulle streghe. Forse dietro le storie dei raduni di incan­tatrici e di fattucchiere nella notte di mezza estate, si cela anche il ricordo dei riti solstiziali celtico-germanici intorno ad un albero (il noce di Benevento!) o delle feste licenziose in onore della dea Fortuna nell’antica Roma che si tenevano appunto il 24 giugno. In onore di Fortuna tutta la popolazio­ne, ricchi e poveri, liberi e schiavi, accorreva ai templi, banchettava e danzava. Fortuna è la Dea della casualità assoluta, del caos benefico e rigeneratore.
La somiglianza di queste feste con i Saturnali del Solstizio d’Inverno fanno del Solstizio estivo una sorta di capodanno o di carnevale, un periodo“caotico” in cui il cosmo si rinnova e si ricrea, con conseguente rimescolamento dei ruoli sociali e capovolgimento delle norme morali. In questo benefico caos assumono rilievo i due elementi primordiali del fuoco e dell’acqua, contrapposti ma pur sempre complementari, simboleggiando il primo i poteri della divinità maschile e la seconda quelli della divinità femminile o, se si preferisce il sole e la luna. Nell’astrologia babilonese il Solstizio d’Estate era simboleggiato dal matrimonio di sole e luna, in cui i due astri spargono le loro energie sul mondo.
L’acqua del Solstizio è appunto direttamente collegata alla luna e al segno del Cancro: significativamente il glifo di questo segno zodiacale è composto da due segni spirali-formi che si oppongono in un simbolo simile allo Yin-Yang orientale, forse indicanti le due metà dell’anno che ora si incontrano. Nelle celebrazioni solstiziali l’acqua è rappre­sentata dalla rugiada o “guazza di San Giovanni”, cui sono attribuiti poteri miracolosi: fare ricrescere i capelli, ringio­vanire la pelle o addirittura propiziare la fertilità. Non era raro che molte giovani donne si bagnassero nude nei prati con la magica rugiada la notte di San Giovanni...
Il fuoco viene simboleggiato dai falò accesi un po’ ovunque in Europa nella notte solstiziale o di San Giovanni, fuochi che sono strettamente collegati a quelli del Solstizio d’Inverno o ai fuochi di primavera. Quale è il loro significato? Secondo una teoria sono simboli solari e accenderli significa rafforzare l’energia dell’astro che d’ora in avanti va declinando. Un’altra interpretazione esalta il loro valore purificatorio, con cui vengono scacciati gli spiriti maligni e le malattie. Non bisogna dimenticare infatti che in questo periodo caotico, di “passaggio”, così come gli esseri umani hanno libero accesso a regni e poteri soprannaturali, così anche le entità malefiche possono vagare indisturbate per il nostro mondo. In molti luoghi si diceva che coloro che avevano il coraggio di rimanere nel cimitero la vigilia di Mezza Estate potevano avere la visione di quelli che sarebbero morti nel corso dell’anno! Nel folklore nord-europeo la vigilia di San Giovanni è una delle tre “notti degli spiriti” insieme alle vigilie di Calendimaggio e di HalloweenlSamhain. Ad ogni modo tutte le tradizioni popolari europee vedono l’accensione di fuochi sulle colline, processioni notturne con fiaccole e ruote infuocate gettate lungo i pendii. A somi­glianza dei fuochi di Beltane (festa di cui in fondo il Solstizio è la controparte celeste, astronomica) si danza intorno ai falò e si salta sulle fiamme quando queste si abbassano. Il fumo dei fuochi veniva usato per purificare il bestiame, mentre le ceneri erano sparse sui campi per propi­ziarne la fertilità. In Scandinavia il falò del Solstizio era il ‘fuoco di Baldur”. Baldur, figlio di Odino, era il giovane dio che veniva ucciso nel fiore degli anni e probabilmente nell’antichità si sacrificavano uomini per rappresentarne la morte. Forse Baldur era uno spirito della vegetazione, lo spirito della quercia celebrato da alcuni miti nordici e celtici. Infatti, le leggende narrano di una lotta eterna tra due opposte divinità, il Re della Quercia e il Re dell’Agrifoglio, dove il primo rappresenta il Dio dell’anno crescente (cioè della metà dell’anno in cui la luce solare prevale sulle tenebre notturne) e il secondo raffigura il Dio dell’anno calante (la metà dell’anno in cui la notte prevale sul giorno). Se in inverno era il Re dell’Agrifoglio a soccombere, al Solstizio d’Estate era il Re della Quercia a dover cedere di