venerdì 31 agosto 2012

Il fuoco segreto



Solo chi ha l’anima luminosa può entrare nel sogno della Grande Dea.
Le antiche Donne in ogni loro vita impararono e riimpararono a renderla lucente come uno specchio d’argento e limpida come l’acqua di una fontana.
Giorno dopo giorno resero immune la loro anima da ogni oscurità, estirpando le male piante dei cattivi sentimenti, così come un bravo contadino toglie dal suo orto le erbe infestanti per avere un buon raccolto.
La resero capace di dominare i pensieri che i poveri uomini mortali credono che rappresentino il centro ed il fulcro della loro esistenza.
La resero capace di non farsi distrarre od affascinare dalle mille artificialità che continuamente vengono create per catturare l’interesse delle persone.
La resero sempre più simile alla grande anima della Madre fino al punto in cui Essa poté specchiarsi in loro ed illuminarle di un magico biancore, come la bianca luce della Luna fa con le acque pure dei laghi incontaminati d’alta montagna.
Sempre più facilmente l’antica Dea poté sentirle parte del suo sogno, dato che cercavano sempre di più la comunione con Lei.
E ad un certo punto si resero conto, provando per questo motivo una gioia infinita, di essere parte di Lei, così come erano parte di Lei tutte le cose buone e reali che ancora erano nel mondo e che ancora venivano sognate amorosamente dalla Madre.
E con queste parole manifestarono la loro gioia e la consapevolezza di ciò ch erano alla Dea antica:
“Oh, Signora dal dolce sorriso, ora ci sentiamo parte di Te.
Ci sentiamo come le innumerevoli gocce d’acqua che assieme formano il grande mare, come le numerose foglie di un albero gigantesco ed antico che pur sembrando separate fanno parte di uno stesso corpo.
Ora facciamo veramente parte del tuo sogno di gioia, così come il cielo, il sole, la pioggia, le montagne, gli animali, le stelle e l’intero universo.
Tu sognando sei, e le cose buone e belle che continuamente generi e rigeneri nel tuo sogno sono il tuo immenso corpo di gioia.
Ora noi di esso facciamo parte, dato che noi viviamo in modo conforme al tuo sogno armonioso”.
E così in loro parlò la Grande Madre:
“Siate lieti come Io sono lieta, amorose come Io sono amorosa, e libere come Io sono libera, dato che Io sono voi e voi siete Me.
Beate quelle che riescono ad uscire dal vincolo del proprio io e della propria mente e ad espandersi nell’amore sterminato che sta al di là dell’oscurità e delle apparenze.
Beate quelle che da quell’amore non si distinguono, né ad esso si oppongono, ma sempre di più in lui si integrano e si identificano fino a diventarne parte per sempre.
Quell’amore raro, quell’amore vasto, quell’amore completo, quell’amore sacro che quasi più nessuno conosce, né cerca, né pensa che possa esistere.
Quell’amore in cui si congiungono e si risolvono i due principi, il fuoco e l’acqua, il cielo e la terra, la vita e la morte, la materia e lo spirito.
Chi conosce quell’amore, entrando in comunione con Me esce, come un fiume in piena, dai piccoli limiti del suo io e supera la semplice condizione di donna, dato che la Madre è anche il Padre, è maschio e femmina, uomo e donna, potendo perciò generare senza congiungersi con alcuno tutte le cose buone e belle dei mondi.
Ma perché ciò possa succedere, perché voi vi possiate espandere, perché voi possiate comprendere i due opposti ed integrarli fino a farne una cosa sola, dovrete fare del vostro corpo e della vostra mente un tempio, nel quale accendere il fuoco di quell’amore senza inizio e senza fine che è l’amore della Madre, congiunta con il Padre.
Beate quelle che lo accenderanno e che impareranno a percepire la struggente e languida armonia del fuoco sacro che arde in loro.
Volgendo ad esso la loro attenzione, permarranno nella gioia e più nulla potranno su di loro le oscurità e le cattiverie che dominano il mondo.
È facile, per quelle che hanno acceso in se stesse il fuoco sacro, concentrarsi su di esso, dato che l’armonia e l’ebbrezza che proveranno, facendo ciò, saranno molto più forti di qualsiasi vana distrazione che può venire loro dal mondo esterno.
E se anche le incombenze e le necessità di adempiere obblighi e doveri fastidiosi le costringeranno a distrarsi da esso, facilmente ritroveranno il suo languido calore quando saranno sole con se stesse nelle loro case.
Concentrandosi su quel fuoco, vivendo di quel fuoco, annichilendo i pensieri e le emotività per mezzo di quel fuoco, esse intenderanno la comunione con la Madre, esse celebreranno il sacrificio segreto che le rende come la Madre, esse diventeranno la Madre, e conosceranno la congiunzione e l’amore tra il fuoco e l’acqua, tra il maschio e la femmina divini, tra il Sole e la Luna, e di essi diverranno figlie.”
Così le Donne che erano nel sogno della Madre ottennero una gioia, una tranquillità ed una segreta ed indicibile ebbrezza che non erano dovute a nulla che ad esse fosse esterno.
Non solo non era basata sulle cose che altre avidamente cercavano, ma neppure esse avevano bisogno di amanti, di sposi o di figli.
