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mercoledì 25 gennaio 2012

L'ascolto


Vi siete mai seduti in silenzio senza fermare l'attenzione su una cosa qualsiasi, senza fare il minimo sforzo per concentrarvi, con una mente davvero calma? Se lo fate, potete ascoltare i rumori lontani e quelli vicinissimi a voi: siete in contatto coi suoni.
Allora state veramente ascoltando. La vostra mente non si limita a funzionare attraverso un solo insufficiente canale. Quando ascoltate in questo modo, con grande tranquillità, senza sforzo, scoprite che dentro di voi avviene un cambiamento straordinario, un cambiamento che non dipende dalla vostra volontà e che si produce senza che voi lo chiediate; è un cambiamento che porta
con sé l'immensa bellezza di una percezione
profonda.

Jiddu Krishnamurti

Il Viaggio



Faremo piuttosto un viaggio insieme. Un viaggio di scoperta negli angoli più segreti della nostra mente.
E per intraprendere un viaggio del genere bisogna viaggiare con poco bagaglio, non possiamo essere appesantiti da opinioni, pregiudizi e conclusioni, tutto quel vecchio bagaglio che abbiamo messo insieme negli ultimi duemila anni e più.
Dimenticate tutto quello che sapete su voi stessi, dimenticate tutto quello che avete pensato di voi; cominceremo come se non sapessimo niente.

Jiddu Krishnamurti


Paragoni con gli altri


Facciamo sempre paragoni tra quello che siamo e quello che dovremmo essere.

Questo continuo paragonarci a qualcosa o a qualcuno è la causa primaria dei nostri conflitti.
Perché vi paragonate ad altri?
Se non vi paragonate a nessuno sarete quel che realmente siete

Jiddu Krishnamurti


Tu e il mondo


Ciò che tu sei, il mondo è. E senza la tua trasformazione, non può avvenire nessuna trasformazione nel mondo.

Ciò che siete dentro è stato proiettato all'esterno, sul mondo; ciò che siete, ciò che pensate e sentite, ciò che fate nella vostra esistenza quotidiana, viene proiettato fuori di voi e va a costituire il mondo

Jiddu Krishnamurti

Imparare


Sai cosa significa imparare? Quando impari veramente, impari dalla vita; non c’è un insegnante particolare da cui imparare. Tutto ti è di insegnamento: una foglia morta, un uccello in volo, un profumo, una lacrima, il ricco e il povero, coloro che piangono, il sorriso di una donna, l’alterigia di un uomo. Impari da ogni cosa, quindi non hai bisogno di guide spirituali, di filosofi, di guru. La vita stessa ti è maestra, e tu sei in uno stato di costante apprendimento

Jiddu Krishnamurti

domenica 22 gennaio 2012

La felicità


La felicità è il più grande paradosso dell’esistenza. Può crescere ovunque e in ogni condizione, sfidando l’ambiente. Viene da dentro: è la rivelazione della profondità della vita interiore come la luce e il calore sono la rivelazione del sole che li irradia. La felicità non consiste nell’avere ma nell’essere, non nel possedere ma nel godere. Un martire sul rogo può avere una felicità che un re sul trono invidierebbe. L’uomo è l’artefice della sua felicità, che è il piacere di una vita vissuta in armonia con nobili ideali. Si può dipendere dagli altri per ciò che si ha, ma ciò che si è dipende solo da noi stessi. La felicità è la gioia dell’anima che possiede l’intangibile. È l’ardore di un cuore in pace con sé stesso.

Da: La bottega dei desideri di Karen Weinreb

mercoledì 20 aprile 2011

Saggezza indiana

Ho bisogno di Te (Native American ~ Spiritual Music) Lay o Lay Ale Loya


Una strada con un cuore


DON JUAN: «Per me c'è solo il viaggio su strade che hanno un cuore, qualsiasi strada abbia un cuore. Là io viaggio, e l'unica sfida che valga è attraversarla in tutta la sua lunghezza. Là io viaggio guardando, guardando, senza fiato.»

«Tutto è solo una strada tra tantissime possibili. Devi sempre tenere a mente che una strada è solo una strada; se senti che non dovresti seguirla, non devi restare con essa a nessuna condizione. Per raggiungere una chiarezza del genere devi condurre una vita disciplinata. Solo allora saprai che qualsiasi strada è solo una strada e che non c'è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nel lasciarla andare se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare. Ma il tuo desiderio di insistere sulla strada o di abbandonarla deve essere libero dalla paura o dall'ambizione.»

