mercoledì 26 ottobre 2011

Caer Arianrhod

Dinas Dinlle, dove si pensa si trovasse il castello di Arianrhod

Quella che segue è una visualizzazione che si rifà in modo specifico alla tradizione celtica. Vi conduce nel mondo ultraterreno e vi consente di vedere come funziona. Lungo il cammino potreste imparare qualcosa di nuovo su voi stessi. Gli antichi sciamani celtici erano soliti prepararsi per giorni prima di intraprendere questo viaggio; la visualizzazione vi consente di evitare queste procedure. Al momento il modo più pratico per sperimentare la visualizzazione è di leggere il testo a voce alta e registrarlo (o chiedere a un amico di leggervelo); poi, con gli occhi chiusi e stando seduti in una posizione comoda, su una sedia con lo schienale diritto (per impedire di addormentarvi), respirate profondamente e con regolarità per un po’ finché non avrete calmato l’andatura furiosa del tempo e dello spazio quotidiano. Quindi accendete il registratore e ascoltate il nastro. Cercate con grande forza di “essere” nelle scene descritte e, in seguito, prendete nota di tutti i risultati significativi che raggiungete. Potreste non comprendere pienamente tutto quello che succede in questo stadio e le figure che incontrerete potrebbero non esservi familiari, ma proprio per questo a volte si ottiene una reazione iniziale più efficace.

Lasciatevi sprofondare in uno stato di meditazione profonda. Respirate a fondo e con regolarità e, mentre lo fate, lasciate che la coscienza della stanza attorno a voi si dissolva in uno sfondo distante. Ora immaginate di essere in piedi in cima a una collinetta verde. È il crepuscolo, il sole sta tramontando dietro di voi e proietta la vostra lunga ombra sulla terra. Sopra la testa si allunga il grande arco dei cieli che si imbrunisce in un blu profondo già puntinato dai primi bagliori evanescenti delle stelle.
Sotto di voi, nella verde e piatta pianura che circonda la collinetta, vedete la figura di un uomo che si muove e si avvicina. Inizia a salire la collina, arrampicandosi dolcemente sulle lunghe gambe. Quando si avvicina a voi vedete che è alto e magro, con lunghi capelli neri raccolti vicino alla fronte in un cerchietto di bronzo. Indossa un abito verde scuro e sulle spalle porta uno zaino di cuoio dal quale ora prende una piccola arpa cesellata.
Si inchina davanti a voi. “Sono Taliesin, Primo Capo Bardo dell’Isola di Britannia e Guardiano delle Stelle Estive. Vengo per condurvi in un viaggio alla Corte di Arianrhod, per cercare lì la visione di ciò che deve essere. Ora prestate attenzione alle mie parole e seguitemi dove vi conduco”.
Inizia a suonare l’arpa, pizzicando le corde ed emettendo lievi accordi dal piccolo strumento, il quale tuttavia produce un suono molto più grande, un suono che entra così profondamente in voi da farvi perdere ogni senso del dello spazio e del tempo; non siete per nulla sorpresi di scoprire che davanti a voi è apparsa una scala d’argento che vi conduce in alto, verso il cielo cosparso di stelle. Come un pastore con il suo gregge, Taliesin vi guida sulla scala, iniziate a salire e il bardo vi segue, suonando ancora la musica magica e profonda che vi incanta.
Vi arrampicate lontano e ancora oltre, finché la terra è ormai molto lontana e l’immensità del cielo notturno si stende ovunque. Ora di fronte a voi iniziate a vedere una grande luce d’argento e presto capite che arriva da una porta che si apre nel cielo. La scala su cui vi trovate porta direttamente a questa porta e, dopo essere entrati, vi trovate all’ingresso di un ampio salone. Le mura e il soffitto, pur nella loro distanza, sembrano essere fatti di luce, dorata, argentata e risplendente. Ora vedete la stella luce risplendere sulla fronte di Taliesin e vi ricordate che è chiamato anche Fronte Raggiante. Anche se ha smesso di suonare l’arpa, la musica continua, più grande, ricca e bella di prima, come se il suo suono fosse solo un’eco della vera musica che ora ascoltate.
Il bardo vi invita, in silenzio, a proseguire e voi camminate su un pavimento che sembra tutto d’oro  ma allo stesso tempo traslucido, riempito di vorticose forme troppo meravigliose per riuscire a darne un’interpretazione, eppure vi riempiono di gioia.
In effetti, da quando siete entrati in questo posto meraviglioso, un grande ottimismo, benessere e chiarezza si sono impadroniti di voi. Tutti i vostri sensi sono desti come non mai; vedete, sentite, odorate, toccate e gustate ogni cosa in modo più intenso rispetto a prima perché un dolce aroma si diffonde nell’aria, una lieve brezza vi carezza il viso e la musica è come una luce d’oro che splende dentro di voi.
Davanti iniziate a vedere il fondo del salone e sembra che la luce provenga da lì. Anche se è forte, allo stesso tempo è dolce e potete guardarla senza paura di esserne abbagliati.
In fondo alla sala c’è un enorme specchio; non siete in grado di dire quanto sia grande ma è in una cornice d’argento i cui lati hanno la forma di vecchi e grandi alberi. In cima si trovano sette punti brillanti di luce che emettono raggi formanti una specie di corona.
“Contemplate la corona di Arianrhod nella Corte delle Stelle.”
La voce di Taliesin riecheggia nel grande salone e, mentre egli parla, le sette luci stellate sembrano diventare ancora più grandi. Poi, quando lo guardate, lo specchio diventa opaco. Non vi vedete più riflessi, ma una nuova forma inizia a modellarsi, una figura che sembra vestita di luce e che emana radiosità. L’immagine che appare è quella di una donna di una tale bellezza e delicatezza che sembra quasi trasparente: la luce risplende in lei e attraverso di lei e il suo viso è perfetto come una rosa di cristallo. Udite ancora Taliesin:”Ammirate la Regina delle Stelle, Arianrhod, la Ruota d’Argento”.
Una voce vi parla in parole che non udite con le orecchie ma nella mente. È una voce chiara e limpida come il cristallo, né dura né gentile, né amorosa né indifferente, la voce di qualcuno così lontano dal nostro mondo da non sapere nulla di noi.
“Siete venuti a trovare ciò che deve essere”.
Fino a questo momento non avevate alcuna ragione per venire in questo posto né conoscevate alcuna necessità al di là di quelle della vita quotidiana. Eppure, quando queste parole, penetrate direttamente nel vostro più profondo sé, entrano nei vostri pensieri, sapete subito, con assoluta certezza, che questo è proprio il vero scopo della vostra venuta.
Anche se non vi è stata fatta alcuna domanda, rispondete subito con un’affermazione che viene dal cuore e, a vostra volta, vi viene data una risposta, non a parole né con sensazioni, ma con un fiorire di bagliori all’interno della figura splendente, che interpretate come segno di approvazione.
“Adesso osservate quello che cercate!”
Ancora una volta le parole vengono sperimentate anziché sentite e vi meravigliate quando lo specchio cambia di nuovo, la figura svanisce per permettere a una nuova forma di costituirsi. Nessuna parola può trasmettere quello che vi è stato rivelato, solo dentro di voi c’è la forma veramente rivelata. Al di là delle necessità personali, è piuttosto il desiderio di tutta la creazione che prende forma attraverso il vostro desiderio.

