giovedì 29 marzo 2012

Segni, presagi, divinazione



 Inviato in missione nelle foreste dell’Inghilterra pagana dell’Alto Medioevo, Wat Brand, un giovane scriba cristiano, scopre l’inadeguatezza della sua visione del mondo. Il paesaggio rassicurante della campagna inglese non è più quello che sembrava: improvvisamente si rivela popolato da spiriti misteriosi e attraversato da poteri e forze soprannaturali. Guidato da Wulf, uomo dalla carismatica fede mistica e dalle formidabili doti sciamaniche, Brand viene introdotto alla conoscenza del WYRD: il principio e la potenza che determina il destino di ogni uomo.


“Una fusione di Carlos Castaneda e Tolkien.”
                                                 Time Out Magazine

All’improvviso fissò il fiume alle mie spalle e il suo sorriso si trasformò in un’espressione preoccupata. Seguii il suo sguardo verso un boschetto sulla sponda a sud, ma non scorsi niente di insolito. Mi detersi comunque l’acqua dagli occhi e subito notai due grossi corvi neri, appollaiati sui rami più bassi di un salice piangente, perfettamente immobili come figure di un arazzo. La loro immobilità mi affascinò stranamente. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli uccelli; lentamente i rumori della foresta si affievolirono allontanandosi, come se stessi scivolando in un sogno.
I corvi agitarono in silenzio le grandi ali nere, si levarono in volo e calarono sul fiume venendo proprio nella mia direzione. Continuarono a volare bassi a pelo d’acqua e, all’ultimo minuto, fui costretto ad abbassare la testa sotto la superficie. Passarono qualche centimetro sopra di me, con le ali ondeggianti come i grandi remi di una barca che si lancia all’assalto. A bocca aperta e sputando l’acqua del fiume mi girai a guardarli, mentre si allontanavano come frecce, finché entrambi bloccarono simultaneamente le ali, salirono sfruttando il vento e, sempre planando, ridiscesero verso la sponda settentrionale del fiume. Scomparvero all’improvviso e io fissai smarrito il punto in cui si erano dileguati.
“I lacci della morte questa sera avvinceranno qualcuno.”
Mi riscossi al suono della voce di Wulf, poi le mie orecchie schioccarono e i rumori della foresta tornarono a risuonarmi in testa con il nitore dei rintocchi di una campana.
“I corvi ci hanno parlato” sentenziò Wulf, accostandosi a me nell’acqua. “Quando gli uccelli volano in quel modo, il presagio è grave. Stanotte un guerriero morirà.”
“Solo il Creatore Onnipotente detta il destino degli uomini” risposi con fermezza.
“Non ci sono altre forze?” chiese gentilmente Wulf. “E il destino scritto nelle stelle?”
Sbuffai irridendolo, anche se mi sforzai di moderare il tono della mia replica.
“Alcuni, che non sanno quello che dicono, affermano che ogni uomo è nato secondo la posizione delle stelle e che il suo destino è segnato dal loro corso. Ma l’uomo non è stato creato per le stelle; piuttosto, le stelle sono state create per l’uomo, per dare luce durante la notte. Se questo vale per le stelle, come può il semplice volo degli uccelli dirci qualcosa su eventi lontani nel tempo e nello spazio?”
Eappa sarebbe stato soddisfatto di me; avevo ripetuto i suoi insegnamenti alla lettera. Mi girai per riguadagnare la riva, ma Wulf repentinamente mi afferrò il braccio e io lo fissai allarmato, i suoi occhi azzurri, sotto le ciglia imperlate d’acqua, avevano uno sguardo penetrante. Parlò con convinzione:
“È un errore ritenere che gli eventi distanti nel tempo siano perciò separati. Tutte le cose sono collegate come nella più sottile tela di ragno. Il movimento più lieve di ogni filo può essere percepito da tutti i punti della tela. Il volo di quegli uccelli ha fatto vibrare i fili che sono indivisibilmente collegati con le vicende degli uomini.”
“Wulf, vuoi dire che i corvi che abbiamo appena visto uccideranno un guerriero stanotte?”

“Immagina di assistere a una scena in cui un corvo si fionda dal cielo su un guerriero e gli stacca un occhio” disse sdraiandosi sull’erba. “Tu diresti che il volo dell’uccello è direttamente collegato con la ferita. Ma se tu avessi osservato il volo dello stesso corvo una mezza giornata prima dell’attacco, non vedresti alcun collegamento con la ferita del guerriero. Tuttavia lo schema del volo di un corvo a mezzogiorno è collegato allo schema del suo volo all’imbrunire, così come si passa dal giorno alla notte. Si può leggere lo schema e così capire che cosa ha in serbo il futuro.”
Si sollevò a sedere e mi fissò intensamente.
“Tu etichetti con le parole ogni frammento del mondo e poi confondi la tua riserva di parole con la totalità della vita. Tu vedi la vita come se stessi osservando una stanza alla luce di una sola candela che viene spostata da un punto all’altro; e commetti l’errore di presumere che le piccole aree, che vedi una per volta e una dopo l’altra, siano separate e non possano essere viste come un’unità. Poiché vedi come separate le piccole aree della tua vita, devi inventare i modi per collegarle. Questo è l’inganno della visione della vita del senso comune, perché in realtà tutto è già da sempre collegato. La Terra di Mezzo è una stanza collegata da migliaia di candele.”

