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mercoledì 14 novembre 2012

La sorgente miracolosa del Santuario di San Patrizio di Colzate


Nell’ambito delle numerose sorgenti miracolose cristianizzate della Lombardia, alcune, per i tratti rituali ancora praticati, paiono meglio definire un richiamo a credenze di origine folclorica.
Nella chiesetta di San Patrizio di Colzate, sopra Vertova in Val Seriana, ai piedi di una statuetta raffigurante il santo tutelare, sgorga una fonte: bagnandosi gli occhi dopo aver asperso d’acqua quelli della statua, sembra che si possa risolvere qualsiasi problema legato alla vista.
Il rimando cristiano è alla leggenda di san Patrizio che, si narra, fosse guarito miracolosamente dalla cecità quando era bambino. L’usanza di bagnare anche gli occhi della statua, invece, proverrebbe dall’intendimento di assicurarsi, tramite una pratica propria della “magia contagiosa” la stessa sorte benevola e miracolosa toccata al santo.
La processione del Venerdì Santo, con vere e proprie scorte armate con fantasiose divise, accompagnava un tempo la processione al santuario.
Aggrappato su uno sperone roccioso alle pendici del monte Cavlera, immerso nel silenzio di prati e boschi, il Santuario di San Patrizio sembra essere stato modellato dalla natura stessa, tanto appare stretto il suo rapporto con l’ambiente circostante. Le sue mura si fondono con la roccia: quasi una fortezza a picco sul fiume, la cui asprezza è tuttavia ingentilita da una serie di archi che invogliano a salire fin lassù per ammirare le vedute dalla balconata panoramica.
Restaurato negli anni ’80, il Santuario presenta all’ingresso un vasto sagrato su cui prospetta la grandiosa mole della facciata nord, con i tre archi asimmetrici in pietra viva del pianoterra.
Secondo la tradizione il Santuario fu edificato nel 1166 per ex-voto su una tribulina preesistente da un gruppo di mercanti irlandesi rifugiatisi a Colzate, proprio sulla cima del monte Cavlera, per sfuggire agli imperiali di Barbarossa. Già in epoca medievale i mercanti anglosassoni erano consoni acquistare lana pregiata, coperte e tessuti a Vertova e Gandino, per commerciarli successivamente, con ingenti ricavi in Britannia e a volte spacciandola abilmente, vista l’eccellenza della qualità, per lana scozzese.
Legata alla tradizione di San Patrizio vi è anche la celebre leggenda medievale del pozzo:
quando San Patrizio si trovava in Irlanda a predicare, dopo molti digiuni e orazioni, ebbe da Dio il comando di tracciare un cerchio per terra con il suo bastone sull’isola di Lough Derg o Lago Rosso nella Contea di Donegal dove era solito ritirarsi a pregare. Il suolo si aprì e comparve un grandissimo e profondissimo pozzo; poi, per divina rivelazione, San Patrizio seppe che qualunque persona vi fosse entrata e vi fosse stata un dì e una notte, veramente pentita e armata della divina fede, sarebbe stata purgata da tutti i suoi peccati, perché laggiù avrebbe visto i tormenti del Purgatorio a cui i peccatori erano destinati. Il primo a tentare l'impresa sarebbe stato il cavaliere irlandese Owen che si avventurò nella fessura indicata a suo tempo a Patrizio Vescovo. Dall’Irlanda provengono tre delle maggiori e più popolari leggende di visioni: quella di Brandano, quella di Tundalo e quella del Purgatorio di S. Patrizio. La storia del cavaliere irlandese Owen è raccontata da Matteo Paris nella rubrica dell’anno 1153 dei suoi Chronica maiora [Matthaei Parisiensis monachi Sancti Albani chronica maiora, edited by Henry Richards Luard, London, 1874, t. II, pp. 192-203: è qui raccontata molto esplicitamente la discesa agli inferi del cavaliere Owen che Matteo di Parigi chiama Hoenus] e poi nel Tractatus de Purgatorio sancti Patricii [St Patrick's Purgatory, Two versions of Owayne Miles and the Vision of William of Stranton together with the long Text of the Tractatus De Purgatorio Sancti Patricii, edited by Robert Easting, The Early English Text Society, Oxford University Press, 1991, pp. 121-154 (testo) e pp. 236-254 (commento)] di Henricus Saltereiensis scritto tra il 1170 e il 1185. Interessante il recente contributo di Dorothy Ann Bray, Allegory in the Navigatio sancti Brendani, “Viator. Medieval and Renaissance Studies”, 26 (1995), pp. 1-10, nel quale si sottolinea la valenza allegorica di questo genere di racconti in relazione alla vita monastica delle comunità irlandesi dei secc. VIII-IX. Ebbe diverse redazioni in diverse lingue, medio inglese, anglo-normanno, provenzale e antico francese e spagnolo. Tutte raccontano la fondazione del Purgatorio e la visita che in esso fece il cavaliere Owen, come egli entrasse, dopo riti preliminari e penitenze, nella caverna, come fosse stato avvisato da uomini vestiti di bianco circa i tormenti che avrebbe incontrato, quali pene egli avrebbe sofferto prima di giungere al Paradiso terrestre dal quale sarebbe rimasto fuori. Coloro ai quali veniva concesso di entrare nella misteriosa caverna, dovevano riferire esattamente, al loro ritorno, quanto avevano veduto e udito. La narrazione finiva agli atti dell’archivio dell’abbazia [Amaury Duval, Histoire littéraire de la France, T. XIX, p. 800], ma non uno di questi rendiconti è giunto fino a noi.
La cavità divenne successivamente meta di pellegrinaggi sino a quando papa Callisto III diede ordine di chiudere la grotta per evitare idolatrie.
Il pozzo di San Patrizio potrebbe essere un retaggio dei tumuli sacri agli antichi Celti, luoghi di iniziazione nei quali si tenevano solenni cerimonie nei periodi delle feste sacre. È possibile supporre che gli iniziati si sottoponessero ad una sorta di morte rituale ed entrassero nei tumuli che erano considerati l'utero della Madre Terra.