Pausa

Con il passare del tempo, ciò che voi pensate fosse inconoscibile è scomparso e con esso la figura della donna. Lo specchio è di nuovo chiaro e vedete il vostro riflesso insieme a quello del bardo Taliesin che vi guarda come con il suo sguardo brillante, osservando il riflesso della vostra aspirazione, dove essa ancora ondeggia, ora più pallida, ma è ancora una fiamma nel vostro essere più profondo.
Alla fine piega la testa e, girandosi, vi porta indietro verso il grande salone e attraverso la porta e giù per la scala argentata, verso la cima della collina verde, che risplende sotto di voi.
Lì il bardo vi saluta e, prendendo l’arpa, inizia a suonare. Quando la musica comincia a entrare in voi, la collina e il suonatore iniziano a sparire, finché non rimane che la musica nella vostra coscienza. La sentite ancora impercettibilmente quando tornate al normale stato di coscienza

Da: Sciamanesimo celtico di John Matthews


Preghiera di Samhain



Madre, che tutto comprendi e tutto contieni
guidami nel labirinto interiore

Fa’ che io conosca ed apprenda nel buio
lascia che io mi possa perdere nell'oscuro tuo grembo
per ritornare più forte

Fa’ che veda tutto con chiarezza,
che guarisca dalle mie ferite
che affronti l’Ombra e ritrovi la Luce

Fa
’ che nel silenzio ottenga il seme della saggezza
che conosca tutto dal di dentro e che sia dentro a ogni cosa
che comprenda ciò che va fatto, che sia giusto fare e sia bene fare

Fa’ che quando sarà il momento
all’azione corretta seguano risultati concreti

Ti ringrazio per i doni ricevuti
Fa’ che sia sempre nella tua Grazia Divina
concedimi di accendere in me
la Luce che ora nel mondo va spegnendosi

Madre, rigenerami mentre attendo il nuovo Sole sorgente
Fa’ che con la sua splendida Rinascita
rinasca anch’io splendidamente con Lui

lunedì 24 ottobre 2011

Avalon e le Antiche Armonie


E venne il tempo delle Nebbie,
di rami che si chiudevano innanzi a volti di pietra,
di fitta foschia che andava a celare la Terra dei Meli.
Il sonno cadde, silenzioso, maestoso e pesante
sulle menti luminose che per secoli guidarono
le terre del Nord e del Drago.
Gli arcolai smisero di girare,
i fusi caddero inerti sui giunchi ormai secchi.
Le polvere ricoprì le giare, i vasi,
le spade e gli scudi.
Le falci non tagliarono più il grano,

i meli carichi rimasero ricchi del loro parto.
L’erba crebbe e ciò che Fu immensa beltà
divenne Rovina d’Incanto.
Edere verdi e profumate intrecciarono i capelli dei dormienti,
i cigni quieti vegliarono i Secoli.
Cadde dunque nella calda oscurità dell’oblio
L’Era della Magia, dei Druidi, delle Sacerdotesse.
I Re riposero le Spade nelle Pietre
E le gettarono infine nelle Acque.
E attesero le corone dal Cielo e non più dalla Terra.
La Pietra riposò serena,
l’Acciaio continuò a gridare,
gli scudi si spezzarono e
i Popoli dimenticarono la Madre.
E l’Isola dei Dormienti rimase celata dalle Nebbie.
Avalon d’Incanto e magia,
Isola profumata di Brina e di meli,
Isola da cantare innanzi ai fuochi:
una favola, un sogno,
qualcosa per le allegre menti dei bambini.
Ma l’Isola dormiva e aspettava…

E uno dopo l’altro i dormienti si ridestarono.
E il Lupo riprese la corsa nella Foresta,
il Cigno Sacro di Luce e Argento solcò acqua e Nebbia,
il nero Corvo sfigurò il cielo,
il Cervo annusò l’aria ed iniziò l’Ultima corsa,
il Cinghiale abbandonò la tana stantia,
i Cani guairono nelle deserte sale dell’Annwn…
Avalon si ridesta,
chiama le sue Figlie,
i suoi Guerrieri, i Saggi.
Un velo di Nebbia si scioglie,
un Raggio fresco si specchia nel Pozzo,
brilla limpido sugl’argentei tronchi delle Betulle.
Avalon è la Terra dove i Cigni Cantano,
meta e viaggio.
Viandanti ridestate i cuori e danzate attorno ai fuochi,
onorate il Grano e la Pioggia,
seguite la strada
per l’Isola dei Meli senza timore o incertezza…
L’Era del Sonno è scaduta.
E venne il tempo delle Nebbie...
e quel tempo finì...


http://mabonfairy.splinder.com/post/4758754/lera-del-sonno

Le Nebbie sono la materializzazione
della nostra Interna Perdita.
Esse svaniscono innanzi al Viandante
che ricorda l’Antica lezione:
Avalon è madre.
Non è Terra di conquista, non è dominabile,
definibile, limitata.
Non è un trono, né oggetto di fanciullesche contese.
È Madre. È casa. È maestra. È spirito.
È gioia, Armonia soave e fresca.