fronte all’avversario. E questo spiegherebbe perché i fuochi solstiziali erano alimentati con legno di quercia... La quercia fiorisce intorno al Solstizio e segna il passaggio tra anno crescente e anno calante. La morte estiva del Re della Quercia aveva varie forme: bruciato vivo, accecato con un ramo di vischio o cro­cifisso su una croce a T. Il poeta e studioso di miti Robert Graves disse che l’uomo il quale personificava il Dio era sacrificato in questi modi, ma il Dio stesso ascendeva al cielo, fino alle stelle circumpolari e precisamente fino alla Corona Borealis (costellazione chiamata nelle leggende celtiche Caer Arianrhod, Castello della Dea Arianrhod - “ruota d’argento” -), dove attendeva la rinascita.
Al Solstizio d’Estate vengono a interagire e ad interse­carsi i due cicli della Ruota dell’Anno: quello primordiale dei cacciatori-raccoglitori che narra lo scambio stagionale di potere tra due figure gemelle, e il ciclo solare solstiziale-equinoziale.
L’idea di due divinità o di due re che combattono eternamente tra loro appare in molte
culture. Basti pensare ad Apollo che uccide il serpente Pitone a Delfi, al dio babilonese Marduk che abbatte Tiamat o a Zeus che lotta contro Tifone. Il serpente era nella remota antichità una divinità o il simbolo di varie divinità, forse la raffigurazione del dio dell’anno calante. Ciò può avere generato più tardi i miti degli eroi che uccidono draghi. Ma se nelle mitologie più antiche il signore abbattuto risorgeva ogni anno, in modo che la luce e l’oscurità regnassero in equi­librio tra loro, in tutti questi miti più tardi, probabilmente per influenza dei culti solari legati alla regalità, la vittoria dei personaggi “luminosi” è sempre definitiva e senza appello.
Nelle leggende riguardanti il duello eterno dei due re appare spesso una figura femminile che rappresenta la Dea, la quale non soccombe ma costituisce un perno immobile tra le due figure, simbolo della Morte in Vita. Infatti, anche se ora la terra è esuberante nella sua fertilità, è pur sempre uno zenith transitorio in cui la Natura presiede alla morte del Re della Quercia e all’insediamento del suo oscuro ma necessario gemello. Nei miti solstiziali la Grande Dea appare anche come Ape Regina a manifestare i due aspetti, quello luminoso e quello tenebroso. La Dea Cibele era raffigurata come Ape Regina perché i suoi sacerdoti si castravano per diventare i suoi sposi, come il fuco è castrato dall’ape regina durante l’accoppiamento. Si diceva che al solstizio d’estate Cibele avesse imprigionato il suo amante Attis nell’erica, perché i fiori di erica sono un fiore prediletto dalle api. Ma l’ape è anche un animale solare, perché viaggia tra i fiori seguendo la posizione del sole e produce il miele il quale ha lo stesso colore del sole. I Celti consideravano le api dei messaggeri che viaggiavano sui sentieri della luce solare fino ai regni degli spiriti, creature associate alla conoscenza del futuro e all’ispirazione divina. Ma per molti popoli erano anche simbolo di rinascita, in quanto si riteneva che esse nascessero dai corpi di animali morti. Il Solstizio d’Estate rappresenta anche il ciclo agricolo incentrato sui cereali. Nelle Isole Britanniche questo ciclo venne narrato nella storia di John Barleycorn (lo spirito dell’orzo) che vive dalla semina fino al momento della sua morte ad opera della falce, ma che poi rinasce dal suo stesso seme, in un ciclo senza fine ma con momenti ben definiti, caratterizzati da celebrazioni rituali. In questo ciclo il dio muore e discende agli inferi dove la Dea della Terra lo soccorre e lo fa rinascere.
Tra i popoli nordici il Solstizio d’Estate era chiamato anche Litha, dal nome della dea sassone del grano affine a Demetra e a Cerere.
La pianta sacra del solstizio d’estate è l’iperico. L’iperico raccolto a mezzogiorno del solstizio era capace di guarire molte malattie, mentre le radici raccolte a mezzanotte cacciavano via gli spiriti maligni. L’iperico era appeso sulle porte per proteggere le abitazioni dagli spiriti malvagi, e il suo nome greco hyperikon significa appunto “proteggere” o “sconfiggere un’apparizione”. Inoltre si diceva che le donne ansiose di concepire dovevano andare nude nel loro giardino la vigilia di San Giovanni e raccogliere l’iperico.

