Sin dal Neolitico vi era un culto legato a una divinità che incarnava lo spirito degli antenati. Questa, in inverno, si materializzava alle famiglie riunite intorno al fuoco con sembianze femminili. Tale donnina con naso adunco era benaugurante per il raccolto dell’anno seguente.
San Epifanio di Salamina (315 circa - 403), nel Panarion adversus omnes haereses, racconta che già nel IV secolo, ad Alessandria d’Egitto, nella notte del 6 gennaio si celebrava un rituale che comportava la nascita di Aion, divinità legata ai miti della natura e alla fertilità, da una vergine Kore. Il rituale alessandrino, riferisce l’apologeta cristiano, era celebrato anche nelle città arabe di Petra e di Elousa.
Cosma di Gerusalemme conferma tale tradizione e aggiunge che il rituale era preceduto da un’altra cerimonia dedicata alla nascita del sole in coincidenza del periodo solstiziale, il 25 dicembre.
Sempre nell’antichità precristiana, in tutta l’area del Mediterraneo, la notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle tradizioni agrarie pagane si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso il sacrificio di Madre Natura, rappresentata in modo decrepito e senile. Questa raffigurazione sarebbe da mettere in relazione con l’anno trascorso: Madre Natura, stanca per aver elargito tutte le sue energie, perso l’iniziale e giovanile vigore, diventa una vecchia pronta a sacrificarsi per lasciare il posto alla sua giovane e feconda erede, dispensatrice di buoni raccolti. Per questo in molti Paesi dell’Europa era diffusa l’usanza di bruciare all’inizio dell’anno fantocci di cartapesta o di paglia, ricoperti da vestiti cenciosi e logori.
Nell’antico Lazio questa grande Dea Madre era chiamata Bubona, termine legato ai bovini. In latino il bovino è bubúlinus, il bufalo è bubalus, bifolco si dice bufúlcum (corrispondente al latino classico bubúlcum, “guardiano di buoi”). Questi ultimi due termini dimostrano come la “b” intermedia sia soggetta a trasformarsi con l’evoluzione in “f” (bubalus – bufalo), mentre l’evoluzione di bubúlcus-bufúlcum dimostra come la “u” si trasformi nel tempo in “i”. Applicando le stesse variazioni a Bubona si ottiene Bifona, termine probabilmente trasformato poi in Befana, passando da Bifana. Allora, se questa peripezia linguistica fosse corretta, l’antica divinità vivrebbe ancora nella figura della “nuova” Befana.
Potrebbe non essere una coincidenza se in Basilicata la Befana è chiamata in dialetto Bufania, in Calabria Bifania, in Campania Bofania, in Abruzzo Bbufanije.
Se nelle tradizioni precristiane il “giorno della Befana” rappresentava l’interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale) e l’inizio dell’anno lunare, oggi rappresenta la conclusione delle festività natalizie, combaciando con l’Epifania cristiana.
Infatti, il cristianesimo, non potendo accettare una festività di origine pagana, e non potendo fare nulla per evitare che la tradizione popolare ne mantenesse viva l’usanza, ne alterò completamente la storia collegando la Befana all’Epifania dei Re Magi, rendendola così “tollerabile” per il proprio credo.
Un’altra origine etimologica del nome Befana è strettamente legata al nome della festa cristiana. Nel dizionario etimologico Avviamento all’etimologia italiana, Giacomo Devoto spiega che il nome di Befana è un calco di Epifania “con lenizione settentrionale di p- in b-, ma alla cui invenzione non sarebbe estraneo l’aggettivo “benefico” col quale questo personaggio ha delle assonanze di significato oltre che fonologiche”.
Epifania, dal greco epiphàneia, che vuol dire “apparizione”, e quindi con il significato di “manifestazione della divinità”, fu cambiato dalla Chiesa cristiana d’Oriente in tà Epiphània ierà, cioè “feste della manifestazione” poiché Gesù aveva manifestato il 6 gennaio la sua natura divina oltre che umana in quattro tappe: nascita, adorazione dei Magi, battesimo e miracolo di Cana (in cui il Cristo compie il suo primo miracolo tramutando l’acqua in vino).