http://mabonfairy.splinder.com/post/4801882/nella-nebbiasotto-il-melo-dargento

Oltre alle nebbie secolari della storia incontreremo anche le nostre nebbie personali. Per me esse erano calate su un sogno in cui credevo e che ho visto svanire da un giorno all’altro, come era già successo purtroppo altre innumerevoli volte. L’esistenza terrena è Illusione continua, ma chi ha veramente Fede in Avalon non si arresta mai e continua il suo cammino anche come Viandante Solitario. Voi che mi parlate di nebbie e di ghiaccio e nascondete lame tra ali di cigno ora siete invisibili, ma un vento gelido mi sussurra ancora di voi, di mondi incantati e di storie arcane. Nella trasparenza dell’aria tersa respiro libertà, respiro candide piume, respiro odore di spade che volano. La porta si è chiusa tra i nostri mondi, ma Avalon rimane intatta, ovattata nella dolce nebbia amica.
 Le Antiche Armonie rappresentano un equilibrio in cui vita e morte, passato e futuro, reale e immaginario cessano di essere percepiti contraddittoriamente. Sono nella radura sacra in mezzo alle foreste dove Merlino, l’incantatore-profeta, nell’estasi dell’istante eterno, canta per noi.
Per quanto possa essere incantevole pensare ad Avalon come all'Isola celata dalle Nebbie, dobbiamo in primo luogo comprendere
cosa in effetti siano le Nebbie, e distinguere l'Avalon che forse un tempo fisicamente esisteva come scuola druidica, da ciò che animava quel luogo. Quello stesso sentimento che ispirava gli antichi sapienti e che ispira i Viandanti di oggi è Avalon. E se è questo il luogo che scegliamo come nostra destinazione, allora un giorno ci arriveremo, quando noi stesse saremo in Armonia. Avalon, infatti, è un luogo dell'anima che si esprime a volte nella terra stessa. Ecco quindi il perché della magia di Glastonbury: in certi luoghi tale armonia sgorga dalla terra e permea l'aria stessa, nutrita dai pensieri dei Viandanti. Ma Avalon è prima di tutto Armonia, e le porte per accedervi sono ovunque.
Le Antiche Armonie sono le Regole che scandiscono l'esistenza della Creazione, utili per vivere in modo più naturale, fluido e consapevole la propria vita, in accordo con tali leggi non scritte eppure trattenute sin dal principio da ogni forma naturale della Terra manifesta e spirituale. Esse potrebbero essere la parola amorosa delle Antiche Madri, delle Antenate e delle Donne e Uomini che furono suoi consapevoli figli. Sono ciò che gli Antichi seguivano e rispettavano per vivere in Armonia con il Tutto.
Tutto ciò che è artificiale, costruito, finto, ragionato, calcolato, tutto ciò che lega e separa non fa parte delle Antiche Armonie.
Ciò che unisce e libera sono le Antiche Armonie.
Vivere secondo queste leggi non scritte, e dunque nemmeno definibili ma intuibili, è vivere secondo le Antiche Armonie. Gli Antichi vivevano secondo le Antiche Armonie ed intuivano nei segni e negli eventi le risposte che riguardavano ciò che stavano vivendo.
L'ambiente in cui vivevano era sacro, dato che sacra era la Natura in ogni suo aspetto: una Natura primigenia, incontaminata, selvaggia, nella quale gli uomini non avevano ancora iniziato ad operare quegli interventi profananti che l'avrebbero portata a diventare quale è oggi.
Vivendo in un ambiente sacro ed incontaminato probabilmente le Antiche Donne primordiali vivevano secondo leggi di naturalità e di spontaneità, così come fanno ancora gli animali liberi e selvaggi che non hanno contatti con gli uomini.
La distinzione fra se stesse e ciò che le circondava era pressoché inesistente, nel senso che era forse per loro del tutto naturale sentirsi parte di una dimensione spontanea, governata da leggi non umane e priva di quelle regole che le seguenti civilizzazioni avrebbero imposto in modo sempre più massiccio e limitante.
Le leggi di quei tempi antichissimi erano le leggi della Grande Madre, ovvero quelle dei cicli della Natura, del susseguirsi delle stagioni, del susseguirsi del giorno alla notte, della nascita alla morte, in un cerchio immutabile che non aveva né inizio né fine. Non esisteva la storia, né la storia di nazioni o di genti, né probabilmente la storia personale.
Gli accadimenti positivi o negativi erano considerati alla stregua degli avvenimenti naturali quali la siccità, le tempeste, il vento, la calura, le belle stagioni, il clima temperato e la fioritura della primavera; in modo analogo venivano sentiti i piaceri e i dispiaceri personali, come lo stare bene o male, l'essere lieti o tristi, procurarsi ed assumere il cibo, riposarsi, correre, incantarsi per il continuo spettacolo della natura selvaggia, fare l'amore, scherzare, ridere, dormire, morire.
L'io personale ed individuale era molto ridotto, se non inesistente, e conseguentemente era molto più facile sentire il senso della coralità con gli uomini, gli animali e le piante e la sintonia con l'ambiente circostante.

Ed era probabilmente anche facile, se non assolutamente normale, avere delle estasi ed essere aperte verso l'alto fino a sentirsi parte di una manifestazione divina, generatrice di armonia, di bellezza e di libertà quale era appunto la Grande Madre.
Quest
o naturale modo d'essere e questa spontanea religiosità caratterizzarono, secondo diversi autori, quel periodo che è stato definito Era dell'Argento ed Era delle Madri.
Probabilmente la Donna Arcaica non credeva nella Grande Madre, ma più semplicemente la conosceva, per il motivo che lei era una sua parte come tutto ciò che la circondava.
La Dea era percepibile e tangibile in primo luogo in se stessa, nel proprio corpo ed in particolare nella propria intima femminilità e poi in tutte le altre donne, negli animali, negli alberi, nei fenomeni della natura…

È facilmente intuibile che anche la religione, che tali ipotetiche donne arcaiche praticavano, era di una semplicità e di una naturalità assoluta.
Amare la natura era un atto religioso, fare all'amore era un atto religioso, partorire era un atto religioso così come lo era accudire i propri figli, amare i propri uomini, curare il proprio corpo, che era un'immagine della Dea, ed amare la Dea nelle altre donne che erano a loro volta una Sua immagine.

La Terra era sapiente maestra di saggezze che mostrava in ogni istante a chi avesse saputo osservarla con gli occhi dell’anima. Le donne rispecchiavano la bellezza immortale, erano portatrici della sua luce e conoscenza ultraterrena e ne emanavano tutte le sacre e magiche energie sottili.
Come la Natura, erano creature intoccabili da dita profane.
La loro sacralità rifulgeva di luce propria e nasceva dalla loro perenne vicinanza e contatto con le dimensioni spirituali, ove la Madre era presente in tutta la sua libera magnificenza.

In un tempo senza tempo,
In un luogo che non è luogo,
Io scrivo.
Di un grande Re, Slaine Mac Roth,
Che regnò su un impero che non era un impero,
In un passato che non era il passato,
O il futuro,
Ma l’eternità.
Perché le leggende sono eterne

Pat Mills, Slaine: Il Dio Cornuto

Possa il vostro cammino essere illuminato dagli Angeli
ed il cuore essere abitato da flussi d’amore costanti.

Possa la gioia scandire il vostro tempo ed ispirare ogni azione.

Lasciate che la vostra anima respiri in sintonia con il nucleo di vita della Madre Terra
E s’immerga nell’onda vivificante e rigenerante della Sorgente.

Siate un portale di fede per tutti i vostri sogni.

Mantenete alto e costante il vostro livello di energia,
onde impedire alla negatività di attecchire nelle vostre vite.

Eliminate con coraggio tutto ciò che non vi appartiene più,
tutto ciò che offende la vostra vera natura.


Siate leggeri ed armoniosi.

Amate.

Amate e lasciatevi amare.

The Guardian


Da: Delle antiche danze femminili di Irina Naceo

http://www.tempiodellaninfa.net/public/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=171

venerdì 21 ottobre 2011

Draghi d'Acqua, di Terra, d'Aria, di Fuoco

I draghi sono creature mitico - leggendarie, presenti nell’immaginario come esseri sia malefici sia benefici. La presenza del drago in moltissime culture, fa supporre che la sua immagine emerga dall’inconscio collettivo, che conserva la memoria degli animali preistorici. In oriente il drago era una vera e propri divinità, tanto che il trono dell’imperatore cinese era detto il Trono del Drago, e la sua faccia il Volto del Drago. Le credenze cinesi affermano anche che alla morte di un imperatore, esso volasse in cielo sotto forma di drago, e che quando un drago si alza in volo la pressione delle zampe sulle nuvole provoca la pioggia.
Nelle leggende, i draghi sono visti come creature prodigiose: si riteneva che le ossa, così come il loro sangue, potessero avere elevate proprietà curative.
Il loro sviluppo poteva durare molti secoli prima di raggiungere la piena maturità, si narrava che un uovo di drago impiegasse non meno di un secolo per schiudersi; inoltre solo dopo altre centinaia di anni il drago raggiungerà il suo massimo sviluppo con la crescita sulla testa di lunghe corna ramificate.
Naturalmente, grazie alla loro grande longevità, queste creature, che è estremamente riduttivo chiamare semplicemente “animali”, acquisivano una conoscenza e una saggezza senza pari… eh già, perché il Drago ha anche un’intelligenza superiore a quella dell’uomo!
Per i Celti invece il drago era l’animale più forte, più sacro, il simbolo del comando e della figura del leader. Pendragon è la parola celtica per indicare il capo. Simbolo di protezione e ricchezza,  il drago non è un mostro da superare, ma il supremo guardiano del tesoro. Nella psicologia junghiana il drago rappresenta l’ombra, la parte oscura di noi stessi che dobbiamo conoscere e integrare; alla fine, l’unico vero nemico siamo solo noi stessi.
Se ti piacciono i draghi, significa che sei attratto dalla magia e dal soprannaturale. Hai molta energia psichica e sei saggio e profondo. Potresti essere un catalizzatore di energie spirituali di cambiamento e trasformazione, per te stesso e per gli altri. A volte puoi sorprendere gli altri per la tua capacità intrinseca di affrontare prove o cambiamenti che sembrano impossibili. Al momento opportuno, puoi diventare un feroce protettore delle tue cause e dei tuoi diritti. Esistono quattro differenti tipi di draghi:
 
Draghi d’Acqua, Draghi di Terra, Draghi di Aria e Draghi di Fuoco.