Anche accanto al Santuario di Colzate si apre una specie di pozzo, o meglio una buca “la Tamböra de San Patrésse” che penetra nella cavità del monte Cavlera, verso il basso. Secondo la leggenda la cavità scende in profondità sino a raggiungere il livello del fiume Serio, c’è chi afferma che accostando l'orecchio alla cavità possa udire il rumore lontano del fiume che scorre impetuoso.
Si comproverebbe la presenza, su un percorso ben preciso di quelle valli, di culti e legami con il mondo irlandese, come San Tomè, Santa Brigida, oltre al Santuario di San Patrizio, trovando affinità sul substrato etnoculturale Celtorobico.
Ad es. il Monte Erbia è un antico luogo di culto, nel comune di Casnigo è comparsa per due volte, in epoche diverse, la Madonna. Potrebbe essere un luogo che venne dedicato alla Dea Brighit. La località in esame è denominata Erbia o Monte Erbia e se cerchiamo il significato etimologico del toponimo in ambito gaelico, troviamo, nelle lingue gaeliche irlandesi e gallesi e nel bretone, che l’area semantica si restringe a significati che tradotti nella nostra lingua sono: credere, fare assegnamento, intercedere, raccomandarsi, far ricorso, confidare. Nella lingua bretone i termini: erbed, erbedadur, erbedden, erbeder, erbedet, erbedin significano raccomandazione, intercessione, ricorso; erbeder (ien) è l’intercessore. Nelle altre lingue gaeliche (irlandese, gallese) earb corrisponde al verbo inglese trust, ossia credere, far assegnamento, confidare. In antico irlandese erbaim è confidare. In gallese troviamo erfyn con il significato di pregare, implorare e erfyniad con il significato di preghiera, petizione. L’etimologia del toponimo, dunque, potrebbe indicare un luogo di preghiera, nel quale chiedere l’intercessione del divino; un luogo dove ci si raccomanda, ci si affida, si implora, si prega, si esprimono petizioni. Non è, dunque, un caso che la tradizione popolare abbia collocato qui ben due apparizioni della Madonna cristiana, essendo Erbia, come rivela il significato del toponimo, un luogo da tempo immemorabile sentito come spazio dove si accede al sacro.
Érfa e Erbia hanno la stessa radice e c’è un preciso legame tra la località Erbia di Casnigo e il torrente Érfa, che probabilmente dava il nome all’antica Vertova, che scorre in una valle suggestiva, dove la natura induce al sacro. A Vertova esiste una zona centrale del paese, sotto il promontorio che oggi ospita la chiesa parrocchiale e nei pressi di una fonte perenne, che si chiama Drüda e che ci riporta a una possibile presenza di Druidi (essendo assai improbabile la derivazione da una famiglia romana di Drusi)