“I presagi spaventano le persone comuni perché queste credono che siano predizioni di eventi destinati ad accadere: moniti che provengono dalla sfera del destino. Ma ciò significa fraintendere la reale natura dei presagi. Uno stregone può leggere i presagi come indicatori di schemi, dai quali si può contemplare la trama del Wyrd e dai quali si possono inferire le connessioni tra diverse parti degli schemi.”

“Per capire la nostra tradizione, devi imparare il vero significato del Wyrd, abbandonando la versione falsificante che ne danno i tuoi maestri per i loro scopi. Ricordi che ti ho detto che il nostro mondo iniziò con il fuoco e con il gelo? Da soli né il fuoco né il gelo possono realizzare alcunché. Ma insieme possono creare il mondo Tuttavia devono conservare un equilibrio, perché troppo fuoco scioglierebbe il gelo e troppo gelo spegnerebbe il fuoco. Ma poiché il mondo degli dèi, la Terra di Mezzo e la Terra dei Morti sono costantemente animati dal matrimonio del fuoco e del gelo, essi dipendono dall’equilibrio e dal ciclo eterno della notte e del giorno, dell’inverno e dell’estate, della donna e dell’uomo, del debole e del forte, della luna e del sole, della morte e della vita. Queste forze e altre innumerevoli formano i punti terminali di una gigantesca rete di fibre che copre tutti i mondi. La rete è la creazione delle forze e i suoi fili, che rilucono di energia, passano attraverso tutto.”

“Puoi cominciare da qualunque punto della rete e scoprire che sei tu al centro.”

“Il Wyrd esisteva prima degli dèi ed esisterà dopo di loro. Tuttavia il Wyrd dura solo un istante, perché è la costante creazione delle forze. Il Wyrd è esso stesso un mutamento costante, come le stagioni; tuttavia, poiché è creato a ogni istante, è immutabile, come il centro quieto di un vortice. Tutto ciò che noi possiamo vedere sono le increspature che danzano sulla superficie dell’acqua.”

Lo schema del Wyrd è come la venatura del legno o il flusso di un corso d’acqua; non si ripete mai esattamente nello stesso modo. Ma i fili del Wyrd attraversano tutte le cose e noi possiamo schiuderci alla comprensione dei suoi schemi osservando le increspature quando il Wyrd ci passa accanto. Se tu vedi le increspature in uno specchio d’acqua, sai che qualcosa è caduto nell’acqua. E quando io vedo certe ondulazioni nel volo degli uccelli, so che un guerriero morirà.”

“Niente può accadere senza il Wyrd, perché è presente in tutto, ma il Wyrd non fa accadere le cose. Il Wyrd è creato ad ogni istante e perciò è l’accadimento.”

“Qualche volta sono spessi come canapi. Ma i fili del Wyrd sono una dimensione di noi stessi che non possiamo afferrare con le parole. Noi filiamo tele di parole, ma il Wyrd vi passa attraverso come il vento. I segreti del Wyrd non giacciono nei nostri tesori di parole, ma sono chiusi nell’anima. Con le parole possiamo solo discernere le ombre della realtà, mentre le nostre anime sono capaci di incontrare direttamente la realtà del Wyrd. Per questo il Wyrd è accessibile allo stregone: lo stregone vede con l’anima, non con occhi schermati dalle parole.”

“Tu soffochi la tua forza vitale con le parole. Non vivere la tua vita cercando risposte nel tuo tesoro di parole. Troverai solo parole per razionalizzare la tua esperienza. Lascia che il tuo animo si schiuda al Wyrd ed esso purificherà, rinnoverà e svilupperà lo scrigno della tua ragione. Il tesoro delle parole dev’essere al servizio della tua esperienza e non viceversa.”

“Le parole possono avere una potenza magica, ma possono anche renderci schiavi. Noi afferriamo dal Wyrd tenui soffi di vento e li immagazziniamo nei polmoni sotto forma di parole. Ma con ciò non abbiamo catturato un frammento di realtà, da scrutare ed esaminare come se ci offrisse una veduta sul Wyrd. Possiamo anche commettere l’errore di scambiare le nostre manciate d’aria per il vento o una brocca d’acqua per la corrente dalla quale è stata presa. In questo modo siamo schiavizzati dalla nostra capacità di nominare le cose.”

“I pensieri sono come gocce d’acqua. Cadono, si infrangono e poi si disseccano. Ma il mondo del Wyrd è come il potente oceano dal quale sorgono le gocce di pioggia per poi ritornarvi sotto forma di fiumi e di ruscelli.”

“I segni runici sono come le nubi del Wyrd che si muovono. Tutti possono apprendere le dimensioni e la formazione di ogni segno, ma il modo di interpretare un insieme di segni in un contesto particolare richiede la sapienza di uno stregone. Non vanno letti come un semplice gruppo di suoni, perché le rune sono state sviluppate dagli spiriti collegando tutti i cicli e le forze che dominano la Terra di Mezzo.”

“Il Wyrd è troppo vasto e complesso perché lo si possa comprendere, in quanto noi stessi ne siamo parte e non possiamo distaccarcene per osservarlo come se fosse una forza separata da noi. Come un pescatore non può vedere tutta la distesa dei mari, così neppure uno stregone può vedere la totalità del Wyrd. I messaggi trasmessi dalle rune sono come una buona pesca: abbastanza perché ci si possa nutrire finché le maree della vita ci riportano indietro.”

“Le forze del Wyrd sono come i venti e le maree per un pescatore. Se li conosce, il marinaio può orientare le vele nel modo appropriato. Può disporsi in armonia con le forze naturali e sfruttare il loro potere. Ma ciò non significa che possa mutarle.”