Il Drago d’Acqua
- passione, profondità, emozione, collegamento


Porta alla luce quanto è nascosto. Memorie e desideri che possono anche essere stati a lungo dimenticati e repressi nell’Inconscio, possono emergere spaventandoci o confondendoci con la loro apparente negatività o distruttività. Affrontare queste esperienze con compassione e coraggio, alla fine, ci porterà ad un’esperienza di maggiore profondità d’animo e ad un più grande senso di collegamento con la vita. Pur potendo sperimentare, a volte, la sopraffazione emotiva, nel tempo sarai capace di guadagnare equilibrio e stabilità integrando questi forti sentimenti nella tua coscienza.

Il Drago di Terra - forza, potere, potenziale, ricchezza




Ci porta a confrontarci con il nostro potenziale. In noi c’è una stanza del tesoro piena di ricchezze – di potenzialità, di capacità - che possiamo imparare ad usare. Può darsi che in passato l’accesso ci sia stato negato dal guardiano di questo tesoro. Ma ora stiamo arrivando a comprendere che questo guardiano, a volte feroce, non è in realtà che un aspetto di noi stessi. Man mano che impareremo a conoscere e ad amare il Drago di Terra, diventeremo anche capaci di schiudere i segreti del nostro cuore e simultaneamente ci troveremo a scoprire la bellezza e il potere che riposano nei cuori di quelli che ci circondano e nella terra stessa.
In tempi antichi, tumuli e steli celebrativi, cerchi di pietre e singole pietre erette erano posizionati con un grande senso di riverenza per la terra e la consapevolezza del loro intrinseco potere spirituale. Quando un tumulo era riempito di oggetti tombali di valore per accompagnare la morte del guerriero o del capo, è molto probabile che gli antichi Druidi invocassero gli spiriti guardiani a guardia dei tesori, proprio come i sacerdoti egiziani invocavano spiriti perché custodissero i tesori delle tombe reali e spaventassero i potenziali dissacratori. Nel corso del tempo questi guardiani hanno assunto sembianze di mostruosi draghi che custodivano gelosamente i loro tesori in tumuli come il “Tesoro del Drago” di Oxfordshire, i tumuli di Old Field nello Shropshire, i tumuli di Drakelow nel Derbyshire e nel Worcestershire, e il tumulo di “Drake Howe” nello Yorkshire. Esiste anche un lungo tumulo che si suppone contenesse le ossa di un drago ucciso e bruciato a Walmsgate, una corruzione di “Wormsgate” (n.d.t: – worm – verme) nel Lincolnshire.
Certo è che non troviamo tesori soltanto nei tumuli sepolcrali. Anche tesori sotterrati in certe colline beneficiano della guardia di un drago, come il Wormelow Tump in Herefordshire e il Money Hill a Gunnarton Fell in Northumberland. Sotto la collina-fortezza dell’Età del Ferro di Cissbury giace un deposito d’oro che può essere raggiunto soltanto attraverso un passaggio sotterraneo di due miglia; nessuno ha mai avuto successo nello scoprire il tesoro perché a mezza strada del tunnel si ergono due draghi guardiani.
La credenza nell’esistenza di draghi guardiani del tesoro è più forte in Galles che in Inghilterra, sebbene questi abbiano la tendenza a vivere nelle dense foreste e sulle colline solitarie piuttosto che in tumuli sepolcrali. Una caratteristica interessante di tutti i racconti che riguardano draghi di terra è che, a differenza di quelli di aria, di fuoco e d’acqua, questi hanno contatti minimi, quando ne hanno, con gli esseri umani – nessuno cerca di ucciderli, né loro si lanciano in devastanti razzie nelle campagne circostanti. Se ne stanno piuttosto a riposare nascosti e inattivi, a meno che non vengano disturbati. Per quanto ritratti senza alcuna traccia di crudeltà, come un vulcano dormiente portano in loro un potenziale di minaccia e pericolo che potrebbe ridestarsi. Ognuno di noi, forse, ha in se stesso draghi di questo tipo a guardia delle sue ricchezze interiori. Partendo dal presupposto che nessuno debba violare lo splendore del nostro sé più profondo, il drago a volte può negare l’accesso a queste riserve di potere e di potenziali persino alla nostra coscienza che sta risvegliandosi.
Il Drago di Terra non lo troviamo soltanto nelle grotte o al centro dei tumuli o delle colline, lo troviamo anche attorcigliato intorno alle stesse. Un simbolo molto potente del viaggio di autoconoscenza e di ricerca spirituale è il labirinto, la spirale, che a volte riscontriamo nei solchi rilevati sui lati di certe colline, come quella di Glastonbury Tor, o quella di Bignor Hill nel Sussex. Secondo la leggenda del drago di Linton, la forma spiraliforme della Collina di Wormington venne a crearsi quando il drago, nei sussulti della sua morte, si attorcigliò intorno alla collina e si contrasse, strizzandola fino a farle assumere la forma che ha attualmente.
C’è un collegamento fra il drago che sonnecchia attorcigliato intorno alla collina o intorno al tesoro nella grotta del cuore e la creatura che noi scopriamo al centro del labirinto o della spirale. Sono entrambi aspetti di noi stessi – entrambi possono essere visti come Guardiani di Soglia – entrambi devono essere rispettati ed amati, ma anche sfidati, e forse addirittura in certi casi vinti. Che il labirinto sia quello classico a sette anelli, come quello che vediamo nelle incisioni del sesto secolo ritrovate a Hollywood, in Irlanda, e a Tintagel in Cornovaglia, o semplicemente la triplice spirale trovata nei siti più antichi di Newgrange in Irlanda o di Achnabrek in Scozia, è opinione comune che questi simboli rappresentino il viaggio dell’anima dentro e fuori un’incarnazione. Se possiamo confrontare il drago guardiano della casa del tesoro dell’anima e dell’Altromondo con sincerità e umiltà, questa creatura ci guiderà attraverso il labirinto del cuore del mondo a trovare ispirazione e coraggio per rinascere nel tempo e nello spazio.