La festa dell’Epifania, dunque, ebbe origine nella Chiesa orientale. Le prime notizie storiche su questa celebrazione ci sono state tramandate da san Clemente d’Alessandria, vissuto fra il I e il II secolo, il quale riferisce che la setta gnostica dei Basilidiani celebrava contemporaneamente la nascita e il battesimo di Gesù proprio il 6 gennaio. In questa data, fino a quasi tutto il IV secolo, sia in Oriente sia in Occidente, si celebrava la nascita di Gesù.
Nelle tradizioni popolari italiane la Befana è ora assimilata al sacrificio della dea Madre Natura, ora alla vecchina dei Re Magi. Così, trasformando l’origine sacra della ricorrenza in fenomeno di costume, si dà vita a diverse usanze, in primis il tradizionale dono della “Calza della Befana”.
In molte regioni italiane esiste ancora oggi accendere falò la notte dell’Epifania, per scacciare il male e propiziare la fecondità della terra e degli animali.
Il fuoco e il rumore oltre a scacciare le presenze maligne, al tempo stesso, evocano la luce solare di cui si inizia a percepire il ritorno dopo il solstizio d’inverno.
In Veneto è ancora viva l’usanza di bruciare la vecia (la vecchia) su roghi improvvisati un po’ ovunque. L’uso di accendere fuochi in questa notte, retaggio di antichi riti celtici, è comune anche ad altre regioni della Francia e della Gran Bretagna.
In Friuli dischi infuocati benauguranti e propiziatori si fanno ruzzolare sui fianchi delle colline e delle montagne (famoso è il “Lancio das Cidulas” che si svolge nella notte tra il 5 e il 6 gennaio a Comeglians, sulle montagne della Carnia), oppure si accendono covoni di rovi, chiamati pignarûl, con in cima un pupazzo che rappresenta la Befana (famoso è “Pignarûl Grant” della città di Tarcento).
In molti paesi del Veneto questi falò li chiamano panevin, e si crede che se le fiamme sono alte e vivaci, l’annata sarà buona e ci sarà “pane e vino” per tutti, se invece la legna stenta a bruciare e le fiamme sono deboli non rimane che sperare nell’infinita misericordi divina.
In alcune zone della Toscana e dell’Emilia Romagna, la Befana è ancora portata in giro per le vie del centro a bordo di un carro prima di essere bruciata nella piazza principale.
A Gradoli, in provincia di Viterbo, nelle notti del 3, 4 e 5 gennaio, gruppi di bambini, ma anche grandi, sfilano per le vie del paese, facendo un fracasso assordante: sono le “Tentavecchie” che, secondo una diffusa usanza popolare, cercano di svegliare la vecchia Befana e ricordarle di portare i doni ai bambini.
Nelle Marche, a Urbania, l’antica Casteldurante, da moltissimi anni si festeggia la “Festa Nazionale della Befana”. Ogni anno il Sindaco della città accoglie la Befana consegnandole le chiavi della città in nome degli abitanti dell’antica Casteldurante. La Befana arriva in cordata calandosi sulla città per poi entrare nella sua casa.
Una festa tradizionale molto popolare in Piemonte e in Lombardia, è la Giubiana o Festa della Giobia, specialmente in Brianza, nell'Altomilanese, nel varesotto e nel comasco.
L'ultimo giovedì del mese di gennaio vengono accesi dei grandi falò (o roghi) nelle piazze e bruciata la Giubiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci. Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova, mantenendo sempre uno stretto legame con le tradizioni popolari del luogo. L'ultimo giovedì di gennaio è il giorno, anzi la notte della Giubiana. Incerta è l'origine del nome per la mancanza di fonti scritte. Alcuni sostengono che esso derivi dal culto alla divinità di Giunone (da qui il nome Joviana). Altri ancora lo ricollegano a Giove, giovedì: il nome deriverebbe dal dio latino "Jupiter-Jovis", da cui l'aggettivo Giovia e quindi Giobia per indicare le feste contadine di inizio anno per propiziare le forze della natura che, secondo la credenza popolare, condizionano l'andamento dei raccolti. Il periodo della festa coincide con le Ferie Sementive o Sementine.