“Ogni lettera runica è una rappresentazione completa del Wyrd. Come una goccia d’acqua riflette un’immagine perfetta di tutto ciò che la circonda, così ogni runa riflette la totalità del Wyrd. Il ritmo del Wyrd può essere osservato a ogni livello, siano i moti delle stelle attraverso il cielo o le figure tracciate in un pezzo di terra.”

“Gli uccelli mi parlano esattamente come fai tu e il loro linguaggio mi è altrettanto chiaro. I loro versi sono come incantesimi del Wyrd.”

Da: La via del Wyrd di Brian Bates

Il Wyrd



Inviato in missione nelle foreste dell’Inghilterra pagana dell’Alto Medioevo, Wat Brand, un giovane scriba cristiano, scopre l’inadeguatezza della sua visione del mondo. Il paesaggio rassicurante della campagna inglese non è più quello che sembrava: improvvisamente si rivela popolato da spiriti misteriosi e attraversato da poteri e forze soprannaturali. Guidato da Wulf, uomo dalla carismatica fede mistica e dalle formidabili doti sciamaniche, Brand viene introdotto alla conoscenza del WYRD: il principio e la potenza che determina il destino di ogni uomo.


“Una fusione di Carlos Castaneda e Tolkien.”
                                                 Time Out Magazine

Il Wyrd è un concetto appartenente sia alla cultura celtica, che a quella antica norrena. La parola “Wyrd” deriva dall'antico inglese Wurdiz e dal protogermanico wurdís, "fato", radice dell'alto tedesco antico wurt e del norreno urðr.
Oggi la parola "weird" in inglese significa "strano", "inspiegabile", "bizzarro". Qualcosa di "weird" è al di là della normale comprensione. Ma nelle antiche culture europee, la parola aveva un senso molto diverso. Significava comunque “inspiegabile”, ma l'inspiegabile era il sacro, il fondamento vero e proprio dell'esistenza.
Il Wyrd può essere inteso come Fato, ma non tanto il Fato della singola persona, quanto la rete luminosa fatta di infiniti fili che rappresenta l'intreccio sacro dell'esistenza, dove ogni filo è legato agli altri, dove ogni uomo è legato agli altri.
Il Wyrd può essere interpretato come un grande arazzo della vita, che viene costruito esistenza dopo esistenza. All'interno di questa grande tela esistono scelte e volontà. Noi abbiamo il dovere di crescere, imparare ed evolverci all'interno di esso, ma questo non è qualcosa che avviene in maniera automatica. Le nostre scelte ci permettono di decidere quale parte avere nel Wyrd.
Nel Wyrd il tempo inteso in senso lineare non esiste, il tempo stesso è parte dell'intreccio e al contempo non lo coinvolge. Tutto ciò che accade nella tela del Wyrd accade nell'istante eterno. Il tempo "umano" è un'illusione dell'uomo, il Wyrd esiste oltre di esso.
Il Wyrd è l'arazzo intrecciato dalle Dee Filatrici, legate dalla filatura del Destino e dalla Fortuna e Sfortuna, dunque dagli atti luminosi e oscuri che influenzano la trama intera e ne determinano i movimenti. La vita è così, allo stesso modo. “Tramare” è decidere cosa verrà disegnato sulla tela e quale energia imprimere, poiché dalla forza che mettiamo nei nostri atti il risultato sulla tela potrà modificarsi drasticamente.

Da: La via del Wyrd di Brian Bates

mercoledì 28 marzo 2012

Connla e la fanciulla fatata


Connla era figlio di Conn Cétchathach (“delle cento battaglie”), un leggendario re supremo irlandese, antenato dei Connachta, e, attraverso il suo discendente Niall Noígiallach, delle dinastie degli Uí Néill. Conn Cétchathach era a sua volta figlio di Fedlimid Rechtmar (“il legittimo” o “l’appassionato, il furioso”, chiamato anche Rechtaid, “il giudice,il legislatore”).
Conn Cétchathach prese il potere spodestando dal trono Mal, che aveva ucciso suo padre. Ottenne l'epiteto di Cétchathach per le sue guerre contro i Dál nAraidi (a volte latinizzato in Dalaradia, da non confondere con Dál Riata, latinizzato in Dalriada), un regno del popolo dei Cruithne (i leggendari Pitti), nel nord-est dell'Irlanda del I millennio, incentrato sulle coste settentrionali di Lough Neagh, nell'Antrim.
Il suo rivale per la sovranità dell'Irlanda fu il re del Munster, Éogan Mór, anche conosciuto come Mug Nuadat, che, dopo molte battaglie, fu definitivamente sconfitto e ucciso quando Conn guidò un attacco notturno in cui sbaragliò definitivamente il nemico.
Il figlio di Mug, Tibride Tirech, uccise Conn a Tara.
Quello dei Dál nAraidi fu il secondo regno dell'Ulster, i cui sovrani contesero per alcuni secoli ai Dál Fiatach il titolo di sovrani supremi. È possibile che il regno di Dál nAraidi sia invece stata una libera confederazione di piccoli reami, durata fino all'VIII secolo. Da questo momento in poi, i re dei Cruithne non ebbero più alcun controllo sulla monarchia suprema dell'Ulster