Da: Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti ed irrisolti di 
Federico Crimi e Giulio M. Facchetti
http://ftp.casnigo.it/doc/il-paese/storia/casnigo-avamposto-di-Parra.pdf
http://www.terraorobica.net/Articoli/Leggende/San%20Patrizio%20Colzate.htm

mercoledì 25 maggio 2011

San Guénolé


San Guénolé, (in latino Winwallus o Winwaloeus, in cornico Winwaloe che significa “colui che è chiaro, biondo” o “colui che è bello”, inteso come bellezza interiore che risplende, un po’ come il nome del mitico bardo Gwion Bach, Fronte Luminosa), era figlio di Fracan, principe della Dumnonia e di Santa Gwen Teirbron (Bianca dal Triplo Seno, per tale caratteristica patrona  della fertilità femminile, probabilmente una druidessa poi cristianizzata, il cui nome richiama la Triplice Dea e Branwen, la dea gallese dal bianco seno, la cui storia si trova nei Mabinogion ed è menzionata nelle antiche triadi gallesi come “una delle tre grandi matriarche dell’isola di Britannia”).
La famiglia di Guénolé andò a vivere in Bretagna per fuggire dall’invasione dei Sassoni.
Guenolé nacque nel 460, probabilmente a Plouguin, vicino Saint-Pabu e visse a Ploufragan vicino Saint-Brieuc con i suoi fratelli, Wethnoc e Jacut. Più tardi furono raggiunti da una sorella, Santa Creiwre. Venne istruito da San Budoc, sulll’isola Lavret, nell’arcipelago di Bréhat, vicino a Paimpol.
Fu il fondatore e il primo abate dell’Abbazia di Landévennec nel 485, dove si seguivano le regole del monachesimo irlandese.
San Guénolé si stabilì lì assieme a undici compagni e divenne in breve tempo amico del re Gradlon, figlio di Conan Meriadoc, la cui storia è anch'essa narrata nei Mabinogion nel Sogno di Macsen Wledig, dove è scritto che Conan è fratello della leggendaria Santa Elena, sposa dell’imperatore Magno Massimo (Macsen Wledig, appunto, in gallese). Conan Meriadoc fu il primo re della Cornovaglia francese, regione storica della Bretagna, detta anche Cornouaille, in bretone Kernev o Bro Kernev, corrispondente in gran parte al territorio meridionale dell’attuale dipartimento del Finistère, a un tratto del dipartimento delle Côtes-d’Armor e a un tratto del Morbihan settentrionale.
 La vita di san Guénolé ci è trasmessa dall'abate Wrdistan e dal monaco Clemente, fonte di Wrdistan. Morì il 3 marzo del 532.
Pare che San Guénolé abbia acquisito una reputazione priapica, per via di un’assonanza del suo nome con il verbo engendrer, generare, e per questo divenne un patrono della fertilità (come sua madre, Santa Gwen Teirbron) e uno dei santi fallici, un culto che ha origine dalle pietre fecondative (le pietre viste come nudo parto della Madre Terra) e che poi viene trasferito ai santi. Tra gli esempi di culti fallici, nei santuari di Saint Giles in Normandia e di Saint René nell'Anjou (oggi Maine-et-Loire), le donne dovevano coricarsi per l'intera nottata con le immagini itifalliche di questi due santi nella speranza di restare incinte, oppure una sposa brahmana è tenuta, durante la cerimonia, 
con l'idea di assorbire la fermezza della pietra, a camminare con il piede destro mentre le vengono recitate queste parole: “Cammina su questa pietra; come una pietra sii salda”. Tale rito indù recupera notevoli affinità con quelli eseguiti nei pressi di Rennes, in Bretagna, dove la donna cristiana desiderosa di figli saltava sulla cosiddetta Pietra delle Spose o si coricava, a Saint-Renan, per tre notti sopra una grande roccia denominata “la cavalla di pietra”. Santi fallici, patroni della virilità, erano anche Cosma e Damiano, invocati ad Isernia dagli uomini con problemi sessuali.
San Guénolé e il re Gradlon sono legati alla famosa leggenda bretone della città d’Ys:

La leggenda d'Ys
In quei tempi, Gradlon il Grande, re della Cornouaille, nel sud-ovest della Bretagna, fece costruire per sua figlia Dahut la meravigliosa città di Ys. Trovandosi sotto il livello del mare, Ys era protetta da una moltitudine di dighe. Una chiave chiudeva le porte della diga e solo Gradlon avrebbe potuto decidere di aprirle o chiuderle, permettendo agli abitanti di pescare.
La giovane Dahut, molto devota al culto degli antichi déi celti, accusò Correntin, vescovo di Quimper, di aver reso la città triste e noiosa. Lei sognava una città dove regnasse ricchezza, libertà e gioia di vivere.
Così, Dahut donò alla città un dragone che osservava tutte le navi mercantili. In questo modo, Ys divenne la città più ricca e potente di tutte le città brétoni. Dahut vi regnò con assoluta maestria in nome dell'antica religione dei Celti. Ogni sera, ella faceva venire un nuovo amante al palazzo che a sua volta portava una maschera di seta, ma la maschera era incantata e, all'alba, l'amante si trasformava in unghie di ferro. Così Dahut uccideva i suoi amanti, i cui corpi venivano gettati in una scogliera dell'oceano.
Un bel mattino, un principe vestito tutto di rosso arrivò in città. Dahut si innamorò immediatamente dello straniero. Ma era il diavolo che Dio inviò per distruggere la città di pescatori. Per amore di lui, gli donò la chiave che rubò al padre mentre dormiva. Il principe aprì le dighe e l'oceano distrusse con furia la città passando per le strade e soffocando ogni grido di paura degli abitanti.
Solo il re Gradlon riuscì a scappare da quell'inferno grazie all'aiuto di san Guenolé. Sul suo cavallo marino, si mise a cavalcare nel vuoto, con un peso che non era altro che sua figlia. Con il permesso di san Guenolé, abbandonò il corpo di sua figlia e riuscì a raggiungere la riva.
Ancora oggi, quando il mare è calmo, dei pescatori ascoltano le campane che dicono che Ys un giorno tornerà, più bella che mai.