Celebrare il Solstizio d’Estate
I poteri del Dio Sole sono allo zenith e anche se i giorni più caldi devono ancora venire, l’estate è ormai con noi. Si vuole trascorrere quanto più tempo possibile al sole e all’aria aperta. Si gioisce nel pieno flusso dell’abbondanza, nell’apogeo di luce e calore. È un momento adatto per concludere e portare a compimento quello che stiamo realizzando. Ed è anche tempo di gioia e di divertimento. Come celebriamo la crescita delle messi così festeggiamo la nostra crescita interiore. Psicologicamente è il momento di celebrare il raggiungimento dei nostri obiettivi, di riconoscere i nostri talenti e la nostra azione nel mondo esterno. Ma tutto scorre e dobbiamo ricordarci che la vita è un processo dinamico, non una condizione fissa. In questo periodo, punto di equilibrio tra l’anno crescente e l’anno calante, troviamo il momento ideale per lavorare sulle qualità di integrazione e di equilibrio:
integrazione di quello che abbiamo imparato in questi mesi e raggiungimento di un nuovo equilibrio interiore.
Per celebrare il solstizio possiamo fare cose molto semplici. Ad esempio alzarci all’alba e osservare il sole che spunta, meditando sulle sue qualità e sul suo destino: la massima forza coincide con l’inizio del suo declino.
Possiamo bagnarci con la rugiada solstiziale oppure accendere un piccolo falò nel nostro giardino la vigilia del solstizio e organizzare un piccolo festino con i nostri amici.
Possiamo raccogliere le erbe del solstizio e conservarle come portafortuna.
Ma possiamo anche celebrare ritualmente questo momento con una veglia che cominci a mezzanotte, in fondo è la notte più breve dell’anno! Se si è all’aperto si può tenere acceso un piccolo fuoco oppure si possono accendere candele rosse o dorate, meditare sui significati di questa festa, ascoltare o suonare musica, leggere poesie, magari in compagnia dei nostri amici. Questa veglia ci darà modo di rivedere il nostro anno con le cose iniziate e quelle compiute, nonché di guardare al resto dell’anno che si stende davanti a noi.
Al momento dell’alba possiamo salutare il sole dicendo:
“Salute a te Sole nel giorno del tuo trionfo!”. Sentiamo l’energia solare che pervade il mondo intero e accettiamo il fatto che questo momento di trionfo sia anche l’annuncio del declino.
Possiamo fare offerte di vino e di dolci

