Secondo il parere di tutti gli storici delle religioni, i druidi sono gli equivalenti celtici dei Bramini indiani e dei Flamini romani, anche se il loro nome è completamente differente Bramini e Flamini sono linguisticamente apparentati.
Jean Markale fa notare che i Bramini vengono reclutati esclusivamente in base alla nascita all’interno di una casa normale conseguenza delle credenze induiste che riguardano il ciclo delle reincarnazioni, e che i Flamini romani costituivano un collegio al quale si poteva accedere esclusivamente per cooptazione. I Bramini rappresentano la casta sacerdotale e rappresentano la prima delle quattro caste: 1) sacerdoti o bramini, 2) guerrieri, 3) coltivatori, 4) artigiani e piccoli commercianti. I fuori-casta o impuri vengono detti "intoccabili" o parìa, cioè coloro che svolgono i mestieri più umili. Al contrario, i druidi non formavano una classe chiusa: chiunque, che fosse membro di una famiglia reale, o guerriero, o artigiano, o pastore, o agricoltore, fosse anche schiavo poteva accedervi – non fosse che in una categoria inferiore – a condizione di aver seguito degli studi lunghi e approfonditi. La religione cristiana, per più di un titolo erede della religione druidica, saprà conservare memoria per quanto concerne il reclutamento dei suoi sacerdoti.
Tuttavia su Wikipedia ho letto:
“Da precisare che nel Rgveda non vi è alcun riferimento al primato di questa casta a riprova del fatto che nel primo periodo vedico qualsiasi componente della tribù degli Arii poteva candidarsi a questa funzione.” (http://it.wikipedia.org/wiki/Brahmano#cite_note-1)
(Che bello poter rettificare il grande Jean Markale che sono andata a leggere per approfondire le convinzioni di Peter Berresford Ellis sull’equazione druidi – bramini; ma già una volta mi sono trovata in disaccordo sul suo forte sdegno riguardo la divisione della ruota dell’anno in 8 feste, senza gli equinozi e i solstizi, anche se sono in disaccordo pure con i gruppi druidici che celebravano solo i solstizi. Stupendo! L’albero del druidismo cresce soprattutto dentro di noi, come c’era scritto nel libro dell’Anguana Madre da me citato).
Georges Dumézil, accademico di Francia e storico delle religioni, nella sua opera Flamines-Brahamanes vede non solo una probabile etimologia comune ma anche un parallelismo funzionale fra i Flamini ed i Bramini, la casta sacerdotale indiana ed attraverso l’esame comparativo delle rispettive religioni individua le tre funzioni, tra loro poste in armonica gerarchia, che reggevano e regolavano la società indeuropea.
La prima funzione è la sovranità religiosa ossia il potere magico-giuridico, la seconda la forza, la potenza bellica e la terza la fecondità ossia la procreazione, la pace (la classe sacerdotale, la classe regale-guerriera, la classe lavorativa).
Come accade per tutto il clero di struttura indo-europea, quantomeno agli inizi, la classe sacerdotale druidica aveva come missione quella di organizzare e di amministrare ad un tempo le cose divine e le cose umane. Gli attuali Bramini, a causa dell’evoluzione storica e delle vicissitudini della società indiana, di questa missione hanno conservato soltanto il suo aspetto spirituale, abbandonando il potere politico a sistemi sempre più laici. Ed è di laicizzazione che bisogna parlare a proposito dei Flamini e del ruolo minore che essi hanno svolto nella Repubblica romana. In effetti, se, al momento della monarchia romana, il rex era il capo indiscusso della dimensione sacra e di quella profana, si è giunti assai presto, in Roma, a tener conto delle contingenze tra il potere temporale e il potere spirituale: la laicità è stata effettivamente inventata dalla Repubblica romana, quantunque, paradossalmente, vi si sviluppasse una religione di pura forma, nettamente nazionalista e civica, alla quale erano integrati i grandi corpi dello Stato. Per quanto concerne i druidi, dato che essi sono scomparsi, assorbiti dalla romanità e nel cristianesimo, non è possibile dire alcunché su una ipotetica evoluzione del loto statuto. Ma una cosa è certa: non esisteva, nella società celtica, alcuna sfumatura tra il sacro e il profano. A dire il vero, la questione non si poneva neppure. Il fatto che, durante la cristianizzazione dell’Irlanda, sono quasi esclusivamente i re e i fili (bardi), vale a dire gli eredi dei druidi, a divenire vescovi o abati, cumulando i poteri temporali e spirituali, è insomma la prova assoluta di questo monismo che è talvolta difficile da comprendere considerando quella che è la nostra attuale mentalità.
Bisogna comunque ammettere che la denominazione druidi è assai vasta ed ingloba numerose specializzazioni. Sarebbe ridicolo voler paragonare un druido gallico e un sacerdote cattolico del XX secolo, soprattutto nei paesi dove è in vigore la separazione tra Chiesa e Stato. In qualche modo, possiamo trovare una certa equivalenza tra il druido e un prete di villaggio nel XIX secolo, prima delle leggi sull’insegnamento primario obbligatorio e la comparsa dell’insegnante laico. Giacché, se il druido è un sacerdote, egli è anche ben altra cosa. E, all’interno della classe druidica, esistono molte distinzioni. Gli autori greci e latini, ne avevano piena consapevolezza, quantunque sembri che non avessero per niente compreso con esattezza le sottigliezze di queste distinzioni e del sistema gerarchico. Talvolta chiamavano i druidi “filosofi”, talaltra “maghi”, ciò che non risulta essere proprio la stessa cosa. Si parla anche di “poeti cantanti” e di indovini. E Diodoro Siculo precisa che non poteva compiersi alcun sacrificio senza l’assistenza di uno di questi “filosofi”.
Da: Il druidismo. Religione e divinità dei Celti di Jean Markale
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