«Ti avverto. Guarda ogni strada attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda. Questa è una domanda posta solo da un uomo molto vecchio. Il mio benefattore me l'ha detta una volta quando ero giovane, e il mio sangue era troppo vigoroso perché la comprendessi. Ora la comprendo. Ti dirò che cosa è: "Questa strada ha un cuore?" Tutte le strade sono uguali; non portano da alcuna parte. Sono strade che passano attraverso la boscaglia o che vanno nella boscaglia. Nella mia vita posso dire di aver percorso strade lunghe, molto lunghe, ma io non sono da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha adesso un significato."Questa strada ha un cuore? Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha non serve a niente. Entrambe le strade non portano da alcuna parte, ma una ha un cuore e l'altra no. Una porta un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L'altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l'altra ti indebolisce.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come si fa a sapere quando un sentiero non ha un cuore, don Juan?»

DON JUAN: «Prima di inoltrarti in esso poniti la seguente domanda: "Questa strada ha un cuore?" Se la risposta è no, lo saprai, e allora dovrai scegliere un altro sentiero.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come faccio a capirlo?»

DON JUAN: «È una cosa che si sente. Il problema è che nessuno si pone questa domanda, e quando un uomo si accorge di aver intrapreso una strada senza cuore, essa è pronta per ucciderlo. Arrivati a quel punto, sono pochi quelli che si fermano a riflettere e abbandonano la strada.»

CARLOS CASTANEDA: «Cosa devo fare per formulare la domanda nel modo giusto, don Juan?»

DON JUAN: «Fallo e basta.»

C
ARLOS CASTANEDA: «Quello che vorrei sapere è se esiste un metodo per non mentire a se stessi credendo che la risposta sia positiva quando in realtà non lo è.»

DON JUAN: «Perché dovresti mentire?»

CARLOS CASTANEDA: «Forse perché in quel momento la strada sembra piacevole e divertente.»

DON JUAN: «Sciocchezze. Una strada senza cuore non è mai piacevole. Devi lavorare duramente anche per intraprenderla. D'altra parte è facile seguire una strada che ha un cuore, perché amarla non ti costa fatica.»

Da: Gli Insegnamenti di don Juan e A Scuola dallo Stregone di Carlos Castaneda

venerdì 3 dicembre 2010

Il Papalagi - seconda parte




Le molte cose impoveriscono i Papalagi:

“Fatemi dire, cari fratelli delle molte isole, cosa è una cosa. La noce di cocco è una cosa, lo scacciamosche, la conchiglia, l'anello, la ciotola per mangiare, l'ornamento del capo, tutte queste sono cose. Ma ci sono due tipi di cose. Ci sono cose che fa il Grande Spirito senza che noi lo vediamo e che a noi uomini non costano né fatica né lavoro, come la noce di cocco, la conchiglia, la banana, e ci sono cose che fanno gli uomini e che costano molta fatica e lavoro, come l'anello, la ciotola per mangiare o lo scacciamosche. Secondo l'uomo bianco ci mancano le cose che lui fa con le sue mani, le cose degli uomini; non si può certo riferire alle cose del Grande Spirito, che possediamo in quantità maggiore di chiunque altro.”

Possediamo tanti oggetti inutili con i quali ci riempiamo la casa e che non ci decidiamo mai a gettare, abbiamo tante cose artificiali e viviamo in un mondo artificiale, costruito completamente da noi, ma abbiamo perso la possibilità di godere della bellezza del creato.

Il Papalagi non ha tempo:

“Il Papalagi è sempre scontento del tempo che ha a disposizione, e accusa il Grande Spirito di non avergliene dato di più.”

“Ci sono Papalagi che sostengono di non avere mai tempo. Corrono freneticamente qua e là, come se fossero posseduti dal demonio, e ovunque vadano fanno del male.”

