''Io sono la volontà degli Dei, io sono la vita. Io sono la Signora del plenilunio, colei che ritorna per ricordare ai Figli del Cielo l'Antica Arte. Io sono la Dea dell'amore che stende un mantello di stelle sopra la notte. Io annuncio l'alba e saluto il tramonto. Io possiedo il segreto di ogni incantesimo. Io sono colei che comanda la folgore. Io sono la rugiada che scende sui prati fioriti, la linfa che scorre nei boschi, che anima i venti e le acque, che sposa e feconda la terra, che nasce nel fuoco e alimenta la fiamma perenne che grida giustizia agli Dei. Io sono colei che sconfigge la morte e spezza le catene della paura, io sono lo Spirito puro della Natura, lo Spirito libero dell'universo. Io sono la Gloria immortale della verità mai tradita. Io sono l'amore, io sono la vita. Io sono la figlia della Luce infinita''.
Canto di Aradia di G.G. Leland
Meglio arrivarci sull'imbrunire, al termine dell'estate, dalla parte di Pisa. Si vede così l'antica Badia, risparmiata appena dalle erosioni secolari delle Balze, immersa in un fuoco di arancioni e di gialli. E poi eccole lì, paurose, le Balze stesse, quelle antiche frane che si sono inghiottite quartieri interi, necropoli etrusche, monasteri, chiese romaniche. Con quella loro lentezza implacabile e impietosa sembrano minacciare la stessa Volterra. La rodono, almeno per ora, solo idealmente. Volterra si differenzia per il colore: quello dei muri, delle strade, e soprattutto quelli della campagna e del cielo. Insomma, quando guardi le sue colline, hai l'impressione di essere piombato di peso sulla tavolozza di un pittore. Ma il bello è che non occorre allontanarsi dalla città: lo spettacolo è lì a portata di mano, non appena ti affacci ad una delle porte cittadine, aperte in quelle mura medioevali che erano addirittura più piccole di quelle etrusche (IV-III secolo a.C.). E mentre guardi Volterra, gli Etruschi guardano te. Dovunque. A cominciare dalla Porta all'Arco, con le tre enigmatiche teste umane scolpite nell'archivolto e semicancellate dal tempo. Oppure dalla Porta Diana, fuori le mura medioevali. L'incuria non è riuscita a salvare l'arco, oggi rimangono solamente i lati ma è ancora così massiccia da essere chiamata familiarmente "il Portone ".
Una leggenda colloca infatti la nascita della città in un passato molto remoto affermando che fosse sorta per opera di Giano parente di Noè, ma senza scordare che Giano è stato un personaggio molto familiare della cultura etrusca, in specie volterrana, tanto che con la sua effige furono coniate le più antiche monete della città. Giano il Dio Bifronte, ma anche come Diano (Giano-Jano) consorte di Diana (Giana). Le coppie divine, Giove e Giunone da una parte, Diano e Diana, o Giano e Giana, dall'altra, non sono che reciproci duplicati, con nomi e funzioni originariamente identici. In quanto ai nomi tutti e quattro hanno la stessa origine ariana "di", che significa "splendente".
Chi ha un animo romantico o ama gli enigmi dovrebbe forse recarsi in un luogo indistinto a un paio di chilometri lungo la strada, in qualche punto tra la villa moderna con cani che abbaiano e il vecchio podere con filari di viti e girasoli. Non ci sono cartelli, per cui il viaggiatore non informato potrebbe passarci davanti inconsapevole del mistero.
Qui, cercando bene, c’è sul crinale il rudere di una casa, che da una posizione perfetta volge lo sguardo verso l’imponente città etrusca. Prima di diventare un cumulo di rovine, questa dimora custodiva segreti.
La leggenda dice che è tutto quel che rimane di una piccola tenuta della fine del tredicesimo o dell’inizio del quattordicesimo secolo, che un tempo fu la dimora di una famiglia benestante e signorile e della loro incantevole figlia. Del nome della fanciulla dobbiamo fare a meno, perché su di lei è fiorita una messe di leggende e la verità del suo nome fa parte dell’arcano. Basti dire che, in epoca cristiana, era una discepola della Natura, preferiva la compagnia di animali e uccelli e venerava Diana.
Questa donna ribelle può essere considerata un altro volto di Aradia, vera protagonista del I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane di Leland.