La storia di questo personaggio ha diverse varianti, a seconda dell'area geografica.
La Giubiana è una strega, spesso magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse. Vive nei boschi e grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. E l'ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare.
Le calze rosse, potrebbero metterla in relazione con le forze del fuoco e della luce solare, ma le calze rosse e le gambe lunghe ricordano anche le zampe della cicogna e la Holda era spesso identificata proprio con la cicogna. Inoltre anche la Giubiana vola, dato che non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero.
In Sicilia era nota una figura simile alla Befana che compariva nelle notti del 24, 31 dicembre e 6 gennaio e nel periodo di Carnevale-Quaresima, chiamata la Vecchia di Natali, che spesso si trasformava in uccello o in altri animali per lasciare regali ai bambini; molte figure simili alla Befana si collegano a divinità zoomorfe, e quindi si rifanno alla Signora degli Animali e ad un'arcaica Dea della Foresta.
L'arrivo della Vecchia di Natali è anche caratterizzato da frastuoni assordanti realizzati con gli strumenti più vari (corni di bue, cerbottane e buccìni di mare, campanacci, padelle, pentole e casseruole), da grida acute e da fischi da abisso infernale, una reminiscenza della Caccia Selvaggia.
Il fuoco usato per bruciare il fantoccio della Vecchia, è in realtà un fuoco di trasformazione della Vecchia in Fanciulla, essendo la Festa della Giubiana più vicino a febbraio e alla festa di Imbolc/Candelora che a gennaio (nelle leggende celtiche, come vedremo più avanti, la Vecchia diventa giovane bevendo l'acqua al Pozzo della Giovinezza e quindi viene anche lì sottolineata la fine dell'Inverno come una fase di rinnovamento).
La Befana non ha solo la “funzione” propiziatoria legata alla campagna e agli animali, ma nelle tradizioni popolari il giorno dell’Epifania porterebbe fortuna anche nel campo amoroso.
In alcuni paesi toscani la dodicesima notte dopo Natale è anche quella dei “Befani”. In Toscana, questi sarebbero dei fidanzati in prova scelti a sorte la sera del 6 gennaio: la coppia vive un “fidanzamento in prova” e se i due ragazzi s’intendono, si procede alla richiesta ufficiale con la partecipazione dei rispettivi genitori, ovviamente la prova non nuoce affatto alla reputazione della ragazza.
Nel Molise, invece, è usanza credere che le ragazze nubili, la notte dell’Epifania, se sognano un ragazzo quello potrebbe divenire il loro fidanzato. Per questo, prima di andare a dormire, le nubili fanno una preghiera di buon auspicio: “Pasqua Bbefania, Pasqua buffate, manneme ‘nzine [in sogno] quille ca Die m’è destinate”.
La funzione più famosa della Befana, resta quella di portare leccornie ai bambini e agli innamorati. Oltre alla tradizionale “Calza della Befana”, è usanza in molte regioni italiane, specialmente in Toscana, Sardegna, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, fare le “befanate”, ossia una processione con canti che gruppi di giovani intonano davanti le case per ricevere doni.
Sempre legata alla funzione di “portatrice di doni”, in Sicilia famose sono la Vecchia di Alimena, la Vecchia Strina di Cefalù, di Vicari, di Rocca Palumba, la Vecchia di Natale, già menzionata, di Ciminna, la Vecchia di Capodanno di Resuttano, la Carcavecchia di Corleone, tutte benefiche e mitiche befane che portano leccornie e giocattoli ai bambini.
Anche se sono entrambi portatori di doni del periodo natalizio, profonde differenze separano Babbo Natale dalla Befana.
Prima di tutto l’origine. Mentre Santa Klaus ha una matrice cristiana nel ricordo di San Nicola, fuso con elementi silvani della mitologia nordica, la Befana affonda le sue radici nella tradizione pagana del mondo greco-romano.