Connla dalla Fiera Capigliatura era figlio di Conn delle Cento Battaglie.
Un dì che stava al fianco di suo padre sulla cima di Usna, vide una giovane abbigliata in modo  insolito venire verso di lui.
“Da dove vieni, giovinetta?” domandò Connla.
“Provengo dalle Piane del Sempre Vivo – dichiarò lei, – in quel luogo non c’è né morte né peccato.
Laggiù noi ci prendiamo un’eterna vacanza, e non abbiamo necessità di alcuno, la nostra gioia è assoluta.
Il nostro piacere si distende senza contese o pene. E per il fatto che abbiamo dimora nelle tonde colline verdi, gli uomini ci chiamano la Gente della Collina”.
Tranne Connla, nessuno vedeva la fanciulla fatata.
“Con chi, dimmi, stai parlando ragazzo mio?” chiese Conn il re.
Allora la fanciulla rispose:
“Connla sta comunicando a una giovane e buona ragazza che non vedrà né la morte né la vecchiaia.
Io amo Connla, e sono comparsa a invitarlo perché venga nella Piana del Piacere, Moy Mell, dove continuamente regna Boadag, e da quando egli regna non c’è stata in quella terra malattia alcuna né pena. Oh, vieni con me Connla dalla fiera capigliatura rosso acceso come l’alba e con la tua fulva pelle. Una leggiadra corona ti attende per abbellire il tuo bel volto e il magnifico aspetto.
Vieni, e mai si dissolverà la tua bellezza, né la tua gioventù, fino al giorno ultimo e tremendo del Giudizio”.
Il re, avendo timore delle parole che la fanciulla pronunciava, e che egli avvertiva pur non potendo scorgerla, chiamò forte il suo druido, di nome Coran.
“Oh, Coran dei molti incantesimi – disse – e maestro di magia, imploro il tuo aiuto. Un compito mi grava, troppo grande malgrado tutta la mia esperienza e intelligenza, più grande di qualsiasi altro mi sia capitato da quando ho conquistato il regno.
Senza rivelarsi, una ragazza è venuta a noi, e col suo potere vuol brandirmi il mio caro, il mio bel figlio. Se non dai la tua assistenza, egli sarà privato al tuo re per mezzo delle scaltrezze e degli stregonerie di una donna.”
Allora Coran il druido avanzò e proferì le sue formule in direzione del posto in cui era stata udita la voce della fanciulla. E nessuno sentì più la sua voce, né Connla la vide più. Solo che, scomparendo davanti alla potente formula magica del druido, ella buttò una mela a Connla. Per un mese intero da quel giorno, Connla non prese nulla da mangiare o da bere se non quella mela.
Ma appena la mangiava, essa cresceva di nuovo e restava sempre intera. E nel frattempo crescevano nell'animo di lui una forte nostalgia e un desiderio intenso della giovinetta che aveva visto. Quando tuttavia venne l’ultimo giorno del mese, Connla, che si trovava al fianco del re suo padre sulla Piana di Arcomin, scorse di nuovo la ragazza giungere verso di lui, e di nuovo gli parlò.
“È veramente un luogo famoso questo su cui poggiamo i piedi di Connla, tra i fuggevoli mortali in attesa solo del giorno della morte.
Ma adesso, il popolo della vita, gli immortali, ti domandano e ti invitano a venire a Moy Mell, la Piana del Piacere, poiché hanno imparato a conoscerti, guardandoti nella tua casa fra i tuoi amati”.
Nel momento in cui il re Conn sentì la voce della ragazza, convocò i suoi uomini, e disse:
“Fate arrivare presto il mio druido Coran, poiché io vedo che essa oggi ha di nuovo il potere della parola”.
Ribadì allora la fanciulla:
“Oh, coraggioso Conn, guerriero delle cento battaglie, la facoltà del druido non è molto stimata, ha poca capacità in questa grande terra, popolata di tanti aventi più grande diritto. Nel momento in cui la Legge verrà, saprà far piazza pulita delle formule magiche del druido, che giungono dalle labbra del falso demone nero”.
E re Conn osservò che da quando c’era la ragazza suo figlio Connla non comunicava ad alcuno che si rivolgesse a lui. Così Conn delle cento battaglie gli proferì:
“Sei d'accordo su ciò che la donna proferisce, figlio mio?”
“Per me è cosa dura – replicò Connla, – amo la mia gente sopra ogni cosa, ciononostante, ciononostante s’impadronisce di me una brama per quella ragazza”.
Nell’udire queste parole, la fanciulla rispose:
“L’oceano è meno potente delle onde della tua brama. Vieni con me sulla mia imbarcazione, la splendente barca di cristallo che scivola silenziosa. In poco tempo siamo in grado di giungere al regno di Boadag. Osservo calare già il lucente sole, ma per quando lontana sia la meta, possiamo giungervi prima del buio. Vi è ancora un’altra terra meritevole del tuo viaggio, una terra felice per tutti quelli che la cercano. Solo mogli e fanciulle vi dimorano. Se tu vuoi, possiamo cercarla e vivere là noi due soli in spensieratezza”.
Come la ragazza ebbe finito di parlare, Connla dalla fiera capigliatura corse via da essi e saltò sulla luminosa imbarcazione di cristallo che scivola silenziosa. E quindi tutti, il re e la corte, la videro andar via sul mare risplendente verso il sole al tramonto.
Distante, sempre più distante, fino a quando l’occhio non riuscì più a vederla, e Connla e la fanciulla fatata presero la via del mare, e non furono mai più visti, né alcuno mai seppe dove andarono

domenica 25 marzo 2012

La Casa del Vento

''Io sono la volontà degli Dei, io sono la vita. Io sono la Signora del plenilunio, colei che ritorna per ricordare ai Figli del Cielo l'Antica Arte. Io sono la Dea dell'amore che stende un mantello di stelle sopra la notte. Io annuncio l'alba e saluto il tramonto. Io possiedo il segreto di ogni incantesimo. Io sono colei che comanda la folgore. Io sono la rugiada che scende sui prati fioriti, la linfa che scorre nei boschi, che anima i venti e le acque, che sposa e feconda la terra, che nasce nel fuoco e alimenta la fiamma perenne che grida giustizia agli Dei. Io sono  colei che sconfigge la morte e spezza le catene della paura, io sono lo Spirito puro della Natura, lo Spirito libero dell'universo. Io sono la Gloria immortale della verità mai tradita. Io sono l'amore, io sono la vita. Io sono la figlia della Luce infinita''.
Canto di Aradia di G.G. Leland