Penso al tempo come a un fiume che scorre inesorabile, incurante di come noi umani lo impieghiamo, un flusso di tempo scandito da albe che annunciano giorni e da tramonti che annunciano notti, un tempo di luce solare che invita all’azione e al lavoro e un tempo di luce lunare che invita al riposo e alla meditazione, un tempo scandito dalle fasi lunari che influiscono nel profondo del nostro animo e un tempo scandito dal percorso del sole che fa girare la Ruota dell’Anno. Il tempo misurato dall’orologio invece è pura convenzione e la lotta contro il tempo è totale illusione. Tutto cambia, dentro e fuori di noi, tutto è in movimento perenne, non potremo mai fermare il tempo. Al’interno di questo tempo magico ci creiamo scadenze sempre più pressanti. Alcune scadenze fanno la differenza tra la vita e la morte, tra la disperazione e la felicità, tra la ricchezza e la povertà, ma siamo noi ad impostare la nostra vita sul tempo delle scadenze. Se non ci deprogrammiamo per garantirci almeno qualche via di fuga da questa tirannia, non conosceremo mai il tempo dei Cicli, il tempo della Meditazione, il tempo della Saggezza e il tempo della Conoscenza.

Il Papalagi ha impoverito Dio:

“A ogni modo Dio non ha quasi più niente, gli uomini gli hanno preso quasi tutto facendone il loro «mio» e «tuo». Non può più dare a tutti nella stessa misura il suo sole, che era destinato a tutti, perché alcuni pretendono di averne più degli altri. Nelle belle e grandi piazze assolate siedono spesso solo in pochi, mentre i più catturano miseri raggi di sole standosene all'ombra. Dio non può più provare un'autentica gioia, perché non è più il grandissimo Signore nella sua grande casa. Il Papalagi lo rinnega dicendo: «È tutto mio». Non arriva a comprendere quel che fa, anche se sta tanto a pensare. Al contrario, ritiene che il suo operato sia onesto e giusto. Ma davanti a Dio è disonesto e ingiusto.”

Abbiamo violato la sacralità della Terra e l’abbiamo saccheggiata. Invece di esserne i custodi, ne siamo divenuti i padroni assoluti, provocando quei disastri che sono sotto gli occhi di tutti. Leggete a questo proposito il bellissimo discorso del 1854 del Capo Seattle al presidente degli Stati Uniti, quale commento migliore di questo?


Il Grande Spirito è più potente delle macchine:

“Il Papalagi è un mago. Se canti una canzone, cattura il tuo canto e te lo restituisce ogni volta che vuoi. Ti mette davanti un piatto di vetro e ci cattura la tua immagine. E te la fa rivedere mille volte, tutte le volte che vuoi. Ho visto anche prodigi più grandi di questi. Vi ho detto che il Papalagi cattura i lampi del cielo. Proprio così. Li cattura, la macchina li divora, li frantuma, e di notte li rigetta fuori in mille stelline, lucciole e piccole lune. Non gli ci vorrebbe niente a riversare di notte la luce sulle nostre isole, per renderle chiare e luminose come di giorno. Spesso libera di nuovo i lampi a suo vantaggio, indica loro la strada e dà loro messaggi per i suoi fratelli lontani. E i lampi ubbidiscono e portano con sé i messaggi. Il Papalagi ha dato più forza a tutte le sue membra. Le sue mani arrivano ai mari e alle stelle, e i suoi piedi superano venti e onde.”

Allora il progresso può essere anche meraviglioso!

“È questo il punto: il Papalagi cerca di eguagliare Dio. Vorrebbe distruggere il Grande Spirito e prendere per sé i suoi poteri. Ma Dio è ancora più grande e più potente del più grande Papalagi e delle sue macchine, ed è sempre lui a stabilire chi di noi deve morire, e quando. Il sole, l'acqua e il fuoco sono soggetti ancora, prima di tutto, a Lui. E nessun Bianco ha ancora piegato alla sua volontà il sorgere della luna e la direzione dei venti.”

Ah ecco, è questo il punto, ha ragione lui.

Del lavoro del Papalagi e del modo in cui vi si smarrisce:

“Ogni Papalagi ha un lavoro. È difficile spiegare cosa sia. È un qualcosa che si dovrebbe avere una gran voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha. Avere un lavoro significa: fare sempre la stessa identica cosa. Fare una cosa tanto spesso, che la si potrebbe fare anche ad occhi chiusi e senza fatica. Se con le mie mani non facessi altro che costruire capanne o intrecciare stuoie, ebbene questo costruire o intrecciare sarebbe il mio lavoro.”