Il Drago d’Aria – ispirazione, visione interiore, vitalità




Venire in contatto con il Drago d’Aria può avere un effetto fulminante per psiche e intelletto, ed è per questo che va trattato con attenzione e considerevole rispetto. A volte si manifesta con improvvisi lampi di illuminazione. Il Drago d’Aria porta visione e chiarezza al tuo pensiero e alla tua immaginazione. Come vettore di poteri divini, il Drago d’Aria può essere visto come un messaggero del Dio del Cielo.
Da qualche parte nelle regioni montagnose di Snowdonia, in Galles, si trovano i resti dell’antica città di Emrys, dimora degli alchimisti druidi conosciuti come Pheryllt. Nella tradizione gallese, questa città di ambrosia era anche conosciuta come Dinas Affaraon – “la città dei poteri più alti”.
Qui abitavano i draghi di Beli, una delle principali divinità britanniche. Il bardo Taliesin descrive uno di questi draghi nel suo poema Protection of the Honey Isle: “Una profonda caverna si apre davanti a me, e grandi rocce le fanno ombra. Il drago esce e striscia verso le coppe del canto”.
Dalle caverne sovrastanti la campagna, i draghi emergevano per essere attaccati al carro della dea Ceridwen. I draghi d’aria, principalmente volano liberi e solitari.
Nella tradizione dei Druidi, il drago volante è una creatura del Dio del Cielo – proveniente magari dalla costellazione Draco, vicina alla Stella Polare. Rappresenta la discesa dello spirito, una visita da un altro mondo, un invito a salire a più alti livelli di coscienza. Come il fulmine e il tuono, il drago può essere terribile, portatore di distruzione. Ma se trattato con rispetto e se preso come un alleato, può aiutarci a viaggiare nel mondo dello spirito, a spingerci ancora più avanti nel mondo dell’illuminazione.

Il Drago di Fuoco – trasmutazione, maestria, energia


Il Drago di Fuoco porta vitalità, entusiasmo, coraggio e una notevole capacità di superare gli ostacoli e di trovare l’energia necessaria per affrontare i problemi della vita. Avere il potente Drago di Fuoco come alleato ti farà immediatamente capace di esprimere le qualità necessarie ad essere leader o maestro. Con molta attenzione e capacità, il drago darà carburante al tuo fuoco interiore che potrà essere diretto e canalizzato con una precisione quasi da laser per aiutarti a superare prove e raggiungere obiettivi.
Il padre di Re Artù, Uther, una volta ebbe la visione di un drago fiammeggiante. Rimase così colpito da chiedere immediatamente ai suoi sacerdoti druidi di spiegargliene il significato. Gli fu detto che un tale drago fiammeggiante significava che sarebbe diventato re. Uther decise allora di chiamarsi “Pendragon”, che significa “Testa di Drago”. Fu a quel punto che il drago divenne l’emblema araldico e l’animale totemico della più grande linea di discendenza di re inglesi – i Pendragons.
Questo fatto, che segna le fondamenta della storia di Artù, ci dà l’opportunità di comprendere il Drago di Fuoco. Ognuno dei quattro draghi, quello d’acqua, di terra, di aria e di fuoco, rappresenta energia e potere, ma ognuno media le stesse energie in un modo diverso e, alla fine, saremo chiamati a integrare ed armonizzare questi quattro differenti tipi di “energia dragonica” nel nostro essere. L’energia del Drago di Fuoco ha a che vedere con l’essere re, l’essere leader, il governare, l’essere maestri. Per questo i Druidi furono capaci di interpretare con tanta accuratezza la visione di Uther. Si dice che suo figlio, Artù, portasse un drago dorato sull’elmetto a simboleggiare il suo rango, e il drago di fuoco ha continuato ad essere simbolo, da allora, di autorità e potere.
I draghi di questi racconti di antica tradizione sono raffigurati come maligni, ma nella tradizione dei Druidi il drago di fuoco ha una valenza neutra – di fatto, il drago è maligno o benigno in accordo al nostro grado di evoluzione. Non tutta la conoscenza può essere usata da tutti, non ogni potere può essere usato da tutti. Sono ben noti i pericoli nei quali si può incorrere se potere e conoscenza cadono in mani corrotte. Il Drago di Fuoco è maligno soltanto se è incontrato da chi non è preparato o non è sufficientemente forte da potere sostenere le energie che rappresenta – a questo punto ci si può sentire esauriti o “bruciati”. Il Drago di Fuoco è a guardia del tesoro del Fuoco Interiore che brucia in ognuno di noi e che nella tradizione druidica è chiamato Fuoco del Drago, o Nwyre, ma che comunque è più vastamente conosciuto in Oriente con il nome di Kundalini. Questo fuoco circola attraverso i nostri centri psichici, o chakra, e il suo risveglio prematuro, indotto con l’uso di droghe o di tecniche esoteriche non appropriate, può portare a gravi disturbi psicologici e persino a malattie fisiche. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che il drago che sta a guardia di questa potente energia sia raffigurato come feroce, per le gravi conseguenze che possono derivare dal cattivo uso della sua potenza

Da: http://cittadiluce.forumattivo.eu/t79-il-drago-come-animale-totem
L’oracolo dei druidi di Philip e Stephanie Carr-Gomm