Dahut era indubbiamente una druidessa che aderiva all’antica religione, poi trasformata in strega malvagia dagli scrittori cristiani. In un’altra versione Guénolé la tramuta in sirena mentre ella sta andando a fondo tra le onde, dimostrando così che le sue arti magiche sono efficaci quanto quelle di qualsiasi druido. La trasformazione di Dahut in sirena da parte di un santo ricorda una leggenda gallese in cui San Patrizio trasformò in pesci delle persone che lo deridevano, quando si trovava presso il lago di Crumlyn, vicino al villaggio di Briton Ferry, nel Galles, ma tra loro c’erano anche delle donne che furono invece trasformate in fate o spiriti delle acque, le Gwragedd Annwn. La trasformazione di donne in Gwragged Annwn da parte di San Patrizio si ritrova uguale anche in relazione ad altri laghi, tra i quali Llyn Barfog (Lago di Barfog, chiamato anche Bearded Lake, Lago del Barbuto), vicino ad Aberdovey, sempre nel Galles.
Anche la madre di Dahut, Malgven, era una strega e druidessa che seguiva l’antica religione. Si diceva che appartenesse alla razza fatata e divina dei Tuatha Dé Danann. Altri dicevano che fosse una strega e una regina del nord del popolo dei Pitti, in Scozia.
Era la moglie di un uomo vecchio che, secondo la leggenda, Gradlon uccise, trafiggendolo con la sua spada, poi la sposò e divenne re a sua volta. Lei gli donò Morvac’h, ("cavallo del mare"), il quale poteva galoppare sulla superficie del mare. Si raccontava che fosse nero e che
quando galoppava dalle sue narici uscisse il fuoco. Morvac’h compare anche nella leggenda del re Marc'h di Cornovaglia. 
Questi elementi mi richiamano la dea e fata gallese Rhiannon, promessa a un uomo del suo regno fatato, Gwawl, ma che poi sposa un re mortale, Pwyll; non solo, anch'essa possedeva un cavallo magico e quando rimase vedova, sposò in seconde nozze Manannan ap Llyr dell’isola di Man, versione gallese del dio irlandese Manawyddan, un dio del mare che abitava in un regno sottomarino e che perciò ricorda anch’egli re Gradlon. Il collegamento tra dee che hanno come animale totemico il cavallo e dei del mare è un motivo ricorrente nei miti.
Secondo Maria di Francia, poetessa della seconda metà del XII secolo, un giorno la vanagloria di Gradlon recò un grande dispiacere a colei che amava, ed ella fuggì; Gradlon si lanciò al suo inseguimento e, quando la raggiunse sulla riva di un fiume, ella gli disse che se avesse tentato di attraversare il fiume per riprenderla, sarebbe annegato.
proferendo tali parole la bella fata si tuffò e, veloce come una saetta, guadagnò l'altra riva mentre Gradlon - incurante del pericolo - si gettò egli stesso a nuoto: i flutti, provocati, divennero minacciosi e gli sforzi del re per lottare contro di essi erano vani; Gradlon stava già per morire quando la fata, commossa dall'intrepidezza di colui che amava nonostante fosse stata abbandonata, tornò verso di lui e lo salvò.
Ma - ahimè - il re è incostante e, qualche anno dopo, dimentica la fata che lo ha salvato.
Gradlon diede il primo vescovo alla Cornovaglia, San Corentin, il quale abitava nella foresta sul Ménez-Hom, nel luogo dove oggi si trova Ploumodiern. Nei pressi del suo eremo scaturiva una sorgente d'acqua cristallina, ove viveva un pesce miracoloso di cui ogni giorno Corentin - per nutrirsi tagliava un pezzo che poi, immediatamente, ricresceva. Un giorno Gradlon, che si era smarrito, durante una battuta di caccia, arrivò letteralmente sfinito per la fame e la stanchezza davanti alla dimora di Corentin il quale - afferma la leggenda - lo fece riposare e lo rifocillò con il suo pesce; e fu senza dubbio per riconoscenza di tale ospitalità che Gradlon nominò Corentin vescovo di Cornovaglia.
Dicono che Dahut, il cui nome significa “la buona magia” (chiamata anche Dahud, Ahes, Ahès, Ahe e Marie-morgan), sia nata in mezzo al mare e che sua madre sia morta dandola alla luce, dopo aver vagato con il suo sposo per un intero anno, infatti Marie-morgan significa “nata dal mare”, come il nome di Morgana, la fata sacerdotessa di Avalon con la quale Dahut presenta molte analogie.
Una credenza diffusa tra quelle popolazioni dice che la città d’Ys riemergerà un giorno per riportare ciò che è stato alla luce.
Si disse anche che il re Gradlon, perduta ogni cosa, riparò a Kemper (l’attuale Quimper) e vi fondò un tempio dove ritirarsi. Le origini dell’attuale cattedrale di Quimper, ricca tra l’altro di simbolismi esoterici pre-cristiani, vengono fatte risalire al re Gradlon della città d’Ys.
La leggenda si ricollega anche a quelle di altre mitiche città o di intere civiltà distrutte da un’inondazione, come quella di Atlantide.
Sia l’isola d’Ys sia quella di Avalon si dice che esistano ancora, l’una celata dal mare e l’altra dalle nebbie, entrambe dietro veli illusori resi sempre più fitti da secoli di oscurantismo religioso in cui prevalgono il Dio unico delle principali religioni monoteiste o la Dea Ragione degli Illuministi. Nelle leggende celtiche si parla di diversi luoghi dell’Altromondo in cui non esistono né dolore, né povertà, né malattia, né vecchiaia, né morte, pensiamo anche al Sidhe, il regno del popolo fatato che si trova all’interno delle colline irlandesi.