Da: Feste pagane di Roberto Fattore

domenica 12 giugno 2011

Cosa vuole una donna?


Fiaba tratta dal ciclo bretone:

Un giorno, il giovane re Artù fu catturato ed imprigionato dal sovrano di un regno vicino.

Mosso a compassione dalla gioia di vivere del giovane, piuttosto che ucciderlo, il sovrano gli offrì la libertà, a patto che rispondesse ad un quesito molto difficile: "Cosa vogliono veramente le donne?".
Artù avrebbe avuto a disposizione un anno, trascorso il quale, nel caso in cui non avesse trovato una risposta, sarebbe stato ucciso.
Un quesito simile avrebbe sicuramente lasciato perplesso anche il più saggio fra gli uomini e sembrò al giovane Artù una sfida impossibile, tuttavia, avendo come unica alternativa la morte, Artù accettò la proposta, e fece ritorno al suo regno. Ivi giunto, iniziò a interrogare chiunque: la principessa, le prostitute, i sacerdoti, i saggi, le damigelle di corte e via dicendo, ma nessuno seppe dargli una risposta soddisfacente. 
Ciò che la maggior parte della gente gli suggeriva era di consultare una vecchia strega, poiché solo lei avrebbe potuto fornire la risposta, ma a caro prezzo, dato che la strega era famosa in tutto il regno per gli esorbitanti compensi che chiedeva per i suoi consulti. 
Il tempo passò... e giunse l'ultimo giorno dell'anno prestabilito, così che Artù non ebbe altra scelta che andare a parlare con la vecchia strega, che accettò di rispondere alla domanda, solo a patto di ottenere la mano di Gawain, il più nobile dei Cavalieri della Tavola Rotonda, nonché migliore amico di Artù!
Il giovane Artù provò orrore a quella prospettiva... la strega aveva una gobba ad uncino, era orrenda, aveva un solo dente, puzzava di acqua di fogna e spesso faceva anche dei rumori osceni! 
Non aveva mai incontrato una creatura tanto ripugnante. Perciò si rifiutò di accettare di pagare quel prezzo e condannare l'amico a sobbarcarsi un fardello simile! 
Gawain, venuto al corrente della proposta, volle parlare ad Artù dicendogli che nessun sacrificio era troppo grande per salvare la vita del suo re e la tavola rotonda, e che quindi avrebbe accettato di sposare la strega di buon grado.
Il loro matrimonio fu pertanto proclamato, e la strega finalmente rispose alla domanda: ciò che una donna vuole veramente è essere padrona della propria vita.
Tutti concordarono sul fatto che dalla bocca della strega era uscita senz'altro una grande verità e che sicuramente la vita di Artù sarebbe stata risparmiata. 
Infatti il sovrano del regno vicino risparmiò la vita ad Artù, e gli garantì piena libertà. 
Ma che matrimonio avrebbero avuto Gawain e la strega? Artù si sentiva lacerato fra sollievo ed angoscia, mentre Gawain si comportava come sempre, gentile e cortese. 
La strega al contrario esibì le peggiori maniere... mangiava con le mani, ruttava e petava, mettendo tutti a disagio. 
La prima notte di nozze era vicina, e Gawain si preparava a trascorrere una nottata orribile, ma alla fine prese il coraggio a due mani, ed entrò nella camera da letto e ...che razza di vista lo attendeva! 
Dinnanzi a lui, discinta sul talamo nuziale, giaceva semplicemente la più bella donna che avesse mai visto! Gawain rimase allibito, e non appena ritrovò l'uso della parola (il ché accadde dopo diversi minuti), chiese alla strega cosa le fosse accaduto. 
La strega rispose che era stato talmente galante con lei quando si trovava nella sua forma repellente che aveva deciso di mostrarglisi nel suo altro aspetto, e che per la metà del tempo sarebbe rimasta così, mentre per l'altra metà sarebbe tornata la vecchiaccia orribile di prima. 
A questo punto la strega chiese a Gawain quale dei due aspetti avrebbe voluto che ella assumesse di giorno, e quale di notte.
Che scelta crudele! Gawain iniziò a pensare all'alternativa che gli si prospettava: una donna meravigliosa al suo fianco durante il giorno, quando era con i suoi amici, ed una stregaccia orripilante la notte? O forse la compagnia della stregaccia di giorno e una fanciulla incantevole di notte con cui dividere i momenti di intimità? Voi cosa avreste fatto? 
La scelta di Gawain è distante solo un paio di righe... ma non leggete, finché non avrete fatto la vostra scelta!
Il nobile Gawain disse alla strega che avrebbe lasciato a lei la possibilità di decidere per se stessa.
Sentendo ciò, la strega gli sorrise, e gli annunciò che sarebbe rimasta bellissima per tutto il tempo, proprio perché Gawain l'aveva rispettata, e l'aveva lasciata essere padrona di se stessa!

Il motivo della “sposa ripugnante” o “dama ripugnante”, di nome Ragnell, si trova in The Wedding of Sir Gawain and Dame Ragnell, risalente al periodo che va dal XIV al XV secolo d.C. ed è strettamente collegata al tema della Cerca. Inizia con Artù, che durante una battuta di caccia si imbatte in un cervo bianco Affascinato dalla sua bellezza, egli lo insegue a lungo e quando finalmente riesce a raggiungerlo, lo uccide. In quell’istante, però, un cavaliere dalla sfarzosa armatura gli appare dinnanzi e, rivolgendosi a lui in maniera aggressiva, lo rimprovera aspramente per aver concesso a Gawain alcune terre che invece erano di sua proprietà. Il misterioso uomo, che dice di chiamarsi Gromer Somer Jour, minaccia di morte il re per questo oltraggio, ma poco prima di mozzargli la testa decide di offrirgli la possibilità di riscattarsi: d’ora in poi si svolge tutta la vicenda raccontata sopra.
Sono moltissimi gli animali della Cerca che compaiono nella mitologia celtica, nella Materia Bretone e nelle vicende del Graal.