mercoledì 19 ottobre 2011

Estasi e follia nello sciamanesimo celtico


Il personaggio oggi noto come Merlino, assume, in realtà, differenti nomi e aspetti nel corso dei secoli e nelle varie leggende, ma l’archetipo del bardo, veggente e druido in preda alla Follia Profetica, a causa della quale è costretto a vivere nel folto dei boschi come Uomo Silvestre, è il medesimo ed è ampiamente riconoscibile in ognuna di esse; nelle varie narrazioni, difatti, si nota come egli passi la maggior parte del suo tempo tra le foreste, lontano dalla civiltà e dalla sua caotica nonché superficiale esistenza, trovando così riparo spirituale nell’abbraccio delle fronde degli alberi e nella contemplazione della vita degli animali selvatici. Questo suo profondo attaccamento allo stile di vita selvaggio, i vari tipi di alberi spesso citati, e il rapporto, sia fisico che simbolico, che spesso viene a crearsi tra il Veggente e l'albero stesso, lasciano dedurre che nelle suddette leggende vi sia una qualche reminiscenza dell’antico culto arboreo dell’era pre-cristiana.
Un personaggio leggendario che viene solitamente affiancato alla figura del nostro Merlino è Lailoken. Nel testo gallese Cyfoesi Myrddin a Gwenddydd ei Chwaer (La conversazione di Merlino e di sua sorella Gwendydd), Gwenddydd si riferisce a Merlino con il nome di Llallawg e il suo diminutivo Llallogan. Anche A.O.H. Jarman, un eminente studioso di antica letteratura gallese e della figura di Artù in particolare, associa Llallogan ~ Laloiken con l’originario personaggio di Myrddin Wyllt  (in inglese Merlin the Wild, "Merlino il selvaggio" che compare in Vita Merlini di Geoffrey of Monmouth nel 1148-1150 c.a., il seguito della sua Prophetia Merlini) e che diede la nascita al personaggio arturiano di Merlino. In una storia più tarda del XV secolo, Lailoken and Kentigern, troviamo la frase: “…alcuni dicono che fu chiamato Merlino”. Più tardi il Libro Nero di Carmarthen (c.a. 1250) ci riporta anch’esso parti della leggenda di Myrddin Wyllt.
Myrddin Wyllt è uno dei possibili volti dell'Uomo Selvaggio. Costui era figlio di un uomo di nome Morfryn, e soffriva di stati alterni di pazzia che, infine, lo costrinsero ad una solitaria vita nei boschi. Nel testo si accenna al fatto che avesse il dono della profezia, la quale si manifestava, però, solamente durante i rari momenti di sanità mentale. In questa narrazione, la presenza di alberi viene in verità citata dalla sorella di Myrddin, Gwendydd, la quale possiede a sua volta il dono della veggenza, ma è il fratello che aiuta la fanciulla nell'interpretazione dei suoi sogni profetici. Cosa che lo rende indiscutibilmente legato alla Conoscenza arborea.
Secondo Jean Markale vi è, altresì, una possibile connessione tra il personaggio di Merlino e quello di Gwydion, l'Incantatore figlio della Dea Don e nipote di re Math, presente nelle leggende gallesi del Mabinogion. Entrambi, difatti, sono legati alla magia della foresta, in quanto Gwydion durante la battaglia mitologica raccontata nel Libro di Taliesin e chiamata Cad Goddeu, "Battaglia degli Alberi", è colui che trasforma i britannici in alberi e arbusti. Inoltre, pare che il suo nome derivi dalla radice "gwydd", o "wydd", che significherebbe bosco. Ambedue esperti di incanti e illusioni, e ambedue profondamente legati alla vita selvatica, dal momento che Gwydion stesso venne trasformato da Math in tre diversi animali, in seguito ad una punizione.
A sua volta, nel nome di Merlino si scorge la familiarità con il mondo selvatico dei boschi e delle foreste; sempre secondo Markale, è possibile accostare il suo nome con la parola inglese del XII secolo "merilun", ovvero "merlin" in inglese moderno, che significa "smeriglio", qualità di falcone molto nota a quell'epoca. Propone, inoltre, un accostamento con il francese "merle", ovvero "merlo", ponendolo in questo caso come aggettivo, a causa del carattere tipicamente sbeffeggiatore e impertinente del Merlino Incantatore delle saghe arturiane.
Ad ogni modo, nei suoi vari aspetti e comportamenti, scorgiamo in Merlino il volto solenne dello Sciamano, del Druido, di colui che possiede la Scienza degli Alberi, il quale intraprende il proprio Viaggio Estatico attraverso la fusione dell'Anima e del Sé con l'essenza degli alberi a cui si rivolge, o dentro a cui vive, protetto da occhi indegni nell'imperscrutabilità della propria cristallina torre, che altri non è se non il Nemeton, la Sacra Radura pregna di magia divina.
Nel suo Vita Merlini, Geoffrey of Monmouth narra di come Merlino, in preda alla follia, corra a nascondersi tra i frassini, dove darà inizio alla sua esistenza di uomo selvaggio, nutrendosi di bacche e radici, e comportandosi come se fosse un animale. Nel corso della storia, lo si può osservare mentre va a rifugiarsi all’ombra di alcune querce, sfuggendo così ad un viandante che l’aveva casualmente scorto per via dei suoi canti e lamenti. Infine, un inviato della sorella, avente il compito di ritrovarlo e di ricondurlo a casa, lo trova beatamente adagiato sotto ad un nocciolo, nei pressi di una sorgente. Analizzando brevemente le varie simbologie di questi tre alberi, si può azzardare l’ipotesi di un Percorso Iniziatico basato sugli insegnamenti profondi del Frassino, della Quercia e del Nocciolo.
Il Frassino è l’albero degli Inizi e della Vita, fonte di saggezza cosmica, connesso alle acque ed alla femminea Luna, ma anche al Sole e quindi al lato maschile, e avente la capacità di apportare equilibrio interiore, guarigione sia fisica che spirituale, e di favorire la rinascita. Nella mitologia nordica, l’Yggdrasil, il Frassino del Mondo, veniva raffigurato come un albero immenso, i cui rami si snodavano verso l’immensità del cielo, mentre le radici scendevano nelle oscurità degl’Inferi, in modo da sostenere e rigenerare l’universo; questa visione potrebbe stare ad indicare una connessione spirituale da parte di quest’albero tra il piano materiale, o della mente, e quello dell’anima, dal quale prende nutrimento. È perciò evidente, in questo caso, il suo ruolo di “ponte” tra la mente di Merlino e la sua anima antica, portandolo così ad avere visioni ed estasi che ad occhi profani possono apparire come mera pazzia.
Volgendo lo sguardo verso la simbologia della Quercia, notiamo come anch'essa venisse considerata una sorta di "porta" d'accesso ai Mondi, e come in molte tradizioni fosse tenuta in grande considerazione quale albero oracolare. L'essenza spirituale della Quercia possiede la capacità di apportare grande forza interiore, atta a governare sé stessi, e donando così equilibrio e vigore sia fisico che psicologico; tutte qualità che al Merlino in preda alla Follia giungono come un corroborante elisir, in grado di concedergli la fermezza e la lucidità necessarie alla comprensione personale dei propri vaticini. Inoltre, la Quercia è anche un albero guerriero, che dona protezione e stabilità, che risveglia la nostra parte più forte e combattiva, e che ci infonde coraggio, energia vitale e ispirazione.