Ed anche se esse non ne sentivano il bisogno, non c’erano uomini adatti a loro nel mondo, dato che nessuno avrebbe potuto capire che esse non erano delle persone, ma delle parti del corpo della Madre.
Di conseguenza solamente chi avesse saputo amare nel modo dovuto l’antica Dea della quale facevano parte, avrebbe potuto ottenere il loro amore che avrebbe avuto il senso di un congiungimento con l’antica Dea attraverso di loro.
Ed esse ritennero quindi che era meglio rimanere vergini, piuttosto che unirsi con i maschi superficiali, oscuri, falsi, tristi, aggressivi o vanesi.
Ma anche con gli uomini di buon carattere, gentili, sensibili ed educati, incapaci però di intendere il loro segreto, che non avrebbero capito e non avrebbero potuto concepire.
Quegli uomini che erano infinitamente lontani dall’aspetto maschile del Dio dalla doppia natura, che esse conoscevano in sé, e che non avrebbero mai accettato di considerare loro ed il loro corpo come parte del meraviglioso corpo della Dea e soprattutto sacra la loro intimità femminile.
Ed invece le figlie della Dea percepivano il loro grembo come un tempio in cui intendevano il mistero della grotta e della sorgente d’armonia, ed in cui più facilmente la Madre si manifestava e parlava a chi poteva intendere la sua amorosa voce.
Nel languore del loro grembo potevano udire l’eco del suo perenne canto, della sua gioia e della sua libertà slegata dai limiti e dai condizionamenti che un rapporto, anche ottimale, con il maschio che non conoscesse né condividesse queste cose, avrebbe fatto sorgere.
Del resto sentivano ormai in se stesse unirsi la forza e la dolcezza, l’azione e la contemplazione, il fuoco e l’acqua, il principio maschile e quello femminile ed avendo quindi in se stesse le buone virtù della femmina, ma anche del maschio, non avevano bisogno di cercare un uomo fuori di sé.
Non avevano più bisogno di appoggiarsi ad alcuno, di affidarsi ad alcuno, o di farsi guidare da qualcuno.
Come la Dea antica, che portava in sé armoniosamente congiunti i due principi, si sentivano complete, piene e sufficienti a se stesse.
E se pur nei tempi antichi, quando la religione della Madre era quella che gioiosamente seguivano le genti, alcune di esse si offrivano senza pudore nei templi a coloro che erano capaci di intendere il sacro significato dell’amplesso con loro, ovvero danzavano nude davanti alla tribù per far intendere con le loro languide ed armoniose movenze la bellezza della Dea, ora quelle stesse Donne avrebbero potuto essere giudicate incapaci di provare il piacere dell’amore, mentre invece evitavano e respingevano l’amore che non poteva più essere sacro.
Le Donne antiche non erano quindi assolutamente contrarie all’intimità amorosa, né in essa vi vedevano alcunché di peccaminoso, così come alcuni predicavano. Sentivano piuttosto che la Madre, della quale facevano parte e che in loro viveva, non apprezzava e riteneva del tutto profano il modo d’essere degli uomini con i quali avrebbero potuto congiungersi ed il loro modo di porsi e di agire con le donne.
Il loro modo di possedere, il loro modo di sovrastare, il loro modo di imporsi e di sentirsi padroni durante i loro egoistici rapporti.
Il loro modo di considerare l’intimità come un piacere fisiologico, un accadimento materiale, che raggiungeva l’apice del piacere nell’emissione del loro seme, con il quale essi consideravano concluso il rapporto.
Quel seme maschile che portava in sé le tracce sottili del modo d’essere di chi l’emetteva.
Quel seme che, versandosi nell’intimità femminile, vi portava l’eco della lontananza dal sacro degli uomini che lo avevano emesso.
Se con essi si fossero unite, forse avrebbero potuto profanare la sacralità della loro intimità ed annichilire la magia segreta del loro tempio di carne.
E l’obbedire alla giusta volontà dell’antica Dea, piuttosto che ad un desiderio che avrebbe potuto spegnere la sua voce in loro, era assai facile, dato che la scelta era tra il divenire e l’essere, tra il profano ed il sacro, tra il lasciarsi andare ed il rimanere salde, tra il farsi coinvolgere dalle cose del mondo ed il rimanere fedeli, tra il ritornare nel tenebroso vortice dei desideri ed il rimanere nella luce della consapevolezza.
Anche per questo motivo quelle Donne non ebbero quasi mai figli, dato che il loro concepimento necessitava di una intimità amorosa, che per loro era pressoché impossibile trovare alle loro inderogabili e severe condizioni.
Il loro rifiutare mariti od amanti impedì ad esse di avere dei figli ed una discendenza alla quale avrebbero potuto cercare di trasmettere le loro conoscenze ed i loro misteri.
Ma questo fatto fu probabilmente un bene, per il motivo che non è assolutamente sicuro che i figli, e soprattutto nel loro caso le figlie, rechino in sé le caratteristiche della madre e le sue vocazioni e predisposizioni.
Ed il rinunciare ad avere delle figlie, che con molte probabilità avrebbero potuto mettersi in contrasto con loro e soprattutto con l’amoroso sogno che esse rappresentavano e che in loro continuava a vivere, sicuramente in molte causò dei momenti di tristezza, ma anche la consapevolezza di essersi evitate complicazioni e difficoltà che avrebbero potuto metterle a dura prova.