Molte storie iniziano con una caccia ad una creatura magnifica e fatata. Il famoso cervo bianco è una di queste che esiste solo per il sacro scopo di essere cercata ed inseguita ma che solo la persona giusta potrà raggiungere. La sua funzione è quella di condurre l’eroe nell'Altromondo. Come suo alleato lo può far accedere ai luoghi e alle dimensioni dell'essere che ha bisogno di visitare in cerca della sua guarigione. Nel racconto originale Ragnell rivela che la cosa che la donna desidera di più è la Sovranità, il riconoscimento completo della sua sacra ed innata libertà, quindi il significato del racconto va oltre l’aspirazione legittima della donna a non essere sottomessa dall’uomo, ma ci viene detto che la donna è il simbolo della terra stessa che ci ospita, che va rispettata e non posseduta. Secondo le antiche leggende un re avrebbe dovuto sposare simbolicamente la Terra sulla quale avrebbe regnato, impersonata da una donna alla quale egli doveva unirsi, e avrebbe dovuto riconoscerle la Sovranità e il pieno rispetto. Se però questi fossero venuti a mancare il re avrebbe fallito il suo compito e la Terra si sarebbe tramutata in Landa Desolata, sterile, improduttiva ed inospitale. Allo stesso modo egli non sarebbe più stato in grado di riconoscere i volti della Sovranità e li avrebbe disprezzati. La terra stuprata, ferita, ripudiata e insultata assume così l’aspetto orrendo di Ragnell. Gawain era un cavaliere dal cuore puro e dall’anima luminosa, perciò era in grado di guardare oltre l’esteriorità ed accettare sia la luce che il buio, guarendo sia la donna che la terra tramite l’amore che portava dentro di sé. Grazie a Gawain, che ha accettato il proprio limite e ha riconosciuto pienamente il potere femminile, la Terra Desolata rifiorisce.
Accettare entrambi gli aspetti della Sovranità permette di regnare con giustizia come Re Sacri. Prima di godere dello splendore della Terra fertile e donatrice di frutti, bisogna prima apprezzare ed amare le creature e i luoghi che appaiono ripugnanti e selvaggi. Solo coloro che rispondono alla misteriosa domanda, che altri non è se non la richiesta più naturale e ovvia che la Terra potrebbe fare, sanno scalfire la superficie per conoscere l’oro che essa cela, comprendendo la vera natura delle cose, la loro perfetta armonia fatta di opposti e la bellezza in ogni sua forma.
La storia narrata rappresenta molto bene anche il passaggio dalla stagione invernale e sterile che ha il volto della Vecchia alla stagione primaverile che ha il volto della Fanciulla e che sono i volti della stessa Dea, Una e Triplice: Fanciulla, Madre, Anziana.

E come tu mi vedesti ripugnante, bestiale, orribile dapprima, e bella dopo, così è la Regalità; perché di rado la si conquista senza scontri e conflitti, ma alla fine essa è bella e attraente per tutti.”

Le avventure dei figli di Eochaid Mugmedon
, in Saghe e Leggende dell’antica Irlanda, di G. Agrati e M. L. Magini.

Riflessioni ispirate da:
http://www.ynis-afallach-tuath.com/public/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=57

giovedì 9 giugno 2011

Le tessitrici del destino


Le Tre Sorelle del Wyrd erano comuni a tutte le culture nell’antica Europa occidentale: venivano chiamate le Tre Norne nella cultura scandinava, le Parche nella mitologia romana e le Moire in quella greca. La loro immagine è molto forte e peculiare (non esistevano i Fratelli del Wyrd) ed era così diffusa da superare le barriere linguistiche tra i vari ceppi tribali. Perciò possiamo concludere che i Greci, i Romani e gli europei nordoccidentali condividevano alcune idee fondamentali su queste tre figure fondamentali onnipotenti attestate almeno a partire da seimila anni fa.
In un antico poema islandese le Norne sono descritte mentre arrivano in un luogo che si chiama Bralund, dove assistono una donna di nome Borghilde mentre dà alla luce il figlio Helgi, un futuro re:

Poi venne Helgi, dal cuore generoso,
nato in Bralund da Borghilde.

Era calata la sera quando giunsero le Norne,
dispensatrici dei giorni futuri per il principe:
il suo destino, predissero, sarà di conquistare la fama
e di essere creduto il più ardimentoso dei re.

Là, nella vasta corte di Bralund
tesserono i fili del suo eccezionale destino:
allungarono i filamenti dorati  e li annodarono sotto la dimora della luna.