I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane è un libro scritto nel 1899 da Charles Godfrey Leland. Il libro è un tentativo di descrivere le credenze e i rituali di una oscura tradizione religiosa stregonesca toscana che, afferma Leland, era sopravvissuta per secoli fino alla scoperta della sua esistenza nel decennio del 1890.
Il testo ha una struttura mista. Parte di esso si propone come la traduzione inglese, per mano dell'autore, di un manoscritto originale italiano, il cosiddetto Vangelo. Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informazioni sulle tradizioni della stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni fornite da Maddalena.
Non si conoscono testi che contengano il nome Aradia in riferimento a Diana, ma era noto come nome latino. (In Italia esiste poi una Cà L'Aradia, nei dintorni di Urbino). Secondo alcuni, tra cui Raven Grimassi, che si avvale del privilegio di una tradizione orale della propria famiglia e stando alla testimonianza dei suoi avi materni, Aradia era una persona reale del quattordicesimo secolo provvista di una rara e affascinante eredità di stregoneria italiana, che poi ha tramandato ad altri.
Questa Aradia medievale coinciderebbe quindi con il personaggio della storia della Casa del Vento di Volterra.
La storia seguente potete trovarla all'interno di alcune edizioni de I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane. Il titolo esatto del manoscritto originale trascritto da Maddalena che l'aveva ascoltato da un volterrano, è La pellegrina della Casa del Vento.
Il racconto ricorda quello della coppia di innamorati di The Eve of St Agnes di Keats. Anche qui i due personaggi fuggono dal veto imposto dalla famiglia al loro amore con il favore di una notte tempestosa e corrono verso un destino sconosciuto, proprio come la “bella pellegrina” dei Canti di Aradia. Leland cita molti versi della poesia di Keats.
"C'è una casa contadina all'inizio della collina che in salita porta a Volterra ed è chiamata la "Casa del Vento". Vicino ad essa c'era un piccolo palazzo in cui vivevano una coppia di sposi che avevano un'unica figlia che adoravano. Se la bambina aveva anche solo un piccolo mal di testa, cadevano addirittura in preda al panico. A poco a poco la bambina crebbe ed il solo pensiero della madre era che diventasse suora. Ma alla ragazza non piaceva l'idea e sperava di sposarsi come tutte le altre ragazze. Un giorno, guardando dalla finestra, sentì cantare gli usignoli sulla vite e sugli alberi tanto allegramente.
Disse alla madre che sperava di avere una famiglia di uccellini che le cantavano attorno in un allegro nido. A sentire ciò, la madre si arrabbiò talmente che le diede uno schiaffo. La ragazza pianse, ma replicò con coraggio che, sebbene venisse trattata in tale maniera o picchiata, avrebbe presto trovato il modo di fuggire perché non voleva assolutamente diventare suora. A queste parole la madre si spaventò, perché conosceva lo spirito indomito della ragazza e temette che avesse già un innamorato e che avrebbe fatto uno scandalo su questa disgrazia. Pensando e ripensando, si ricordò di una vecchia signora di buona famiglia, ma ormai decaduta, nota per la sua intelligenza, la conoscenza e il potere di persuasione. Pensò quindi: "Questa è proprio la persona che può indurre mia figlia a diventare pia e ispirarle sentimenti di devozione, cosicché si faccia suora". Chiamò allora questa persona che una volta era governante e fedele servitrice della ragazza, la quale invece di litigare con la sua guardiana, le si era molto affezionata. Tuttavia nel mondo niente va esattamente come ci si aspetta, e nessuno sa se un pesce o un granchio si nasconde sotto la pietra del fiume.
Così accadde che la governante, non essendo affatto cattolica come sembrava, non vessò la sua pupilla con paure o con la esaltazione della vita monastica. Alla ragazza, che era solita restare sveglia nelle notti di luna a sentire cantare gli usignoli, pareva sentire la governante dalla stanza attigua, che aveva la porta aperta, alzarsi e andare sul balcone. La notte successiva accadde la stessa cosa. La ragazza si alzò molto silenziosamente e, non vista, scorse la donna che pregava, o quantomeno era inginocchiata al chiaro di luna.