Meglio arrivarci sull'imbrunire, al termine dell'estate, dalla parte di Pisa. Si vede così l'antica Badia, risparmiata appena dalle erosioni secolari delle Balze, immersa in un fuoco di arancioni e di gialli. E poi eccole lì, paurose, le Balze stesse, quelle antiche frane che si sono inghiottite quartieri interi, necropoli etrusche, monasteri, chiese romaniche. Con quella loro lentezza implacabile e impietosa sembrano minacciare la stessa Volterra. La rodono, almeno per ora, solo idealmente. Volterra si differenzia per il colore: quello dei muri, delle strade, e soprattutto quelli della campagna e del cielo. Insomma, quando guardi le sue colline, hai l'impressione di essere piombato di peso sulla tavolozza di un pittore. Ma il bello è che non occorre allontanarsi dalla città: lo spettacolo è lì a portata di mano, non appena ti affacci ad una delle porte cittadine, aperte in quelle mura medioevali che erano addirittura più piccole di quelle etrusche (IV-III secolo a.C.). E mentre guardi Volterra, gli Etruschi guardano te. Dovunque. A cominciare dalla Porta all'Arco, con le tre enigmatiche teste umane scolpite nell'archivolto e semicancellate dal tempo. Oppure dalla Porta Diana, fuori le mura medioevali. L'incuria non è riuscita a salvare l'arco, oggi rimangono solamente i lati ma è ancora così massiccia da essere chiamata familiarmente "il Portone ".
Una leggenda colloca infatti la nascita della città in un passato molto remoto affermando che fosse sorta per opera di Giano parente di Noè, ma senza scordare che Giano è stato un personaggio molto familiare della cultura etrusca, in specie volterrana, tanto che con la sua effige furono coniate le più antiche monete della città. Giano il Dio Bifronte, ma anche come Diano (Giano-Jano) consorte di Diana (Giana). Le coppie divine, Giove e Giunone da una parte, Diano e Diana, o Giano e Giana, dall'altra, non sono che reciproci duplicati, con nomi e funzioni originariamente identici. In quanto ai nomi tutti e quattro hanno la stessa origine ariana "di", che significa "splendente".
Chi ha un animo romantico o ama gli enigmi dovrebbe forse recarsi in un luogo indistinto a un paio di chilometri lungo la strada, in qualche punto tra la villa moderna con cani che abbaiano e il vecchio podere con filari di viti e girasoli. Non ci sono cartelli, per cui il viaggiatore non informato potrebbe passarci davanti inconsapevole del mistero.
Qui, cercando bene, c’è sul crinale il rudere di una casa, che da una posizione perfetta volge lo sguardo verso l’imponente città etrusca. Prima di diventare un cumulo di rovine, questa dimora custodiva segreti.





La leggenda dice che è tutto quel che rimane di una piccola tenuta della fine del tredicesimo o dell’inizio del quattordicesimo secolo, che un tempo fu la dimora di una famiglia benestante e signorile e della loro incantevole figlia. Del nome della fanciulla dobbiamo fare a meno, perché su di lei è fiorita una messe di leggende e la verità del suo nome fa parte dell’arcano. Basti dire che, in epoca cristiana, era una discepola della Natura, preferiva la compagnia di animali e uccelli e venerava Diana.
Questa donna ribelle può essere considerata un altro volto di Aradia, vera protagonista del I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane di Leland.
I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane è un libro scritto nel 1899 da Charles Godfrey Leland. Il libro è un tentativo di descrivere le credenze e i rituali di una oscura tradizione religiosa stregonesca toscana che, afferma Leland, era sopravvissuta per secoli fino alla scoperta della sua esistenza nel decennio del 1890.
Il testo ha una struttura mista. Parte di esso si propone come la traduzione inglese, per mano dell'autore, di un manoscritto originale italiano, il cosiddetto Vangelo. Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informazioni sulle tradizioni della stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni fornite da Maddalena.
Non si conoscono testi che contengano il nome Aradia in riferimento a Diana, ma era noto come nome latino. (In Italia esiste poi una Cà L'Aradia, nei dintorni di Urbino). Secondo alcuni, tra cui Raven Grimassi, che si avvale del privilegio di una tradizione orale della propria famiglia e stando alla testimonianza dei suoi avi materni, Aradia era una persona reale del quattordicesimo secolo provvista di una rara e affascinante eredità di stregoneria italiana, che poi ha tramandato ad altri.
Questa Aradia medievale coinciderebbe quindi con il personaggio della storia della Casa del Vento di Volterra.
La storia seguente potete trovarla all'interno di alcune edizioni de I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane. Il titolo esatto del manoscritto originale trascritto da Maddalena che l'aveva ascoltato da un volterrano, è La pellegrina della Casa del Vento.
Il racconto ricorda quello della coppia di innamorati di The Eve of St Agnes di Keats. Anche qui i due personaggi fuggono dal veto imposto dalla famiglia al loro amore con il favore di una notte tempestosa e corrono verso un destino sconosciuto, proprio come la “bella pellegrina” dei Canti di Aradia. Leland cita molti versi della poesia di Keats.