Il principe vestito di rosso si potrebbe anche considerarlo un druido o un essere fatato che ha operato una magia per nascondere 
a chi vuole imporre la nuova religione cristiana, la città dove gli antichi Dei vengono ancora onorati.
San Guénolé, però, alla luce di quel poco che ho appreso di lui, non credo fosse un monaco intransigente o despota, probabilmente ha semplicemente permesso che Dahut si ritirasse in una terra di pace e di gioia, libera di vivere la fede in cui crede.
È interessante notare che le tradizioni concernenti Dahut nell’area di Pointe du Raz, non distante dalla quale si suppone fosse situata Ys, sono quelle che dipingono Dahut come una “strega buona”. Inoltre, la Baie des Trépassés (Baia dei Morti) poco distante da Pointe du Raz, si trova di fronte all’isola di Sein, l’isola delle nove Gallinacee, le sacerdotesse cui fa riferimento Pomponio Mela.
Il nome di questa spiaggia deriva dalla deformazione di “boe an aon” (baia del ruscello) in “boe an anaon” (baia delle anime in pena) poiché un tempo la baia serviva da estuario al ruscello che sbocca oggi nella vicina palude.
Si pensa che la baia servisse come punto d'imbarco per le spoglie dei druidi che venivano portate all'isola di Sein per essere inumate.
La valle della baia è oggi occupata da una palude.
Secondo Jean Markale:
“Oltre a rappresentare il mondo pagano in opposizione a quello cristiano, Dahut è anche simbolo della ribellione contro l’autorità maschile… Il significato pieno del suo agire si chiarisce considerando la sua vita dissoluta come opposta agli insegnamenti della Chiesa Cristiana, qui rappresentata da San Guénolé, a sua volta autentico simbolo dell’autorità maschile”.
Vi è però una storia che parla dell’amicizia tra il santo e un druido nella Vita di San Guénolé che lo presenta come una persona mite e conciliante, scritta nel nono secolo da Wrdistan, un monaco di Landévennec. La tradizione registrata da Wrdistan dimostra che nella Bretagna del sesto secolo i druidi, come antichi aderenti a una religione ormai morta, erano già scomparsi. Significativamente, però, essi sono dipinti in modo molto benevolo.
La storia vede tra i protagonisti, ancora una volta, re Gradlon, il quale sta per morire e manda a chiamare Guénolé. Quando il monaco si reca dal re, trova presso di lui anche un druido. Gradlon dice al monaco di non essere duro con lui, perché il druido conosce la profondità della sofferenza: “Le malattie che io ho sopportato non sono nulla in confronto alle agonie attraverso le quali egli è passato… egli ha perso i suoi dei! Quale dolore può eguagliare un tale dolore? Una volta egli era un druido; ora piange una religione morta”.
Gradlon muore, e sia il monaco cristiano sia “l’ultimo veneratore dei Teutatès” intonano salmi e inni funebri. Il mattino, il corpo di Gradlon viene lavato presso una sorgente vicina e avvolto in lino profumato con verbena, pronto per essere portato a Landévennec. Il druido allora si rivolge a Guénolé come a un fratello, “perché non siamo forse stati generati da avi comuni?” Il druido chiede a Guénolé di fare innalzare in quel luogo una chiesa dedicata “all’Addolorata Madre del tuo Dio”, così che le persone malate possano trovarvi la salute e “quelle oppresse la pace”:
“C’era un tempo, quando io ero giovane, in cui qui si ergeva un blocco di granito rosso. Il suo tocco dava la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la speranza ai cuori in angoscia. Possa il santuario che tu innalzi ereditare le medesime virtù; questo è il mio desiderio, il desiderio di un uomo conquistato ma rassegnato ai tempi che cambiano, di un uomo che non prova né amarezza né odio. Ho parlato”.
Ci viene detto che Guénolé provava una grande simpatia per il druido, nonostante fosse sorta una piccola discussione teologica quando il santo cristiano si era offerto di insegnargli la “Parola di Vita” ed il druido aveva rifiutato: indicando il cielo azzurro, egli aveva osservato che quando sarebbe venuto il momento per l’uno o per l’altro di passare all’aldilà, uno dei due avrebbe potuto scoprire “che forse non vi è nulla al di fuori di un grande errore”. Guénolé si era scandalizzato. “Credere è sapere”, aveva risposto alla maniera dei cristiani.
La sua compassione nei confronti del druido lo portò a offrirgli un rifugio nell’abbazia di Landévennec. Il druido declinò, dicendo che preferiva i suoi “sentieri boscosi”. “Non è forse vero che tutte le strade conducono ad un unico grande punto centrale?” fu la sua battuta di congedo. È una filosofia che il nostro mondo moderno, nella sua intolleranza, trova difficile da accettare.
L’incontro con quello che simbolicamente è l’ultimo druido di Bretagna, descritto da un monaco cristiano del nono secolo, è affascinante perché dimostra che i druidi venivano ancora considerati degni di rispetto dai cristiani, che nei tempi a venire avrebbero invece dimostrato mancanza di comprensione e di tolleranza

Da: Il segreto dei druidi di Peter Berresford Ellis

http://www.celticworld.it/sh_wiki.php?act=sh_art&iart=644
http://www.houseofnames.com/wiki/celtic-saints
http://en.wikipedia.org/wiki/Winwaloe