La cosa le sembrò molto strana, anche perche pronunciava parole che la giovane non capiva e che senz'altro non avevano alcun carattere religioso. Essendo infine molto preoccupata per lo strano fatto, con timide scuse, disse alla governante ciò che aveva visto. Allora quest'ultima, dopo breve riflessione, chiedendole di mantenere il segreto dato che era una cosa di grande pericolo, le disse: "Da giovane i preti mi istruirono, come è successo a te, ad adorare un dio invisibile. Ma una vecchia in cui riponevo molta confidenza, mi disse: Perché adorare una deità che non posso vedere, quando c'èla Luna visibile in tutto il suo splendore? Adorala! Invoca Diana, la dea della Luna, e lei esaudirà le tue preghiere. Allora questo è quello che anche tu devi fare: obbedire al Vangelo di Diana, che è la regina delle fate e della Luna".
Persuasa, la ragazza si convertì all'adorazione di Diana e della Luna e, avendo pregato con tutto il suo cuore per avere un innamorato fu presto ricompensata dall'attenzione e dalla devozione di un coraggioso e ricco cavaliere, che era un corteggiatore così ammirevole come non si potrebbe desiderare di più. Ma la madre che era più predisposta ad una vendetta gratificante e ad una crudele vanità, piuttosto che alla felicità di sua figlia, si infuriò e quando il gentiluomo andò da lei, gli ordinò di andarsene poiché sua figlia era destinata a diventare suora e lo sarebbe stata, viva o morta. La ragazza fu rinchiusa nella cella di una torre senza neppure la compagnia della governante e sottoposta a dure e gravi pene, perché doveva dormire sul nudo pavimento. Sarebbe morta di fame se non avesse acconsentito all'idea della madre.
In questa situazione disastrosa pregò Diana di liberarla: subito trovò la porta della prigione aperta e scappò. Avendo avuto un abito da pellegrina, viaggiò in lungo e in largo, pregando ed insegnando la religione dei tempi antichi, la religione di Diana, regina delle fate e della Luna, la dea dei poveri e degli oppressi. La fama della sua saggezza e della sua bellezza si sparse per tutta la regione. La gente l'adorava chiamandolala Bella Pellegrina. Alla fine sua madre, saputolo, di venne furiosa più che mai e dopo molta fatica riuscì nuovamente a farla arrestare e chiudere in prigione. Quindi, arrabbiatissima, le chiese di nuovo se voleva diventare suora; al che rispose che non era possibile, dato che aveva abbandonato la Chiesa Cattolica ed era diventata una seguace di Diana e della Luna. La madre, considerandola ormai perduta, la consegnò ai preti perché la mettessero alla tortura e poi a morte, come facevano a tutti coloro che non erano d'accordo con loro o che avevano abbandonato la loro religione. Ma la gente non era d'accordo, perché tutti adoravano la sua bellezza e la sua bontà e c'erano poche persone che non avevano goduto della sua carità. Con l'aiuto del suo innamorato ottenne, come ultimo desiderio, che la notte prima di essere torturata e uccisa potesse andare a pregare, scortata da una guardia, nel giardino del palazzo.
Le fu concesso, e sulla soglia della casa - che esiste ancora - pregò Diana alla luce della luna piena, di essere risparmiata dall'orrenda persecuzione a cui era stata soggetta da quando i genitori l'avevano volontariamente destinata a quell'orribile morte. I genitori, i preti e tutti coloro che volevano la sua morte erano nel palazzo per controllare che non scappasse. Quando, in risposta alla sua preghiera, scoppiò una terribile tempesta e un vento opprimente, che si trasformò in un uragano quale nessuno aveva mai visto prima, che infine demolì e spazzò via l'intero palazzo con tutti coloro che vi erano dentro. Non rimase nemmeno una pietra sopra l'altra, né un'anima vivente tra i presenti. Gli Dei avevano risposto alla preghiera. La ragazza fuggì felicemente con il suo innamorato, si sposò e la casa contadina dove si rifugiò è tuttora chiamatala Casa del Vento".
Da: Il giardino delle erbe proibite di Titania Hardie
http://www.cortescontenti.it/cultivolterra.htm
Canto di Aradia di G.G. Leland
Una leggenda colloca infatti la nascita della città in un passato molto remoto affermando che fosse sorta per opera di Giano parente di Noè, ma senza scordare che Giano è stato un personaggio molto familiare della cultura etrusca, in specie volterrana, tanto che con la sua effige furono coniate le più antiche monete della città. Giano il Dio Bifronte, ma anche come Diano (Giano-Jano) consorte di Diana (Giana). Le coppie divine, Giove e Giunone da una parte, Diano e Diana, o Giano e Giana, dall'altra, non sono che reciproci duplicati, con nomi e funzioni originariamente identici. In quanto ai nomi tutti e quattro hanno la stessa origine ariana "di", che significa "splendente".