Da: La voce dell’antica Madre di Ada d’Aries

In Alchimia il fuoco segreto è l’agente trasmutatorio principale. C’è un fuoco che non è un fuoco volgare di fiamma e che compie tutte le operazioni alchemiche.
Non è un composto chimico complesso. Non è né un metallo, né un acido, né un alcol. Non è nemmeno l’elettricità, né i raggi X, né il magnetismo animale. Questo fuoco è stato chiamato anche l’agente primordiale, il sale filosofico, il fuoco-acqua, l’acqua che non bagna le mani, l’Alkaest: il dissolvente universale, La Rugiada di Maggio, l’acqua mercuriale, l’acqua ignea e in tanti altri modi ancora, poiché non c’è una esatta terminologia alchemica. Il significato di un termine dipende dal contesto nel quale si trova, poi molto spesso i procedimenti sono spezzati e mescolati dal punto di vista temporale. Molto importanti sono sempre le illustrazioni dei trattati, infatti c’è un libro stampato in Francia nel 1677, chiamato Mutus Liber in quanto formato di sole immagini.
Una delle tavole di questo libro ci mostra un uomo ed una donna intenti a strizzare dei panni che sono stati lasciati sull’erba durante la notte, mentre nello sfondo si vedono pascolare un toro ed una pecora. I due animali rappresentano la primavera cioè i segni zodiacali di Ariete e Toro: è in questo periodo che bisogna raccogliere la rugiada, prima dell’alba. Questa rugiada è carica dello Spiritus Mundi, di un’energia che proviene dal cosmico, dal Sole e che viene però condensata tramite riflessione dalla Luna. Questa rugiada potrà poi essere usata per fini curativi o dopo particolari lavori, per nutrire il sale che permetterà l’unione di Zolfo e Mercurio.
C’è insomma un’energia che si può catturare ed il composto alchemico ad un certo punto viene chiamato anche calamita, in quanto attrae sempre di più l’energia cosmica.
Nell’antico Egitto si narra che il Faraone potesse controllare un particolare raggio cosmico chiamato raggio verde. Il sale alchemico saturo di energia ad un certo punto diviene verde. La bibbia degli alchimisti, cioè la tavola smeraldina attribuita ad Ermete Trismegisto, è appunto incisa sopra una tavola di smeraldo verde.
Ma se è possibile con determinati procedimenti o supporti o macchine catturare questa energia, probabilmente lo si può fare anche con lo strumento più complesso che esiste nell’universo: il corpo umano. Gli alchimisti adibivano un angolo del loro laboratorio a oratorio, nel primo si compiva l’evoluzione della materia, nel secondo l’evoluzione dell’operatore stesso, ma l’agente evolutivo era lo stesso: IL FUOCO SEGRETO DEI SAGGI, l’energia cosmica che penetra ogni cosa, il verbo che fu all’inizio, le lingue di fuoco discendenti sugli apostoli, il potere di Kundalini, il Ki dei taoisti.
Non va confuso con il magnetismo personale, è un energia che entra nell’uomo, che prima deve farsi vuoto, deve divenire la coppa o il vaso che possa contenere la bevanda degli dei. La preghiera o la meditazione possono arrestare il flusso psicomentale e permettere a questa energia di entrare. Forse questa energia si concentra nel ventre, in quello che in Giappone viene chiamato Hara. Iconograficamente un ventre prominente, magari con sopra disegnata una spirale simboleggia questa energia immagazzinata nel centro addominale. Anche alcune tecniche dell’esicasmo cristiano uniscono la respirazione, la preghiera e la consapevolezza di questo centro, focalizzando l’attenzione visiva sull’ombelico. Si può ipotizzare che un lavoro alchemico sul corpo umano porti a lavorare sui chakras, i sette centri dell’uomo secondo le filosofie orientali.