La vera antenata della Befana non è tanto la dea Strenia, che pur nell’antica Roma presiedeva lo scambio dei regali di Capodanno, quanto la dea Diana e il culto della fertilità, allorché si riteneva che nelle dodici magiche notti tra il 25 dicembre e il 6 gennaio, fantastici voli notturni di misteriose figure femminili, sopra i campi seminati, avessero una funzione propiziatoria per il futuro raccolto.
Questa credenza sopravvisse come tradizione delle popolazioni contadine europee anche dopo la cristianizzazione. Fu probabilmente in seguito alla condanna della Chiesa, che cercava di cancellare il retaggio pagano, che queste figure adepte di Diana furono bollate come entità maligne: nacque così la prima idea delle streghe, che cavalcano scope volanti per seguire il demonio e prendere parte ai “sabba” infernali.
L’immaginario medioevale diede corpo a diverse figure fantastiche di streghe che, si riteneva, affollassero quelle notte particolarmente propizie ai congressi satanici. Furono descritti vari personaggi: Satia, Abundia, Erodiade, Salomè. I sapienti di allora discutevano sulla loro natura, giudicandole prevalentemente di carattere maligno.
Fate, streghe e “vecchie” popolano anche ai giorni nostri la notte tra il 5 e il 6 gennaio: in Svizzera troviamo la strega “Posterli” e in Tirolo la strega “Zuscheweil”.
“La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte…”.
Recita così una antica filastrocca italiana, sottolineando l’aspetto cencioso e quasi ripugnante che la magica vecchina sovente presenta. A differenza di Babbo Natale che, pur nella sua età avanzata, gode di un’immagine impeccabile e innegabilmente gradevole, la Befana non fa mistero della sua apparenza decrepita che incute timore e ribrezzo, soprattutto a i più piccoli. Secondo alcuni, la Befana viene rappresentata in questo modo perché incarna l’immagine dell’anno vecchio, del quale si ricordano i momenti peggiori. La sua “bruttezza” avrebbe una funziona apotropaica: racchiuso nella forma di una vecchia lurida, tutto il negativo dell’anno appena trascorso verrebbe incapsulato in una figura sacrificale (la “vecia” che viene bruciata), che tuttavia si riscatta portando doni ai bambini buoni, in una sorta di singolare equilibrio fra il bene e il male. Fatte salve tuttavia alcune rappresentazioni più benevole di questo personaggio, dove la figura non assume caratteristiche terrifiche, ma solo i tratti marcati dal tempo di una tranquilla vecchietta, la Befana deve il suo aspetto, più spesso ributtante, alla matrice maligna della sua origine.
Anche se buona, la Befana è pur sempre una strega e nell’immaginario formatosi dal Medio Evo la stregoneria è sempre stata associata all’idea della magia nera. Può sembrare un paradosso o una contraddizione, ma in questo personaggio convivono elementi positivi e negativi al tempo stesso, anche se, nel risultato finale, prevale l’azione generosa e benevola della consegna dei doni. Nell’antichità la magia benefica era permessa; quella malefica punita con la morte (Decreto di Costanzo del 321 d.C.). La Chiesa primitiva condannò la stregoneria e identificò le forze spirituali che gli stregoni invocano con le divinità del mondo pagano. Diversi Concili stabilirono pene spirituali per chi ricorresse a queste pratiche. Successivamente si fece strada l’idea che i sortilegi fossero dovuti alla mano del diavolo. Tutte quelle figure fantastiche femminili, antenate della Befana, non potevano sfuggire dall’essere classificate come demoniache da questa corrente di pensiero, che fece tendenza e sfociò negli eccessi dell’Inquisizione. La Befana, per quanto amata dalla tradizione italiana, non è mai riuscita a scrollarsi di dosso questa immagine vagamente maligna, intrinseca nelle proprie radici. In alcune zone del Veneto, e in particolare nella provincia di Belluno, prevale la componente malefica del personaggio e viene cancellato completamente il ruolo di dispensatrice di regali.