Ma è il Nocciolo che vede il cambiamento finale di Merlino, quello che lo porterà a seguire il suddetto inviato della sorella per fare temporaneamente ritorno tra la gente comune. Qui Merlino appare più sereno, meno selvaggio, la sua Follia si è un poco placata, o meglio equilibrata, e lo si ode cantare una sorta di preghiera, una riflessione sulla natura delle stagioni e sulla relativa rigidità dell'inverno. Quest'albero, infatti, è da sempre l'emblema della Conoscenza profonda, della Saggezza e dell'Ispirazione proveniente direttamente dagli Dei. La sua aura "rinfrescante" e giovanile è in grado di connettere la mente con quella parte dell'anima innocente e luminosa, chiamata "bambino interiore", in grado di riconoscere la vera Magia che si cela oltre la materia. Il Nocciolo è particolarmente legato alle acque, ed è perciò interessante notare la presenza del ruscello al fianco di Merlino, simbolo di guarigione fisica, mentale e spirituale, ma soprattutto ennesima simbologia di un "varco" che collega il mondo umano con quello Divino, quale è l'acqua nella tradizione celtica. Forse, in questo caso, il Nocciolo potrebbe rappresentare l'avvicinarsi della meta finale del Percorso del profeta.
Un altro dei possibili volti di Merlino lo troviamo nel personaggio di Myrddin il Bardo, poeta gallese che ci parla in prima persona nelle poesie a lui attribuite. Anch'egli, come il Merlino di Geoffrey di Monmouth, viene visto come un "uomo selvaggio", un "folle", che ama profetizzare nella quiete delle foreste. Nella poesia dei Meli, lo vediamo rivolgersi a questi alberi come se parlasse a delle persone, quasi ad indicare quanto fosse integrato nel suo ruolo di Uomo dei Boschi, e il fatto che ormai appartenesse ad un mondo al di fuori di questo. Questo suo comportamento riporta alla mente le trance degli sciamani, i quali, durante le loro estasi, sono in grado di visitare mondi ritenuti al di sopra di quello ordinario. Il Melo, secondo la tradizione, è l'albero fatato per eccellenza, Iniziatore e dispensatore di Saggezza e Conoscenza, i cui frutti racchiudono la simbologia dell'Altro Mondo. Nella mitica Asgard, città degli Dei della mitologia norvegese, vi erano delle mele magiche che donavano l'eterna giovinezza, e questo ci riporta al concetto di Bambino Interiore, sempiternamente puro e limpido. Il Melo è inoltre l'albero sacro dell'Isola di Avalon, terra di incanti e guarigioni spirituali, nonché dimora di splendide Donne conoscitrici dei Misteri universali. Senza dimenticare il frutto proibito della biblica vicenda di Adamo ed Eva, il quale concedeva la Sapienza di Dio. Esso dona la Vita, la Rinascita, il "furor poeticus", ovvero l'Ispirazione del poeta portata dalle Muse. E, nuovamente, troviamo in esso la capacità di connettere il veggente con gli ancestrali Mondi dello spirito.
In un'altra poesia, vediamo Myrddin dialogare con un piccolo maiale, più probabilmente un cinghialotto, animale sacro ai Celti che ben rappresenta lo stato interiore selvaggio del Bardo, e la sua connessione con il volto divino della natura.
Merlino è stato associato anche alla figura di Suibhne, un re e poeta che governò Dalraidhe (da non confondere con Dál Riata, latinizzata in
Dalriada), un regno del popolo dei Cruithne, nel nord-est dell'Irlanda del I millennio, incentrato sulle coste settentrionali di Lough Neagh, nell'Antrim, e che sembra corrispondere alle Robogdii menzionate da Tolomeo nella sua Geografia. Un giorno Suibhne, dopo essere stato maledetto da San Ronan, alla vista della carneficina avvenuta durante una battaglia impazzì e visse a lungo nelle foreste dormendo sugli alberi. Indossava un mantello di piume ed era in grado di passare dalla cima di un albero a quella di un altro volando. Durante questi periodi di follia ispirata fece delle profezie che in seguito si rivelarono vere. Una volta ebbe uno scontro con la strega del mulino, che cadde a terra morta quando non riuscì a reagire a un poderoso salto da lui compiuto. Diverse volte gli amici lo incontrarono e cercarono di convincerlo a tornare a casa, ma ogni volta capitava qualcosa che lo riportava indietro nella sua follia. Alla fine trovò la morte in una maniera inconsueta: un cuoco del monastero dove il confidente di Suibhne, San Molling, lo aveva invitato a cena, divenne geloso per le attenzioni che sua moglie prestava al folle esiliato e lo trafisse con una lancia.
Questa storia, che
risale al X-XII secolo, modellata su una tradizione precedente di cui si conservano echi nel
Libro di Aicill e negli Anecdota di S. Molling, rivela molti aspetti dello sciamanesimo celtico. Quando è in preda alla follia o ispirato, Suibhne compone poesie, vola come un uccello e pronuncia profezie: tutte e tre le discipline sono comuni agli sciamani del mondo intero. La sfida con la strega del mulino è, come la gara fra Taliesin e Ceridwen nell’assumere forme diverse di animali, un modo di descrivere l’iniziazione sciamanica e ricorda vari racconti di lotte fra diversi “stregoni” nello sciamanesimo del Sud America. Il soprannome di Geilt, dato a Suibhne, viene solitamente impiegato per indicare un matto; non è altro che l’equivalente irlandese del gallico Gwylt, che significa selvaggio. È più che probabile che la parola geilt o gwelt sia la traduzione in celtico della parola “sciamano”: un folle ispirato che vola, è in grado di predire il futuro e vive in stretta comunione con il mondo animale.
Le leggende di Suibhne Geilt in Irlanda e Laloken in Scozia appaiono, in realtà, molto simili al resoconto della Vita Merlini. Suibhne in particolare descrive i suoi stretti rapporti col mondo animale e vegetale, che gli ispira lodi alla bellezza degli alberi e della natura, alla freschezza delle acque, ed alla grazia degli animali. Le sue odi sono dedicate a querce, ontani, salici e betulle, tutti ritenuti in grado di avvicinare l'essere umano alla divinità, e ad altri numerosi alberi e arbusti che si ritrovano senza difficoltà nella vasta simbologia celtica. Possiamo notare come la sua follia sia più gioiosa, più armoniosa, rispetto a quella del Merlino presentato da Geoffrey, nonostante anch'egli soffra dinanzi ai rigori invernali. Un attento esame va tuttavia rivolto verso l'albero in cui egli pare abbia scelto di dimorare dopo aver rinunciato alla vita con gli esseri umani, ovvero il Tasso. Le antiche tribù teutoniche dedicarono a questo maestoso albero la tredicesima runa, Eiwaz o Ihwaz, che rappresenterebbe sia la Morte che la Rinascita. Secondo Graves, il Tasso è associabile al Solstizio d'Inverno, momento dell'anno in cui il Sole muore e contemporaneamente rinasce a nuova vita. Simbologia perfetta per il caso di Suibhne, che muore come essere umano per rinascere come Uomo Selvatico. Tra le popolazioni indoeuropee, è uso comune dipingersi sulla fronte un piccolo punto colorato, chiamato bindhi, simboleggiante il Terzo Occhio, grazie al quale si possono ottenere stati di coscienza elevati. Nella cultura celtica il Tasso possedeva il ruolo di legno principale per l'intaglio delle rune ogamiche, poiché portatore di Conoscenza superiore. Suibhne potrebbe aver scelto quest’albero per favorire lo sviluppo e l’accrescimento del suo stato di folle veggente