Chi ha un animo romantico o ama gli enigmi dovrebbe forse recarsi in un luogo indistinto a un paio di chilometri lungo la strada, in qualche punto tra la villa moderna con cani che abbaiano e il vecchio podere con filari di viti e girasoli. Non ci sono cartelli, per cui il viaggiatore non informato potrebbe passarci davanti inconsapevole del mistero.
Qui, cercando bene, c’è sul crinale il rudere di una casa, che da una posizione perfetta volge lo sguardo verso l’imponente città etrusca. Prima di diventare un cumulo di rovine, questa dimora custodiva segreti.
La leggenda dice che è tutto quel che rimane di una piccola tenuta della fine del tredicesimo o dell’inizio del quattordicesimo secolo, che un tempo fu la dimora di una famiglia benestante e signorile e della loro incantevole figlia. Del nome della fanciulla dobbiamo fare a meno, perché su di lei è fiorita una messe di leggende e la verità del suo nome fa parte dell’arcano. Basti dire che, in epoca cristiana, era una discepola della Natura, preferiva la compagnia di animali e uccelli e venerava Diana.
Questa donna ribelle può essere considerata un altro volto di Aradia, vera protagonista del I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane di Leland.
I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane è un libro scritto nel 1899 da Charles Godfrey Leland. Il libro è un tentativo di descrivere le credenze e i rituali di una oscura tradizione religiosa stregonesca toscana che, afferma Leland, era sopravvissuta per secoli fino alla scoperta della sua esistenza nel decennio del 1890.
Il testo ha una struttura mista. Parte di esso si propone come la traduzione inglese, per mano dell'autore, di un manoscritto originale italiano, il cosiddetto Vangelo. Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informazioni sulle tradizioni della stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni fornite da Maddalena.
Non si conoscono testi che contengano il nome Aradia in riferimento a Diana, ma era noto come nome latino. (In Italia esiste poi una Cà L'Aradia, nei dintorni di Urbino). Secondo alcuni, tra cui Raven Grimassi, che si avvale del privilegio di una tradizione orale della propria famiglia e stando alla testimonianza dei suoi avi materni, Aradia era una persona reale del quattordicesimo secolo provvista di una rara e affascinante eredità di stregoneria italiana, che poi ha tramandato ad altri.
Questa Aradia medievale coinciderebbe quindi con il personaggio della storia della Casa del Vento di Volterra.
La storia seguente potete trovarla all'interno di alcune edizioni de I Canti di Aradia. Il Vangelo delle Streghe Italiane. Il titolo esatto del manoscritto originale trascritto da Maddalena che l'aveva ascoltato da un volterrano, è La pellegrina della Casa del Vento.
Il racconto ricorda quello della coppia di innamorati di The Eve of St Agnes di Keats. Anche qui i due personaggi fuggono dal veto imposto dalla famiglia al loro amore con il favore di una notte tempestosa e corrono verso un destino sconosciuto, proprio come la “bella pellegrina” dei Canti di Aradia. Leland cita molti versi della poesia di Keats.
"C'è una casa contadina all'inizio della collina che in salita porta a Volterra ed è chiamata la "Casa del Vento". Vicino ad essa c'era un piccolo palazzo in cui vivevano una coppia di sposi che avevano un'unica figlia che adoravano. Se la bambina aveva anche solo un piccolo mal di testa, cadevano addirittura in preda al panico. A poco a poco la bambina crebbe ed il solo pensiero della madre era che diventasse suora. Ma alla ragazza non piaceva l'idea e sperava di sposarsi come tutte le altre ragazze. Un giorno, guardando dalla finestra, sentì cantare gli usignoli sulla vite e sugli alberi tanto allegramente.