In questa visione molto bella e solenne le Sorelle del Wyrd arrivano di notte, alla luce della luna, e predicono il destino del bimbo: Helgi sarebbe diventato famoso come “il più ardimentoso dei re”. Poi tesserono i fili che avrebbero creato lo svolgimento della sua vita, facendo avverare il pronostico sul suo avvenire. Questi fili, che connettono e racchiudono energia, sono immaginati come filamenti d’oro, che per la loro natura e per il modo in cui sono annodati, creano alla nascita uno schema di vita per il neonato. Vengono allungati e annodati “sotto la dimora della luna”. Questa poetica immagine dorata ci colpisce. Il nostro destino è visto come un intreccio di fibre dorate e scintillanti legate alla luna. Fili d’oro che si allungano dalla sede della luna, forse che si estendono persino dalla singola persona fino alla luna: è una visione in cui il destino di una persona può essere scorto nel cielo notturno, come le esili strisce di luce che si formano quando si guarda la luna con le palpebre socchiuse. Forse l’ordito del destino era tessuto dell’attrazione gravitazionale della luna; come muove le maree nei grandi oceani, così muove il liquido dei nostri cervelli e dei nostri corpi.L’immagine è inoltre collegata allo svolgimento della vita individuale di ciascuno. La parola anglosassone “gewaef” significa “tessuto” e il vocabolo affine “gewif” significa “fortuna”. Tessitura e destino, nell’immaginario dei nostri antenati, erano la stessa realtà. Essi immaginavano che nell’indole di ciascuno di noi alla nascita fosse stato creato un ordito che stabiliva il corso della nostra vita e che era stato intrecciato con filamenti dorati dalle Sorelle del Wyrd. L’idea si basa sulla pratica del filare e del tessere che erano aspetti importanti nella vita quotidiana delle popolazioni tribali dell’antica Europa. Certamente questa concezione presenta qualche somiglianza con quella delle tribù Kogi della Colombia, la cui suggestiva cosmologia è sopravvissuta fino a oggi ed è stata ampiamente divulgata in anni recenti. I Kogi credono che la Terra sia un vasto telaio nel quale il sole tesse due pezze di stoffa ogni anno. L’asta superiore del telaio è data dal percorso apparente del sole lungo il cielo al momento del solstizio d’estate, mentre l’asta inferiore rappresenta il suo cammino durante il solstizio d’inverno. L’intreccio al centro è il punto di intersezione delle diagonali intrecciate dai punti dove il sole sorge e tramonta durante i due solstizi. Sembra che i nostri antenati europei abbiano pensato a un isoformismo tra l’esistenza individuale e il movimento delle grandi forze dell’universo. Il telaio della vita su scala macrocosmica era identico al telaio delle vite individuali. I percorsi del sole e della luna erano connessi inestricabilmente a quelli della nostra vita individuale e formavano lo schema unico di svolgimento delle nostre esistenze. Così si esprime l’artista e scrittrice Monica Sjöö, parlando in generale delle concezioni del mondo dei popoli indigeni: “La mente cosmica e quella umana non sono essenzialmente diverse o separate così come non lo sono il corpo cosmico e quello umano. Tutto è interconnesso in una vasta trama… una tessitura universale in cui ogni cosa individuale o forma vitale è come un nodo di energia o punto di congiunzione tra le vibrazioni del modello universale”. Nei procedimenti familiari che stavano alla base della produzione dei tessuti per i vestiti, le coperte, gli arazzi e così via, si può scorgere un’ulteriore espressione dell’idea che la vita sia costituita dall’intreccio dei fili delle fibre. La filatura e la tessitura, attività di esclusiva pertinenza femminile, implicavano l’idea che le nostre vite individuali sono strutturate dalla filatura alla nostra nascita di sottili strisce di fibre, che con i loro avvolgimenti e intrecci ci mantengono lungo un certo percorso, tessendo per noi lo schema della vita. I popoli dell’antica Europa indossavano abiti di lino o di lana. Il lino è una fibra proveniente dal gambo del lino, una pianta dai fiori azzurri che produce un materiale di colore chiaro. Ma il materiale più usato era la lana, ricavata dalle pecore. La tosatura delle pecore era fatta soprattutto dagli uomini. Le donne lavavano e pettinavano la lana, poi la filavano e la tessevano. La filatura era eseguita da una donna che con le dita assottigliava la lana girando il filo intorno a un