Da:
www.gianobifronte.it/2.../2f.../00.../reiki__il_fuoco_segreto.pdf

Ridiscendendo, prima di reinserirsi nel suo corpo fisico, l'Iniziato va a conoscere l'illuminazione; un fuoco eterico, luminoso ed estremamente vivente si anima in lui, una corrente di energia sale, a partire dalla base della colonna vertebrale e percorrendo l'Iniziato, decuplica il suo fuoco. Durante la salita dell'energia, l’Iniziato diventa un diamante fiammeggiante, tutti i suoi chakras si animano e si aprono ad una coscienza in comunione con l'energia Divina; l'Iniziato diventa un fuoco ardente, cosciente e vivente.
Tutto il suo essere vibra e risponde all'energia Divina che si scarica in lui; l'intensità del fuoco decresce ed egli reintegra piano piano il suo corpo, apre gli occhi. Adesso conosce che la sua Opera è solamente iniziata; la sua fede, da questo momento, è sostituita dall'esperienza dello Scibile e niente, in nessun modo, potrà mai cancellarla.


Da: http://www.rosacroceoggi.org/pagine.esotertiche/iniziazione.fuoco.htm


Il mondo fatato - Fine

Le fate amano anche le pietre in genere e ora voglio parlarvi di due pietre che per esse sono molto significative: la pietra di fata e la bufonite.

La pietra di fata
Esiste una pietra speciale che ci aiuta ad entrare nel mondo feerico: la cosiddetta “pietra di fata”, più nota come staurolite, o staurolito, che deriva il suo nome dal greco stauros, (croce), per via, appunto, della sua forma a croce.
Lo staurolite è considerato un potente amuleto, è utile oltre che per protezione, salute, denaro, per richiamare e risvegliare i poteri degli elementi.
Inoltre riequilibra le carenze e gli eccessi di uno dei nostri quattro elementi nel nostro complesso organismo. Per esempio la ritenzione dei liquidi (elemento acqua), le infiammazioni (elemento fuoco), la decalcificazione ossea (elemento terra), scarsa ossigenazione del sangue (elemento aria).
Gli stauroliti che si intersecano perfettamente producendo croci a bracci uguali sono i preferiti per scopi magici e proprio per il loro legame con tutti e quattro gli elementi e per il loro simboleggiare l’intersecarsi del piano spirituale con quello fisico, sono particolarmente adatti a favorire i contatti con il mondo fatato.