Da: Sciamanesimo celtico di John Matthews
http://sacerdotessediavalon.forumcommunity.net/?t=39927765

martedì 18 ottobre 2011

I Celti in Italia


Già dal XII sec. a.C. nel Canton Ticino e nelle regioni nord occidentali dell'Italia (Piemonte e Lombardia) si sviluppa una cultura detta di Golasecca, che discende direttamente dalla cultura dei Campi di Urne.
Queste genti parlano una lingua celtica, detta Leponzio, ai Leponzi è attribuita la più antica iscrizione in lingua celtica (Iscrizione di Prestino VI sec. a.C.) di tutta l'Europa.
Gli Insubri sono considerati gli eredi diretti dei precedenti Golasecchiani.
A partire dal V secolo a.C. (ma qualcuno opta per il IX secolo a.C., mentre altri indicano il VII secolo a.C.) le popolazioni celtiche valicano a più riprese i passi alpini del Gran San Bernardo e del Piccolo San Bernardo per riversarsi nella Pianura Padana, dove i Boi, i Lingoni, gli Insubri, i Senoni e i Cenomani si stabilirono.
I popoli che vivevano al di là delle Alpi che separano l’Italia dalla Francia e dalla Svizzera, appartenevano alla stirpe celtica europea e sia il passo del Gran San Bernardo che quello del Piccolo San Bernardo in Valle d’Aosta (ma anche il Moncenisio, il Gottardo, il Brennero e il Tarvisio), portano testimonianza di un intenso passaggio di genti celtiche. Le numerosissime monete celtiche (oltre 600) ritrovate nei laghi alpini, lì gettate come offerta agli dèi del luogo per proteggere il percorso dei viandanti, portano i nomi di varie tribù, come i Leuci (stanziati nelle valli superiori della Mosa e della Mosella, dall’alta Marna ai Vosgi), i Sequani (grande e importante popolazione stanziata a ovest del Giura, nell’odierno dipartimento di Franche-Comté, e in Alsazia), i Lingoni, i Remi, gl Elvezi, gli Insubri e i Cenomani. Troviamo perciò popolazioni celtiche stanziate appena oltre i passi alpini (Veragri, Seduni e Nantuates nella valle del Rodano; Ceutrones, Acitavones, Medulli e Graioceli oltre il Gran San Bernardo) e in continuo passaggio verso la Pianura Padana e l’Italia in generale.
L’intera Italia settentrionale è costellata da nomi celtici che designano luoghi geografici o città e che testimoniano uno stanziamento stabile per parecchi secoli. Pensiamo alle Alpi, che sembrano derivare il loro nome dalla parola celtica Alp/Arp, il cui significato è “montagna”, o all’Alpis Graia (passo del Piccolo S. Bernardo), fonte di numerose interpretazioni tra le quali è stata proposta la derivazione del nome celtico Grannus, ma anche dalla parola grau, “roccioso”, “scosceso”, oppure dal nome della tribù celtica dei Graioceli, che abitavano nella Gallia Transalpina. Il significato del passo del Gran S. Bernardo (Summus Poenius) è invece più semplice, dato che il nome deriva dalla divinità celtica Penn, ma potrebbe anche riferirsi alla  parola penn, “sommità”.
I Celti scesero e si stanziarono in Italia in successivi spostamenti avvenuti intorno al V-IV secolo a.C., dovuti presumibilmente all’aumento di popolazione delle varie tribù o a nuovo cambiamento del clima, oppure a motivi prettamente di conquista. Si sa per certo che nel 400 a.C. circa, gruppi armati di Celti giungenti dall’alto Reno e dall’alto e medio Danubio attraversarono il passo del Gran San Bernardo e del Brennero e si riversarono nella Pianura Padana, dove gli Insubri fondarono Mediolanum, i Cenomani Briscia, Bergamum e Verona.
Una città prettamente celtica che sorge sulle rive della Dora Baltea, famosa per i suoi cavalli, e fiorente nel 100 a.C., è quella di Ivrea, l’antica Eporedia (da Eporedicas: buoni allevatori di cavalli o da Eporedoria: luogo di coloro che vanno su carri a cavallo).
I Boi, i Lingoni, i Biturigi cercavano oro e vino etruschi, ma trovarono soprattutto nuovi territori in cui stabilirsi.
Tito Livio (Storie lib. I-XXV), cita nei suoi scritti i nomi di sei popoli celtici che invasero l’Italia nel IV secolo a.C: Insubri, Cenomani e Salluvii, che si stabiliscono a nord del Po; Boi, Lingoni e Senoni che invece si stanziarono a sud del grande fiume. Gli Insubri sarebbero stati una suddivisione degli Edui, che avevano come capitale Autun (la moderna Saône-sur-Loire); i Cenomani, una delle tribù secondarie che formavano il gruppo della nazione Volcae, provenivano probabilmente da una regione situata a ovest della Boemia; i Boi sono una parte del popolo che, condotto da Segoveso, conquistò in quello stesso periodo la Boemia, dalla quale furono più tardi cacciati e costretti a dividersi in due gruppi di cui uno si diresse in Pannonia (a sud di Vienna, Austria) e l’altro presso gli Edui in Gallia. I Lingoni portano lo stesso nome della tribù celtica stanziata nel distretto della Haute-Marne, in Francia.
La maggior parte degli invasori Celti giunti in Italia proveniva quindi dalla Francia orientale, dalla Germania meridionale e da parte della Svizzera. Non furono probabilmente popoli interi a spostarsi nelle nuove terre, ma solo una parte della gioventù insoddisfatta dei vecchi luoghi occupati dalle loro tribù (forse troppo numerose) e desiderosi di nuove acquisizioni e avventure, mossi quindi da intenti carichi di audacia ed energia.
Le fonti classiche attestano che i primi a giungere in Italia furono gli Insubri che, dopo aver saccheggiato la città etrusca di Melpum, si stanziarono nei dintorni d Milano. Agli Insubri seguirono i Boi, i Lingoni e i Senoni che si stabilirono in Lombardia. Ma la maggior parte delle genti celtiche si stabilirono nella valle del Po: i Cenomani a nord-est, i Boi nel distretto di Bologna, i Lingoni a sud e in seguito si spinsero fino agli Appennini. I Senoni raggiunsero la costa adriatica di fronte alle Marche, tra Rimini e la foce del fiume Iesi, a nord di Ancona, e vi si fermarono dando vita a una regione conosciuta da quel momento come Ager Gallicus.
Solo una parte degli invasori Celti però, si stanziò immediatamente nei nuovi territori, mentre l’altra continuò ad avanzare lungo la penisola italica. Presso il piccolo fiume Allia, alla confluenza con il Tevere, sconfissero le legioni romane e raggiunsero Roma, che fu incendiata e saccheggiata nel 387 a.C. La sconfitta subita dai Romani servì a questi ultimi per rinforzare le difese della città, costruendo solidi bastioni in pietra, e per riorganizzare l’esercito, così da diventare in seguito una delle più grandi potenze del mondo antico.
Roma nel 338 a.C. aveva il predominio sulla confederazione ormai sciolta delle città etrusche e sulle tribù sannitiche e cominciava a estendere il proprio dominio sull’Italia intera. I Celti ne contrastarono gli intenti quando, nel 299 a.C., affrontarono e distrussero un esercito romano a Clusium (Chiusi), ma quattro anni dopo subirono una sconfitta in Umbria, presso Sentino, e dopo altri sanguinosi scontri furono ricacciati verso l’Italia settentrionale. I Romani fondarono sulle terre dei Senoni, nel 280 a.C., la colonia civile di Sena Gallica (Senigallia).
Gli Insubri e i Boi chiamarono allora in aiuto le forze celtiche d’oltralpe e si scontrarono con i Romani nella battaglia di Talamone  nel 225 a.C., subendo una grave sconfitta che costò loro i territori.
Nel 218 a.C. la discesa di Annibale in Italia permise ad alcune tribù celtiche di tentare di contrastare la supremazia romana nella penisola e molti mercenari si unirono al Cartaginese, senza tuttavia riportare grandi successi. Il confine romano si spostò inesorabilmente verso l’Italia settentrionale e tra il 225 e il 190 a.C. si susseguirono numerose battaglie che portarono alla conquista totale della Gallia Cisalpina.
Nell’82 a.C., sotto il governo di Silla, essa fu eletta provincia di Roma.
A lungo ritenuta una provincia marginale dell’area celtica, dopo accurato esame l’Italia appare invece una regione cruciale per la comprensione dei fenomeni che nel IV secolo a.C. interessarono la cultura di La Tène. Dall’Italia infatti partirono le correnti e gli influssi, percepibili in particolare nel mondo artistico, che segnarono profondamente e durevolmente la cultura dei Celti storici.
Ma questa è anche la regione in  cui il processo di integrazione dei gruppi di celtici immigrati per motivi bellici può essere seguita nel modo migliore, grazie all’abbondanza delle informazioni testuali, che hanno un equivalente soltanto nelle notizie di cui disponiamo, tre secoli dopo, per la Gallia transalpina. La comparazione di tali informazioni con i documenti archeologici dimostra in maniera esemplare l’incompletezza delle conclusioni che si possono trarre usando solo una di queste due categorie di fonti: l’impressione di un popolamento celtico omogeneo, uniforme e in costante contrapposizione con l’ambiente indigeno, che ci si può fare leggendo i testi, appare quasi del tutto falsa se si analizzano i materiali archeologici delle regioni interessate. In effetti le vestigia rivelano la varietà dell’elemento celtico, che è senz’altro dovuta alla diversa derivazione delle sue principali componenti, oltre che alla coabitazione con vari ambienti autoctoni, nel quadro dei complessi territoriali che i testi collocano sotto il loro dominio egemonico.
La capacità di integrazione etnica e culturale palesata in Italia dai Celti costituisce certamente un ottimo modello per capire meglio ciò che è successo nelle altre zone di espansione storica. Il loro caso permette inoltre di valutare la rapidità con cui essi seppero creare formazioni etniche eterogenee sotto il loro controllo: non ci sono volute più di un paio di generazioni affinché popoli come i Senoni o i Boi giungessero al grado di coerenza culturale che riflette, nella seconda metà del IV secolo a.C., il momento di equilibrio del fenomeno celto-italico

Da: Il vischio e la quercia di Riccardo Taraglio
La grande storia dei Celti di Venceslas Kruta