fuso. Il fuso veniva fatto roteare su se stesso in modo da torcere il filato e da renderlo più robusto. I telai per la tessitura erano verticali. Dalla cima del telaio pendevano fili di lana tenuti in tensione da alcuni pesi: questo era l’ordito. Fili alterni dell’ordito venivano attaccati a una sbarra di legno chiamato liccio. Il liccio era mobile. Spostandolo verso di sé la donna tendeva i fili che vi erano attaccati in modo che si trovassero davanti agli altri pendenti dalla cima del telaio. La donna poi faceva scorrere un filo orizzontale, detto filo della trama, da un capo all’altro fra i due gruppi di fili dell’ordito, iniziando dalla cima del telaio. Poi la donna allontanava da sé il liccio. Questo movimento consentiva ai fili attaccati al liccio di passare dietro agli altri fili pendenti del telaio. La donna a questo punto riportava indietro il filo della trama nello spazio creatosi tra i fili attaccati al liccio e i fili pendenti dal telaio. Questa azione veniva ripetuta più e più volte e la donna spingeva verso l’alto i fili della trama per rendere compatto il tessuto che aveva già intrecciato. Scavi archeologici in tutta Europa hanno portato alla luce molti esemplari di attrezzi usati dalle donne per questo lavoro, compresi fusi, forbici, scatole da lavoro, aghi e pesi dei telai ossia quegli anelli di terracotta che venivano legati ai fili dell’ordito per tenerli in tensione. Ma filare e tessere per le donne della cultura del Wyrd significavano qualcosa in più che la semplice produzione di indumenti e di coperte, per quanto questo aspetto materiale fosse importante; il loro rapporto con quel lavoro era simile a quello che vediamo esistere ancora oggi in molte culture indigene sopravvissute. A esempio fra gli indiani Navajo del Nordamerica le tessitrici “si considerano ispirate direttamente dalla Grande Donna Ragno, la tessitrice originaria dell’universo”. Le coperte tessute vengono considerate espressioni organiche dei poteri speciali delle donne tessitrici. “Ogni coperta con il suo suggestivo disegno ha un significato spirituale e si pensa che offra potenza e protezione a chi la indossa”. Nei tessuti antichi si usava un linguaggio figurativo altamente simbolico per comunicare miti e leggende. Filare e tessere erano attività investite di poteri magici e in numerosi sacelli neolitici dedicati a una divinità femminile sono stati trovati fusaioli con iscrizioni. Nella cultura dell’antica Europa le Tre Sorelle erano le “tessitrici originarie dell’universo”. Erano anche note come le Figlie della Notte e vivevano in uno spazio sacro in una caverna vicino a una pozza nella quale sgorgava copiosamente acqua pura. La piscina era alla base dell’Albero del Mondo, dove le Sorelle filavano di notte alla luce della luna. I loro fili formavano i destini degli individui; erano i fili della vita. La creazione, la lunghezza e il termine della vita di ogni individuo ricadevano sotto il loro dominio. Le Parche, le tre sorelle del mito greco, avevano ciascuna una sua funzione: una filava, l’altra misurava la lunghezza dei fili e la terza li tagliava. È probabile che si credesse che le Sorelle del Wyrd agissero allo stesso modo: una creava i fili d’oro, l’altra li stendeva in maniera che riflettessero e determinassero lo svolgimento della vita e una terza li tagliava e con ciò stabiliva l’estensione di ogni filo e perciò la durata di ciascuna vita. Nei miti islandesi una delle tre sorelle si chiamava Urdr, che significa “Wyrd”, svolgimento della vita. Un’altra si chiamava Verdandi, participio presente del verbo verda, che significa “essere” o “divenire”. Forse potremmo chiamarla l’Essere. “Essere” nel Wyrd è uno stato della vita. La terza si chiamava Skuld, che significa qualcosa di dovuto, un debito da saldare, un obbligo da adempiere. Talvolta queste tre grandi forze vengono compendiate sotto la rappresentazione del Fato, dell’Essere e della Necessità. Le sorelle sono responsabili del destino di un individuo alla sua nascita e stabiliscono anche la conclusione della sua vita. Talvolta sono raffigurate come se decidessero il destino degli uomini durante le battaglie. L’obbligo, il debito di Skuld poteva rappresentare la morte… la riscossione dei debiti della vita di ciascuno al momento designato per la morte. In un racconto che si intitola Njal’s Saga ci si riferisce alla morte come “a un debito che tutti dobbiamo pagare”. Certamente