La bufonite
La pietra che invece ci può donare le fate è chiamata bufonite, da bufo, nome scientifico del rospo. Secondo la tradizione infatti queste pietre si formano nel corpo di tale animale.
Alla vigilia del giorno di San Giovanni o durante la notte stessa, oppure in una qualsiasi splendida notte dell'anno, soprattutto quando c'è la luna piena, potete offrire un dono alle Fate. Se donate con cuore sincero, sicuramente conquisterete la loro fiducia ed il loro favore. Preparate un dolce di avena o mettete del miele e del vino in una tazza oppure, ancora meglio, offrite alle Fate un canto, una danza o una poesia creati da voi o che trovate piacevoli. Prima di iniziare dite ad alta voce: "Questo è per le Fate"; ditelo nuovamente dopo aver offerto il dono, cosa che andrà fatta all'aperto, in un luogo appartato, selvaggio e solitario.
Ben presto, probabilmente il giorno dopo, scoprirete che le Fate vi hanno dato qualcosa in cambio; siate vigili, ma non offrite i vostri doni pensando di ricavarne qualcosa né aspettatevi nulla. Rimanete semplicemente all'erta. Sicuramente molto presto scoprirete nella natura un qualche oggetto strano e grazioso, oppure potrete trovare delle monete d'argento. Qualunque cosa troviate, conservatela per sempre, perché si tratta di un dono sacro e vi porterà fortuna e felicità.
Nella maggior parte dei casi l'oggetto che troverete sarà una bufonite, un ciottolo rotondo e venato di disegni splendidi e misteriosi, che sembra mandare bagliori, dalle tinte delicate. Tenetelo con voi e ponetelo sotto il guanciale; secondo la saggezza popolare, queste pietre sono gioielli mistici che si trovano nella testa di un rospo. Coloro che possiedono questa pietra saranno fortunati in amore, saggi nella divinazione e la loro vita sarà benedetta.

(Tratto da Parola di fata di Claire Nahmad)

Beh, una volta chiesi in un forum se qualcuno avesse mai trovato una bufonite, mi rispose una signora raccontandomi che assieme a sua figlia era solita raccogliere sassi dalle forme e colori particolari che poi tenevano in un angolo dell’ingresso, con statuine di fate e gnomi acquistati a Selva, in Val Gardena.
Tra questi ce n'è anche uno ovale, levigato, con sfumature ocra, nero, grigio brillante, che sembra una grossa perla, tipo cammeo... che sia una bufonite o no, è sicuramente bellissimo ed è un dono speciale che proviene direttamente dalla Natura.

Findhorn
La comunità di Findhorn, in Scozia, merita un breve cenno.
È un’associazione nata nel 1962, nota in tutto il mondo per il lavoro svolto con il regno vegetale attraverso la comunicazione sottile con i regni della natura. Findhorn è un paesino su una costa battuta da venti gelidi, il clima e il terreno erano quanto di più inospitale potesse esistere, fino a quando nel 1962 si stabilirono con la propria roulotte Dorothy Maclean, Peter e Eileen Caddy e i loro figli, dopo che erano stati licenziati in tronco. I tre avevano una voce interiore che li guidava: i deva! E grazie a un deva particolare che si definiva "architetto delle forme vegetali" cominciò a crescere miracolosamente, su un terreno di sabbia e sassi, una vegetazione prodigiosa: cavolfiori di 20 kg, fiori alti due metri, frutti di ogni genere, persino tropicali! Mi ha sempre affascinato quello che queste persone sono riuscite a fare grazie all’aiuto degli spiriti di natura, oggi Findhorn è una comunità di 400 persone che attira visitatori da tutto il mondo e che organizza seminari spirituali, le cosiddette “settimane di esperienza”. Spiega Isabella Popani, una delle resource person della comunità: “Il loro principio era l'ascolto interiore e la meditazione, qualunque forma di meditazione. Attraverso questo ascolto interiore, cioè la tua parte più profonda, entri in contatto con tutto quello che ti circonda: se dentro di noi c'è il Tutto, attraverso la parte spirituale, entri in contatto con il Tutto".
 (Ancora il consiglio del folletto Wide-Awake!)








La stella elfica a 7 punte
Desidero parlare di un simbolo molto importante nella spiritualità feerica: la stella a 7 punte o eptagramma. L’eptagramma è un simbolo sacro alla Faery Wicca, secondo questa tradizione, il suo nome è Elven o Stella delle Fate. È un disegno a tratto unico con sette punte, molto importante nell’esoterismo occidentale, simbolizza la sfera di Netzach (tradotto anche Eternità o Vittoria), ossia la capacità di esprimere l’Amore Divino nel mondo, dandogli durata e stabilità, e vincendo gli ostacoli che si frappongono alle buone intenzioni. È costanza e decisione, è il saper vincere, cioè il non inebriarsi eccessivamente della vittoria. È il senso di sicurezza che pervade chi sa di appoggiarsi sul luogo giusto.L'eptagramma è presente anche nel cuore della bandiera della nazione Cherokee, e nella bandiera australiana.Sette è il numero perfetto che unisce popoli e culture di tutto il mondo (i sette pianeti sacri, secondo l’antica astrologia, i sette colori dell’arcobaleno, le sette stelle della principale costellazione dell’emisfero settentrionale, le sette stelle delle Pleiadi, tutte collegate con i sette pianeti sacri, le sette notti di ciascun quarto di luna,i sette chakra, le sette note musicali, i sette piani dell’universo – secondo l’occultismo ci sono quattro piani nell’universo ciascuno corrispondente ai quattro elementi, ma poiché ciascun piano sopra il fisico ha un aspetto superiore e uno inferiore, più uno centrale, dà un totale di sette -, le sette ghiandole endocrine, principali del corpo umano, e così via).