La Befana, al contrario di Babbo Natale che è scapolo, ha diversi mariti, che la tradizione popolare delle varie regioni le ha di volta in volta affibbiato. Nel basso Veneto, dove la Befana viene chiamata semplicemente “Vecia”, si dice che suo marito sia il “Barabau” o il “Vecion”: una sorta di spauracchio per i bambini disubbidienti. Nel Ferrarese, si diceva che il consorte della Befana fosse nientemeno che Sant’Antonio Abate, protettore degli animali festeggiato il 17 gennaio: esattamente 10 giorni dopo l’Epifania. Ma perché proprio Sant’Antonio Abate? È stato riconosciuto da molti che Sant'Antonio Abate sia in realtà la versione cristiana del Dio Lugh, innanzitutto viene sempre rappresentato con accanto un maialino e secondo gli studiosi, all'inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lugh, venerato in Gallia ma che compare anche nelle saghe irlandesi, ritratto come un giovane che tiene tra le braccia questo animale.
Poiché le reliquie del santo erano giunte in Francia, i primi cristiani celti trasferirono nel santo gli attributi del dio pagano e nelle leggende di Sant'Antonio Abate ecco che s'inserisce il cinghiale, diventato poi maiale per estirpare il ricordo precristiano, e nascono due leggende per cristianizzare gli emblemi, la prima racconta che il cinghiale-maiale fosse il diavolo sconfitto da Antonio resistendo alle tentazioni, la seconda dice che un giorno il Santo guarì un maialino e da quel momento questi lo seguì fedele come un cane.
In onore di Sant'Antonio Abate (che si invoca per guarire il famoso fuoco di Sant'Antonio) si accendono dei falò e anche Lugh era un dio solare ed era dispensatore di fuoco agli uomini.
Si dice che anche il campanellino di cui era ornato il maialino nell'iconografia cristiana fosse in realtà un simbolo di vita e morte, e la campana rappresenterebbe l'utero della Dea Madre, di cui Lugh era figlio.
Qualche giorno prima del dì della festa di Sant'Antonio, in molte località italiane, gruppi di uomini del paese andavano in giro di porta in porta a fare la questua, cioè a chieder cibarie che poi sarebbero servite ad allestire il banchetto in onore del Santo, cantando e suonando, in alcuni casi anche mettendo in opera una pantomima teatrale. Quindi si tenevano abbondanti banchetti dove la carne di maiale la faceva da padrona e si diceva che il cibo di questi banchetti allontanasse i mali, avesse poteri di protezione e alleviasse il peso della gestazione alle donne partorienti.
Anche in alcune leggende celtiche una personificazione della nostra Befana che era la Cailleach Bui è conosciuta come la moglie (una delle mogli) di Lugh.
La Cailleach Bui, chiamata anche Cailleach Bheur o Cailleach Beira è la personificazione dell'inverno e la madre di tutti gli dei e le dee della mitologia scozzese e irlandese. È associata ad uno dei miti della creazione dei Celti, si dice che numerose montagne e colline di grandi dimensioni si siano formate quando camminava attraverso la terra e alcune rocce caddero accidentalmente dal suo grembiule oppure che li abbia costruiti intenzionalmente per usarli come trampolini di lancio, e che usa un martello per plasmare colline e valli.
Detiene un ruolo simile a Gea nella mitologia greca e a Jord nella mitologia norrena.
Secondo lo studioso di folklore Mackenzie, era una gigantessa con un occhio solo e i capelli bianchi, la pelle blu scuro e i denti color ruggine. La notte più lunga dell'anno segna la fine del suo regno come Regina dell'Inverno ed è il momento in cui visita il Pozzo della Giovinezza e, dopo aver bevuto la sua acqua magica, diventa più giovane di giorno in giorno.
Tornando alla Befana, in Toscana, invece, la vecchietta fa coppia fissa con il Carnevale, considerato suo legittimo sposo:
“La Befana s’è risolta
di voler pigliare marito.
Carnevale è lì ammanito
che la vuole viva o morta…
Questa poesiola popolare toscana conferma la natura completamente profana della Befana: essendo figlia delle streghe, non può non essere moglie che del Carnevale, re di vizi e follie
Da: La storia di Babbo Natale di Carlo Sacchettoni
http://www.storiain.net/artic/artic1.asp