un aspetto importante del dominio delle sorelle sembra essere quello che esercitano sul termine della vita e questa testimonianza lo conferma. Ma la morte è un debito pagato a chi? L’implicazione avvincente è che la vita sia un dono, o almeno un prestito, che costituisca un debito che abbiamo contratto e che infine onoreremo con la nostra esistenza o meglio con la morte. Le datrici della vita sono le Sorelle del Wyrd e perciò sembra che il debito venga pagato a loro. E poiché le Sorelle del Wyrd rappresentano forze di equilibrio nel cosmo – la Terra e il cielo –, è a questo principio cosmico “che dobbiamo la nostra vita”. La vita che conduciamo porta con sé una responsabilità, come se dovessimo qualcosa a qualcuno. Alla Terra? Gli intrecci dei fili che manifestano le forze nascoste dell’universo vengono anche tessuti in schemi del destino per le nostre vite individuali. Ma si tratta di un’idea molto diversa dalla nozione di libero arbitrio adottata inconsciamente dalla maggior parte di noi nel mondo occidentale; sembra piuttosto un’idea simile al determinismo e ci fa sentire a disagio. Come si ponevano i nostri antenati davanti a questo problema? Esistono  tra le persone differenze naturali circa il grado in cui ciascuna di esse attribuisce gli avvenimenti della propria vita al mondo esterno o alle proprie azioni. Nel complesso concepiamo la nostra vita quotidiana come una lotta della nostra volontà libera per ottenere scopi che sono alla nostra portata. Affrontiamo i rischi, combattiamo contro i condizionamenti sociali, cerchiamo di dominare i dubbi e le paure interiori. Sentiamo di disporre del libero arbitrio di forgiare il nostro destino, la nostra fortuna e in base a questa idea accettiamo la responsabilità dei nostri difetti, dei nostri fallimenti, dei sogni infranti. Questa libertà può essere crudele, punitiva e negatrice della vita. Ma noi la abbracciamo comunque, perché l’idea opposta ci sembra il determinismo e pensare che le nostre vite siano preordinate e già disposte su un percorso prefissato ci sembra agghiacciante; la concezione deterministica non lascia spazio per il nostro agire. Per noi il libero arbitrio è la libertà di scegliere. Fatto interessante, quando cominciamo a sentire che le nostre vite sono largamente determinate, che le forze schierate contro di noi sono schiaccianti, che gli esiti sono inevitabili e al di là della nostra capacità di controllo, il nostro stato psicologico viene speso etichettato come stato depressivo. L’idea che noi possediamo il libero arbitrio dipende in certa misura dall’idea che siamo in grado di condurre la nostra vita razionalmente e logicamente, assumendo decisioni consapevoli. Oggi, nel mondo degli affari, nell’esercito, nell’istruzione siamo sempre più indotti a cercare di comprendere la nostra vita costruendo modelli di un tale supposto processo decisionale razionale mediante il ricorso al linguaggio dei calcolatori. Pensiamo ai nostri processi cognitivi in termini di elaborazione dati, di programmi logici, di immissione e uscita, di informazioni di ritorno e così via. L’idea che il nostro pensiero funzioni come un computer rafforza il presupposto che noi siamo esseri che prendono decisioni logiche basate su informazioni concrete. E quando commettiamo errori, quando la nostra vita prende direzioni diverse da quelle che avevamo scelto consapevolmente, supponiamo che sia così perché le nostre informazioni non erano corrette o perché non erano sufficienti o perché abbiamo sbagliato nel valutare il peso e la dimensione di quella scatolina dentro di noi che chiamiamo le “emozioni”. Ma ovviamente un’altra concezione è che le nostre vite siano tutt’altro che logiche. Siamo dominati da passioni profonde, da desideri, paure e cupidigie, da impulsi potenti che riconosciamo a fatica e che affiorano nel profondo nei nostri sogni per poi ripiombare nel buio. E anche se possiamo essere consapevoli di questo aspetto e assumere le nostre decisioni nel modo migliore, non riteniamo che quelle funzioni cognitive di cui siamo consapevoli siano gli unici fattori o anche i fattori primari che tessono la trama della nostra vita. Ma la distinzione tra libero arbitrio e determinismo è troppo schematica e riduce a un’antitesi semplicistica un paesaggio sconfinatamente più ricco e complesso di energie che interagiscono e che fluiscono senza sosta. 

 Da: 
La sapienza di Avalon di Brian Bates