"C'è una casa contadina all'inizio della collina che in salita porta a Volterra ed è chiamata la "Casa del Vento". Vicino ad essa c'era un piccolo palazzo in cui vivevano una coppia di sposi che avevano un'unica figlia che adoravano. Se la bambina aveva anche solo un piccolo mal di testa, cadevano addirittura in preda al panico. A poco a poco la bambina crebbe ed il solo pensiero della madre era che diventasse suora. Ma alla ragazza non piaceva l'idea e sperava di sposarsi come tutte le altre ragazze. Un giorno, guardando dalla finestra, sentì cantare gli usignoli sulla vite e sugli alberi tanto allegramente.
Disse alla madre che sperava di avere una famiglia di uccellini che le cantavano attorno in un allegro nido. A sentire ciò, la madre si arrabbiò talmente che le diede uno schiaffo. La ragazza pianse, ma replicò con coraggio che, sebbene venisse trattata in tale maniera o picchiata, avrebbe presto trovato il modo di fuggire perché non voleva assolutamente diventare suora. A queste parole la madre si spaventò, perché conosceva lo spirito indomito della ragazza e temette che avesse già un innamorato e che avrebbe fatto uno scandalo su questa disgrazia. Pensando e ripensando, si ricordò di una vecchia signora di buona famiglia, ma ormai decaduta, nota per la sua intelligenza, la conoscenza e il potere di persuasione. Pensò quindi: "Questa è proprio la persona che può indurre mia figlia a diventare pia e ispirarle sentimenti di devozione, cosicché si faccia suora". Chiamò allora questa persona che una volta era governante e fedele servitrice della ragazza, la quale invece di litigare con la sua guardiana, le si era molto affezionata. Tuttavia nel mondo niente va esattamente come ci si aspetta, e nessuno sa se un pesce o un granchio si nasconde sotto la pietra del fiume.
Così accadde che la governante, non essendo affatto cattolica come sembrava, non vessò la sua pupilla con paure o con la esaltazione della vita monastica. Alla ragazza, che era solita restare sveglia nelle notti di luna a sentire cantare gli usignoli, pareva sentire la governante dalla stanza attigua, che aveva la porta aperta, alzarsi e andare sul balcone. La notte successiva accadde la stessa cosa. La ragazza si alzò molto silenziosamente e, non vista, scorse la donna che pregava, o quantomeno era inginocchiata al chiaro di luna.
La cosa le sembrò molto strana, anche perche pronunciava parole che la giovane non capiva e che senz'altro non avevano alcun carattere religioso. Essendo infine molto preoccupata per lo strano fatto, con timide scuse, disse alla governante ciò che aveva visto. Allora quest'ultima, dopo breve riflessione, chiedendole di mantenere il segreto dato che era una cosa di grande pericolo, le disse: "Da giovane i preti mi istruirono, come è successo a te, ad adorare un dio invisibile. Ma una vecchia in cui riponevo molta confidenza, mi disse: Perché adorare una deità che non posso vedere, quando c'è la Luna visibile in tutto il suo splendore? Adorala! Invoca Diana, la dea della Luna, e lei esaudirà le tue preghiere. Allora questo è quello che anche tu devi fare: obbedire al Vangelo di Diana, che è la regina delle fate e della Luna".
Persuasa, la ragazza si convertì all'adorazione di Diana e della Luna e, avendo pregato con tutto il suo cuore per avere un innamorato fu presto ricompensata dall'attenzione e dalla devozione di un coraggioso e ricco cavaliere, che era un corteggiatore così ammirevole come non si potrebbe desiderare di più. Ma la madre che era più predisposta ad una vendetta gratificante e ad una crudele vanità, piuttosto che alla felicità di sua figlia, si infuriò e quando il gentiluomo andò da lei, gli ordinò di andarsene poiché sua figlia era destinata a diventare suora e lo sarebbe stata, viva o morta. La ragazza fu rinchiusa nella cella di una torre senza neppure la compagnia della governante e sottoposta a dure e gravi pene, perché doveva dormire sul nudo pavimento. Sarebbe morta di fame se non avesse acconsentito all'idea della madre.
In questa situazione disastrosa pregò Diana di liberarla: subito trovò la porta della prigione aperta e scappò. Avendo avuto un abito da pellegrina, viaggiò in lungo e in largo, pregando ed insegnando la religione dei tempi antichi, la religione di Diana, regina delle fate e della Luna, la dea dei poveri e degli oppressi. La fama della sua saggezza e della sua bellezza si sparse per tutta la regione. La gente l'adorava chiamandola la Bella Pellegrina. Alla fine sua madre, saputolo, di venne furiosa più che mai e dopo molta fatica riuscì nuovamente a farla arrestare e chiudere in prigione. Quindi, arrabbiatissima, le chiese di nuovo se voleva diventare suora; al che rispose che non era possibile, dato che aveva abbandonato la Chiesa Cattolica ed era diventata una seguace di Diana e della Luna. La madre, considerandola ormai perduta, la consegnò ai preti perché la mettessero alla tortura e poi a morte, come facevano a tutti coloro che non erano d'accordo con loro o che avevano abbandonato la loro religione. Ma la gente non era d'accordo, perché tutti adoravano la sua bellezza e la sua bontà e c'erano poche persone che non avevano goduto della sua carità. Con l'aiuto del suo innamorato ottenne, come ultimo desiderio, che la notte prima di essere torturata e uccisa potesse andare a pregare, scortata da una guardia, nel giardino del palazzo.
Le fu concesso, e sulla soglia della casa - che esiste ancora - pregò Diana alla luce della luna piena, di essere risparmiata dall'orrenda persecuzione a cui era stata soggetta da quando i genitori l'avevano volontariamente destinata a quell'orribile morte. I genitori, i preti e tutti coloro che volevano la sua morte erano nel palazzo per controllare che non scappasse. Quando, in risposta alla sua preghiera, scoppiò una terribile tempesta e un vento opprimente, che si trasformò in un uragano quale nessuno aveva mai visto prima, che infine demolì e spazzò via l'intero palazzo con tutti coloro che vi erano dentro. Non rimase nemmeno una pietra sopra l'altra, né un'anima vivente tra i presenti. Gli Dei avevano risposto alla preghiera. La ragazza fuggì felicemente con il suo innamorato, si sposò e la casa contadina dove si rifugiò è tuttora chiamata la Casa del Vento".