Che barba! Che noia!

“È una gioia costruire una capanna, abbattere gli alberi nella foresta e ridurli in pali, piantare i pali, intrecciarvi sopra il tetto e alla fine, quando i pali e le travi e tutto il resto è legato ben bene con i fili di cocco, ricoprire tutto con le foglie secche della canna da zucchero. Non c'è bisogno che vi stia a dire che gioia sia per gli abitanti del villaggio costruire la casa del capo e partecipare alla grande festa con i figli e le mogli.”

So di una famiglia del Galles che si è costruita con le proprie mani una casa stupenda, ne farò presto un articolo e lo linko qui come commento, stay tuned!

mercoledì 1 dicembre 2010

Il Papalagi - prima parte


Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Herman Hesse, fuggito nei mari del Sud per evitare la Prima Guerra Mondiale, raccolse il pensiero e le riflessioni di un capo saggio delle Isole Samoa, nella Polinesia, Tuiavii di Tiavea. Ne è nato Papalagi, un trattato etnologico sulla tribù dei Bianchi.
“Papalagi” significa "distruttore del cielo" in lingua samoana, per comodità qui è inteso come “uomo bianco”.
Verso la fine dell’800, l'arcipelago delle Samoa venne diviso fra gli Stati Uniti (a cui nel 1904 andarono le isole orientali, oggi note come Samoa Americane) e la Germania (a cui spettarono le isole occidentali, note allora come Samoa tedesche). Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, le Samoa occidentali passarono alla Nuova Zelanda, dalla quale si dichiararono indipendenti nel 1962 (divenendo così il primo stato insulare dell'Oceano Pacifico a raggiungere l'indipendenza).
Già dopo la seconda metà del ‘700 alle isole Samoa c’era un viavai di navi mercantili che percorrevano la rotta delle spezie.
La maggior parte dei contatti e degli scontri che avvennero tra i samoani e gli europei ebbero luogo nelle isole che ora fanno parte delle Samoa Americane, ma le isole delle Samoa indipendenti non sfuggirono alle stesse malattie e agli stessi atti di violenza che puntualmente si verificavano con l'arrivo dalle navi europee.
Quando arrivarono gli inglesi, chiaramente i samoani non si sentirono di far loro gli onori di casa e ci furono violenti scontri con perdite di vita umane da entrambe le parti. Quando invece arrivarono i missionari all'inizio del XIX secolo, tenendo in mano le loro Bibbie e parlando di dannazione eterna, non solo non vennero uccisi, ma incredibilmente riuscirono a convertirne una marea. Forse i samoani accettarono di divenire cristiani più per convenienza che per autentica fede. Semplicemente, i Palagi erano bene armati e conoscevano il potere di seduzione del denaro, fino ad allora sconosciuto tra i popoli di quelle isole. Inizialmente queste spedizioni alla ricerca di anime da convertire furono di breve durata, ma dal 1836 si ebbe una vera e propria svolta, quando John Williams e Charles Barff fondarono a Samoa le loro missioni. Purtroppo il povero Williams, dopo aver convertito un bel po’ di samoani, fece una brutta fine: venne “cannibalizzato”, ovverosia ucciso e servito come portata a un banchetto samoano. Ma tutto questo non arrestò l’arrivo di altri missionari. Con l’insediarsi delle missioni e quindi del Cristianesimo le danze polinesiane furono dapprima proibite, in quanto ritenute diaboliche e spudorate, in seguito furono riammesse con la clausola che il costume coprisse per intero il corpo della danzatrice.
Nell’introduzione è scritto che “Tuiavii non ebbe mai intenzione di presentare in Europa questi discorsi e tanto meno di farli stampare; essi erano concepiti esclusivamente per le sue genti polinesiane. Tuttavia è importante sapere con quali occhi un uomo ancora così strettamente legato alla natura vede noi e la nostra civiltà. Attraverso i suoi occhi impariamo a vedere noi stessi da un angolo di visuale che non potrebbe mai essere nostro.”

Trovo che sia un punto di vista molto interessante sulla nostra civiltà, ne esce fuori che:

Del Papalagi e del suo ricoprirsi la carne, dei suoi molti panni e stuoie:

“Il Papalagi si preoccupa costantemente di coprire bene la sua carne.”