Il sette è associato anche con il magico cerchio, dove abbiamo i quattro quarti o punti cardinali, il Nord il Sud l’Est e l’Ovest, più l’Alto, il Basso (il Sopra e il Sotto della tradizione ermetica, come Sopra così Sotto ): queste sono le sei direzioni che lo sciamanesimo di tutto il mondo rispetta e onora, mentre il centro del cerchio, un luogo di quiete da cui tutte si irradiano, è il settimo punto.

Esso è il “numero fortunato” per eccellenza, foriero di abbondanza e favori, ed è anche associato alla beatitudine e alla completezza spirituale (di qui l’espressione “ascendere, essere al settimo cielo”).

Secondo i pitagorici il sette è il numero perfetto, in quanto risultato della somma di due numeri perfetti, il tre e il quattro, i tre principi e i quattro elementi.





La tradizione fatata
Esiste un libro che attraverso visualizzazioni guidate e viaggi sciamanici ci indica la strada per accedere alla dimensione feerica:
La via delle fate - un viaggio verso mondi inesplorati, di Hugh Mynne, Macro Edizioni.
Hugh Mynne è nato nel 1950 in Inghilterra e si è laureato in studi religiosi presso la University College of North Wales.
Attualmente vive con la moglie in Irlanda, dove conduce seminari sulle tecniche di guarigione sciamanica e coordina un gruppo di studio sulla Tradizione delle Fate.
Oltre agli esseri fatati piccoli e graziosi di cui vi ho parlato finora, esiste un vero e proprio popolo che abita in una dimensione parallela alla nostra in un luogo ben definito:
I Tuatha de Danaan.
Nei fondamenti della via feerica che ci sono stati tramandati dai Celti la razza delle fate è chiamata Tuatha de Danaan, il popolo o le tribù della Dea Dana, una razza spirituale che abitava dimensioni energetiche.
Nel racconto della battaglia di Moytura, messo in forma scritta nel XVI secolo, leggiamo che i Tuatha de Danaan risiedevano nelle isole settentrionali del mondo, dediti allo studio della scienza occulta e della magia, delle arti druidiche e della stregoneria, fino a superare i saggi delle arti pagane.
Il termine “isole settentrionali” designa la vera patria dei Tuatha, nelle dimensioni spirituali.
Essi studiavano in quattro città: Falias, Gorias, Murias e Finias.
Gorias si trovava a oriente, Finias a sud, Murias a occidente e Falias a nord, ma c’è anche una misteriosa quinta città, non menzionata in questo testo.
Secondo Fiona Mcleod (poeta scozzese, vero nome William Sharp,nato a Paisley il 12 settembre 1855, morto a Castello di Maniace in provincia di Catania il 14 dicembre 1905 e sepolto nel piccolo cimitero inglese sempre di Maniace), quattro città sono situate sulle quattro punte del “diamante verde che è il mondo”, la quinta città, che è a forma di cuore, si trova in posizione centrale.
Si tratta di cinque sapienze, i Tuatha acquistarono le loro cognizioni ricollegandosi direttamente a questi cinque punti dell’energia sapienziale dell’universo.
In Feerilandia, ogni cosa, assolutamente ogni cosa, anche gli animali e le pietre, è viva e parla e tutto è permanente, imperituro e immutabile, inoltre ci sono specie di animali che non abbiamo mai visto sulla Terra.
Anche noi siamo collegati a Feerilandia con fibre luminose che si irradiano nei nostri corpi di luce.
I sidhe, il popolo di Feerilandia, sono detti anche popolo della pace, collegandosi ad uno dei significati di Sidhe.
L’inizio della via feerica è segnato da un paradosso: il paradosso dell’oscurità nella luce:

All’inizio era la dea
Che era tenebra e luce…

Sia le esperienze “cattive” che quelle buone devono essere accettate per mano della Dea, la Dea contiene sia luce sia tenebra, e da essa derivano nascita e morte, queste polarità non sono distinte nel suo essere, ma sfumano e si compenetrano l’una nell’altra.
Il mondo feerico è il nostro specchio e ci rimanda anche quegli aspetti bui di noi stessi e del nostro mondo da cui rifuggiamo.
Un tempo eravamo amici di queste creature, dobbiamo riguadagnare la loro fiducia e cooperare con loro e così ci si rivelerà la forma paradisiaca del mondo primordiale.
La tradizione feerica ha sempre avuto i suoi grandi veggenti e maestri, tra i quali Thomas di Erceldoune o Tommaso il Rimatore, Robert Kirk, George William Russell (il cui pseudonimo era A.E.) e il già citato William Sharp (va detto che lo pseudonimo femminile Fiona Mcleod non era solo un espediente letterario, ma una vera e propria seconda personalità psichica, più probabilmente la sua amante feerica).
Il nostro cammino verso la Via delle fate inizia con un esercizio di rilassamento, uno di purificazione, uno energizzante e due meditazioni.
Poi viene spiegato come incontrare il nostro animale di potere e il nostro alleato feerico, che saranno i nostri compagni di viaggio a Feerilandia.
Quindi partiamo con il nostro alleato fatato e il nostro animale di potere verso le quattro città del reame delle fate e in ogni città incontreremo un maestro che ci impartirà i suoi insegnamenti.
I nomi menzionati dei maestri sono gli stessi che provengono dalla mitologia celtica, Morfesa di Falias; Esras di Gorias; Uiscias di Finias e Semias di Murias.
Dalla visita di ciascuna città potremmo aggiungere un oggetto simbolo al nostro altare: una spada o un coltello per Gorias, una lancia o un bastone per Finias, una coppa per Murias, una pietra o un cristallo per Falias.
In ogni caso gli oggetti non dovranno essere di ferro, perché questo metallo suscita l’ostilità del popolo fatato.

Una volta esplorate le quattro città avremo acquisito il potere per poterci dedicare ad altre esperienze nella nostra crescita spirituale, come prenderci un/a amante fatato/a, questo del tutto facoltativo, da fare solo se ci si sente assolutamente pronti/e, pare che se ci stanchiamo di tale amante non ce lo/la toglieremo mai più dai piedi e che ci seguirà ovunque.
Nonostante potrebbe rivelarsi pericoloso, il nostro amante fatato rappresenta la nostra guida all’Illuminazione, ma dobbiamo sempre tener presente un concetto: le fate rispecchiano noi, e noi rispecchiamo loro, ma da entrambi i lati dello specchio ci sono persone reali, non semplici riflessi, e se non si ha anche un partner fisico i flussi energetici risultano squilibrati.
A questo punto della nostra esperienza spirituale potremmo anche cercarci un maestro interiore, se non l’abbiamo già incontrato durante i viaggi nelle quattro città.
Il maestro interiore può essere uno dei quattro veggenti menzionati prima, se ci siamo sentiti attratti dalla personalità di uno di essi, oppure un maestro scelto tra i grandi della tradizione.
Nel regno delle fate abbiamo anche un nostro doppio, il nostro compagno di strada che sopravvive a noi e a noi è preesistente, e viene spiegato come incontrarlo, per armonizzarci con il nostro modello energetico originario.
Infine due grandi iniziazioni da fare solo quando abbiamo eseguito alla perfezione tutte quelle precedenti e ci sentiamo veramente pronti, non prima di aver consultato il nostro maestro interiore: visitare la Valletta di pietre preziose prima di incontrare la Lavandaia al guado.
Dalla Valletta di pietre preziose usciremo rigenerati e porteremo con noi una nuova energia, la Lavandaia al guado è uno degli aspetti di Morrigan, colei che al momento della nostra morte fisica, lava la nostra anima e la prepara alla rinascita, se riusciamo a fronteggiarla ci dispenserà grandi doni, è l’incontro con i nostri scarti psichici, essa ci mette davanti al nostro sé ombra, il matto oscuro, prima carta dei tarocchi.


(Seconda e ultima parte di un mio articolo del 7 febbraio 2008)