Da: Il giardino delle erbe proibite di Titania Hardie

http://www.cortescontenti.it/cultivolterra.htm

mercoledì 7 marzo 2012

Mitologia sassone


Dalle loro terre d’origine gli Anglosassoni avevano portato un sistema di credenze religiose molto antico e diffuso, sia pure in forme differenziate, in molte parti dell’Europa continentale. Ma poiché si convertirono relativamente presto al Cristianesimo, non molte sono le testimonianze in terra britannica dei culti germanici di Wodan e di Thunor.
Sebbene il nome di molte località derivi da quello di questi dèi, come anche alcuni giorni della settimana, gran parte di quello che sappiamo appartiene alla versione scandinava.
Il culto degli dèi Wodan, Thunor, Fria, Volla, Balder, veniva praticato in santuari che contenevano immagini sacre. Questi templi non vennero distrutti dai cristiani, bensì trasformati in chiese; spesso l’immagine di Cristo veniva a trovarsi fra quelle degli dèi pagani, considerata non un’alternativa, ma un’integrazione delle credenze tradizionali.
I momenti culminati della religiosità pagana erano le feste: la festa della dea Eostre, diventata poi la festa della Pasqua (in inglese Easter); la festa del raccolto in agosto, in cui si celebrava l’abbondanza del pane, e le feste del ringraziamento per tutto il mese di settembre.
La religione non era nettamente distinta dalle superstizioni.
Gli Anglosassoni credevano all’esistenza di innumerevoli esseri soprannaturali: creature come elfi, folletti, silfidi popolavano i boschi, mentre nei luoghi desolati si temevano gli incontri con spiriti maligni, o giganti spietati divoratori di uomini. Si diceva che a guardia dei tumuli funerari sedessero draghi spaventosi.
Anche la magia faceva parte delle pratiche religiose: Wodan, il capo degli dèi, era “gran maestro di magie”. Si riteneva che i sacerdoti avessero poteri soprannaturali, come quello di legare le mani ai nemici intonando speciali formule, o di modificare il corso degli eventi con l’aiuto delle scritture runiche. Come gli sciamani asiatici, avevano la funzione di stabilire un contatto fra uomini e divinità.
Amuleti, incantesimi e pozioni magiche erano forme comuni in questa religione: fra i ritrovamenti sono frequenti i portafortuna a forma di martello, dal martello di Thunor che proteggeva i guerrieri e i contadini, racchiudendo in sé la potenza del tuono.
Le api erano considerate animali magici cui si dovevano comunicare tutte le notizie riguardanti la famiglia. Ogni novità veniva subito sussurrata all’alveare, perché si riteneva che altrimenti le api sarebbero fuggite, senza più fare ritorno.

Da: Celti e Vichinghi di Francesco Recami, Bianca Sferrazzo

Il nome del dio del tuono è naturalmente simile nelle varie tradizioni germaniche: abbiamo Thunar/Thunor per gli anglosassoni, Donner per i germani continentali, Thor nel nord (si potrebbe anche porre una corrispondenza col nome del dio celtico del tuono Taranis).
Tutti questi nomi sono collegati etimologicamente sia alla radice *dhunr "tuono?" che all'indoeuropeo *DR- , "quercia?" (albero sacro al dio tonante)

Da:
http://www.cancellidiasgard.net/

“Noi siamo persone semplici con credenze semplici. Adoriamo il sole, la luna e le stelle per il loro splendore lucente. Crediamo nel fuoco per il suo calore improvviso; e anche nell’acqua e nella terra perché nutrono tutte le cose.” Alzò le spalle con un gesto di noncuranza. “La nostra religione è questa. Dovresti portare a termine facilmente il tuo compito, perché non c’è davvero molto di più da conoscere.”

“Non val la pena di discutere dei nostri dèi. Sono sciocchi, sono come i figli viziati di un re da burletta” disse.