“La carne è peccato. Così dice il Papalagi.”

“Anche la donna, come l'uomo, indossa molti panni e stuoie avvolti intorno al corpo e alle gambe. La sua pelle è per questo ricoperta di cicatrici e ferite causate dai lacci. Il seno si avvizzisce e non da più latte per colpa della pressione di una stuoia che si lega dal collo all'addome, al petto e anche sulla schiena; una stuoia che è resa molto dura da ossa di pesce, fil di ferro e nastri. La maggior parte delle madri danno quindi ai loro figli il latte in un cilindro di vetro, che sotto è chiuso, e sopra ha un capezzolo artificiale. Il latte che danno non è il loro, ma quello di brutti animali rossicci e cornuti, ai quali viene tolto con violenza dai quattro tappi che hanno sotto la pancia.”

“…non ho mai capito perché ai grandi ricevimenti e banchetti le donne e le ragazze possono mostrare liberamente la carne intorno al collo e la schiena, senza che non ho mai capito perché ai grandi ricevimenti e banchetti le donne e le ragazze possono mostrare liberamente la carne intorno al collo e la schiena, senza che questo sia uno scandalo. Ma forse è proprio questo che dà sapore alla festa: che in quell'occasione è permesso quel che non è permesso tutti i giorni.”

“Ma la carne è peccato, è del diavolo. Esiste pensiero più folle, cari fratelli? Se si dovesse credere alle parole del Bianco, allora si dovrebbe preferire, insieme a lui, che la carne fosse dura come la roccia della lava e priva del suo bel calore che viene da dentro. Rallegriamoci invece della nostra carne, che può parlare con il sole, di poter muovere le nostre gambe come il cavallo selvaggio, perché non le tiene legate nessun panno, e non le opprime nessuna pelle da piedi, e non dobbiamo stare attenti che non ci caschi dalla testa il nostro copricapo. Rallegriamoci per la vergine che è bella nel corpo e mostra le sue membra al sole e alla luna. Stolto, cieco, senza il sentimento della vera gioia, è il Bianco, che si deve coprire tanto per non provare vergogna.”

Dei cassoni di pietra, delle fessure di pietra, delle isole di pietra e di quel che vi sta in mezzo:

“Il Papalagi abita come la conchiglia di mare in un guscio sicuro. Vive in mezzo alle pietre, come la scolopendra tra le fessure della lava. Le pietre sono tutte intorno a lui, al suo fianco e sopra di lui. La sua capanna è simile a un vero e proprio cassone di pietra. Un cassone con molti ripiani tutto sforacchiato.”

Del metallo rotondo e della carta pesante:

“Ragionevoli fratelli, ascoltate fiduciosi e siate felici di non conoscere la scelleratezza e la miseria del Bianco. Tutti voi potete testimoniare che il missionario dice: «Dio è amore». Che un vero cristiano farebbe bene a tenere sempre davanti a sé l'immagine dell'amore. Che solo al grande Dio andrebbe l'adorazione del Bianco. Il missionario ci ha mentito, ingannato, il Papalagi lo ha corrotto perché ci ingannasse con le parole del Grande Spirito. Perché il metallo rotondo e la carta pesante, chiamati denaro, questi sono la vera divinità del Bianco.”

“Ho trovato solo una cosa per la quale non viene richiesto denaro, della quale se ne può avere quanta se ne vuole: l'aria che si respira. Ma devo pensare che è solo una dimenticanza, e non esito ad affermare che se qualcuno potesse udire in Europa queste mie parole, pretenderebbe immediatamente il metallo rotondo e la carta pesante.”

Io vedo il denaro come una forma di energia che ci permette di tradurre i nostri pensieri ed idee in realtà. Non è il sostituto di un dio, deve essere usato piuttosto per far crescere il bene collettivo. Poiché la natura è generosa e ricca, ci fornisce già tutto quello che ci occorre. Ne consegue che più ci siamo allontanati da essa, più è aumentato il nostro bisogno di denaro per poterci riscaldare, vestire, usare sempre di più l’energia elettrica, reperire nei negozi e nei supermercati quello che non si trova nei boschi o nei campi coltivati, combattere forme di alienazione e di stress con forme di divertimento, viaggi, etc.