Disse alla madre che sperava di avere una famiglia di uccellini che le cantavano attorno in un allegro nido. A sentire ciò, la madre si arrabbiò talmente che le diede uno schiaffo. La ragazza pianse, ma replicò con coraggio che, sebbene venisse trattata in tale maniera o picchiata, avrebbe presto trovato il modo di fuggire perché non voleva assolutamente diventare suora. A queste parole la madre si spaventò, perché conosceva lo spirito indomito della ragazza e temette che avesse già un innamorato e che avrebbe fatto uno scandalo su questa disgrazia. Pensando e ripensando, si ricordò di una vecchia signora di buona famiglia, ma ormai decaduta, nota per la sua intelligenza, la conoscenza e il potere di persuasione. Pensò quindi: "Questa è proprio la persona che può indurre mia figlia a diventare pia e ispirarle sentimenti di devozione, cosicché si faccia suora". Chiamò allora questa persona che una volta era governante e fedele servitrice della ragazza, la quale invece di litigare con la sua guardiana, le si era molto affezionata. Tuttavia nel mondo niente va esattamente come ci si aspetta, e nessuno sa se un pesce o un granchio si nasconde sotto la pietra del fiume.
Così accadde che la governante, non essendo affatto cattolica come sembrava, non vessò la sua pupilla con paure o con la esaltazione della vita monastica. Alla ragazza, che era solita restare sveglia nelle notti di luna a sentire cantare gli usignoli, pareva sentire la governante dalla stanza attigua, che aveva la porta aperta, alzarsi e andare sul balcone. La notte successiva accadde la stessa cosa. La ragazza si alzò molto silenziosamente e, non vista, scorse la donna che pregava, o quantomeno era inginocchiata al chiaro di luna.
La cosa le sembrò molto strana, anche perche pronunciava parole che la giovane non capiva e che senz'altro non avevano alcun carattere religioso. Essendo infine molto preoccupata per lo strano fatto, con timide scuse, disse alla governante ciò che aveva visto. Allora quest'ultima, dopo breve riflessione, chiedendole di mantenere il segreto dato che era una cosa di grande pericolo, le disse: "Da giovane i preti mi istruirono, come è successo a te, ad adorare un dio invisibile. Ma una vecchia in cui riponevo molta confidenza, mi disse: Perché adorare una deità che non posso vedere, quando c'è
Persuasa, la ragazza si convertì all'adorazione di Diana e della Luna e, avendo pregato con tutto il suo cuore per avere un innamorato fu presto ricompensata dall'attenzione e dalla devozione di un coraggioso e ricco cavaliere, che era un corteggiatore così ammirevole come non si potrebbe desiderare di più. Ma la madre che era più predisposta ad una vendetta gratificante e ad una crudele vanità, piuttosto che alla felicità di sua figlia, si infuriò e quando il gentiluomo andò da lei, gli ordinò di andarsene poiché sua figlia era destinata a diventare suora e lo sarebbe stata, viva o morta. La ragazza fu rinchiusa nella cella di una torre senza neppure la compagnia della governante e sottoposta a dure e gravi pene, perché doveva dormire sul nudo pavimento. Sarebbe morta di fame se non avesse acconsentito all'idea della madre.
In questa situazione disastrosa pregò Diana di liberarla: subito trovò la porta della prigione aperta e scappò. Avendo avuto un abito da pellegrina, viaggiò in lungo e in largo, pregando ed insegnando la religione dei tempi antichi, la religione di Diana, regina delle fate e della Luna, la dea dei poveri e degli oppressi. La fama della sua saggezza e della sua bellezza si sparse per tutta la regione. La gente l'adorava chiamandola
Le fu concesso, e sulla soglia della casa - che esiste ancora - pregò Diana alla luce della luna piena, di essere risparmiata dall'orrenda persecuzione a cui era stata soggetta da quando i genitori l'avevano volontariamente destinata a quell'orribile morte. I genitori, i preti e tutti coloro che volevano la sua morte erano nel palazzo per controllare che non scappasse. Quando, in risposta alla sua preghiera, scoppiò una terribile tempesta e un vento opprimente, che si trasformò in un uragano quale nessuno aveva mai visto prima, che infine demolì e spazzò via l'intero palazzo con tutti coloro che vi erano dentro. Non rimase nemmeno una pietra sopra l'altra, né un'anima vivente tra i presenti. Gli Dei avevano risposto alla preghiera. La ragazza fuggì felicemente con il suo innamorato, si sposò e la casa contadina dove si rifugiò è tuttora chiamata
Da: Il giardino delle erbe proibite di Titania Hardie
http://www.cortescontenti.it/cultivolterra.htm
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