“Lascia che ti racconti una storia sul Tonante” proseguì Wulf ad alta voce, sogguardando il cielo con espressione melodrammatica di scherno. “Ti dimostrerà quanto sia sciocco. Una volta viaggiava nella terra dei giganti, quando arrivò alla dimora del gigante più potente di tutti e bussò alla porta chiedendo ospitalità.”
Questi rispose:
“Ammetto alla mia casa solo coloro che sono campioni di qualche arte. Una persona dappoco come te in che può sperare di sopravanzare i miei guerrieri giganti?”
“Qui nessuno potrà essere più veloce di me nel mangiare”.
“Venne portato un grande tagliere. Thunor si sedette da un lato e un guerriero gigante dall’altro ed entrambi si misero a mangiare il più in fretta possibile. Si incontrarono in mezzo al tagliere e Thunor pensò di essere stato almeno pari al gigante nella rapidità con cui aveva ingerito il cibo. Ma poi vide che mentre lui aveva ingerito gli ossi, il gigante si era mangiato tutto, carne, ossa e tagliere inclusi. Thunor aveva perso la gara.”
“Ma aspetta! C’è di più. Thunor era troppo stupido per farsi scoraggiare da questa sconfitta. Sfidò tutti i giganti a una gara di bevute. I giganti portarono un enorme corno pieno di birra e sfidarono il Tonante a svuotarlo.”

“Thunor bevve tre sorsi immensi, ma non riuscì a svuotare il corno. A quel punto i giganti scoppiarono a ridere e il più forte di loro disse: “Questa buffonata è durata anche troppo; dopo tutto Thunor è un deboluccio, se paragonato a esseri potenti come noi”.”

“Il Tonante era furibondo. Gridò: “Ora mi sono arrabbiato davvero e vi dimostrerò quanto sono forte. Vi sfido tutti a una gara di lotta”. I giganti risero e convocarono nella sala una vecchia donna ricurva, che a fatica si fece avanti per raccogliere la sfida. E sebbene Thunor impiegasse tutta la sua forza, riuscì soltanto a lottare alla pari con la vecchia e alla fine questa lo buttò a terra.”

“Si girò per lasciare la sala, con il capo chino per la vergogna. Ma allora il gigante più potente lo richiamò e gli disse: “Se avessi saputo che eri così potente, non ti avrei mai ammesso alla mia dimora, perché avrei avuto paura di te”.”

“Il gigante rivelò che gli oppositori del Tonante non erano stati in realtà quelli che erano apparsi. In realtà Thunor aveva gareggiato nella rapidità del mangiare con il Fuoco in persona, che può consumare un’intera foresta in una volta sola. E il grande corno da bere era stato collegato con gli oceani e in ognuno dei suoi tre sorsi Thunor era riuscito ad abbassare di qualche pollice il livello dell’acqua.
La vecchia era l’antagonista più temibile del Tonante, perché colei che alla fine lo aveva abbattuto era la Vecchiaia in persona.”

“Ora i giganti sono molto diversi. I giganti sovrastano di molto gli uomini. Sono come querce possenti, radicate al suolo, ma con la testa fra le nubi. In genere sono buoni come agnelli, ma se vengono provocati possono diventare pericolosissimi. Quando s’infiammano d’ira, s’infuriano e divengono minacciosi, sradicano alberi e scagliano macigni e spremono le pietre fino a farne uscire l’acqua. E, quando sono in collera, battono i piedi per terra con tale vigore che le gambe sprofondano nel suolo fino al ginocchio.”

“I giganti sono gli antichi dèi. Il mondo fu creato dai giganti, nel primo inverno. Un potente gigante venne creato dal gelo. E quando venne il fuoco, egli si sciolse. Dall’enorme mole del suo corpo vennero i mondi. Dal suo sangue derivò il mare, dalle ossa le montagne, dai capelli le foreste, dal cranio il gelo. E dalle sue palpebre, che coprivano gli occhi che contemplavano tutto, fu plasmata la Terra di Mezzo, una terra di uomini, stregoni e spiriti. Al centro della Terra di Mezzo, su colline alte come montagne, vivono gli dèi e sotto si agita il mondo degli inferi, terra dei morti e di tutti i loro segreti.”

“Ora i giganti sono stati espulsi, vivono in esilio ai confini della terra, tenuti a bada da un oceano potente che circonda la Terra di Mezzo.”

“Gli spiriti della morte ti hanno riconosciuto” disse convinto. “Se Woden non fosse passato con i suoi cacciatori nel tuo bivacco, allora io non sarei stato, anzi non sarei potuto essere la tua guida. Ho atteso in cima alla collina finché Woden non ti ha segnato.”

“Woden è quello tra i nostri dèi che ha la barba grigia” continuò animatamente. “È il dio dei canti magici, degli incantesimi e delle parole potenti. Per nove notti Woden è rimasto appeso all’Albero del Sapere, scosso dal vento del destino. È stato trafitto dalle lance della Conoscenza, ma non ha sanguinato. È rimasto là appeso senza cibo e senz’acqua; è rimasto là, digiunando, finché non è stato trasportato nelle montagne degli dèi. Là gli sono stati rivelati i segreti dei simboli runici e gli incantesimi che dischiudono i segreti della Terra di Mezzo.
“Per questo Woden doveva segnarti. Solo lui sceglie chi può essere introdotto ai segreti.”

“Brand, quando Woden ti ha segnato, ho capito che potevo guidarti. Ti è stato concesso di accedere agli spiriti.”

“Gli spiriti sono i custodi del nostro sapere. Se vuoi che ti introduca alle nostre divinità, allora posso mostrarti segreti che i tuoi maestri non si sono mai neppure sognati. Ma ti avverto: i segreti degli spiriti non possono essere racchiusi nelle parole che noi ci scambiamo. Tu devi incontrare gli spiriti di persona.”

Da: La via del Wyrd di Brian Bates