giovedì 19 maggio 2011

Canzone di Amairgen


Quando i Túatha Dé Danann vennero sconfitti dai mortali, fu decisiva la magia del grande druido e bardo Amairgen che andò dalla barca alla spiaggia e cantò una canzone, rivolgendosi alla terra d’Irlanda. I sortilegi dei Túatha dé Danann si spezzarono di fronte all’ispirazione del poeta. Questa canzone salvifica rimarrà nota come la Canzone di Amairgen. Vi si trovano 13 immagini che si possono collegare all’anno lunare del Calendario di Coligny.

Canzone di Amairgen – dal Leabhar Gabhàla
(fonte: Il segreto dei druidi di Peter Berresford Ellis)

Io sono il Vento che soffia sul mare;
Sono l’Onda dell’Oceano;
Sono il Mormorio dei Flutti;
Sono il Toro delle Sette Battaglie;
Sono il Rapace sulla Rocca;
Sono un Raggio del Sole;
Sono il più Bello dei Fiori;
Sono un Cinghiale Coraggioso;
Sono un Salmone nel Fiume;
Sono un Lago nella Pianura;
Sono l’Abilità dell’Artigiano;
Sono una Parola di Scienza;
Sono la Lancia che dà Battaglia;
Sono il dio che crea nella mente dell’uomo il Fuoco del Pensiero;
Chi dà luce all’assemblea sulla montagna, se non io?
Chi può dire quale sia l’età della luna, se non io?
Chi può indicare il luogo dove il sole va a riposare, se non io?
Chi richiama gli armenti dalla Casa di Tetra?
A chi sorridono gli armenti di Tetra?
Chi è il dio che forgia gli incantesimi -
- l’incantesimo della battaglia ed il vento del mutamento?


I - La Scogliera
(30 ottobre – 25 novembre)
Am fuaim mara

Benvenuta, Luna della Scogliera! L’anno varca il confine tra
Luce e Oscurità, le forze della crescita dormiranno sui mari
dell’Altromondo. Anche noi ci volgiamo all’interno, per riempire
le nostre anime del buio nutriente oltre il nostro sé

Ora che le comunità di lingua celtica sono state spinte a ovest fin sulla stretta “fascia celtica” lungo la costa atlantica, quel rumore echeggia costantemente nella coscienza di quelle genti ed è entrato a far parte dei canti e delle storie dei popoli celtici, così come le onde battono incessantemente (specie nel silenzio invernale) contro le alte scogliere dell’Irlanda occidentale e delle Ebridi esterne, in Cornovaglia e nel Galles sud-occidentale.
Ma anche quando i paesi celtici si stendevano nel cuore dell’entroterra fra regioni di foreste e di montagne, la costa marina esercitava una forte attrazione sulla loro immaginazione. Era il confine tra il nostro mondo e l’Altromondo, poiché salpando verso occidente e attraverso l’oceano si lasciavano dietro di sé le sicurezze della vita terrena, e sarebbero ben presto giunti a contemplare la reale immensità di quel piano di esistenza liquido ed essenzialmente non umano- anche se la nostra realtà quotidiana è ben poca cosa se paragonata al potenziale illimitato dell’Altromondo da cui proviene.
Gli antichi Celti guardavano a Ovest verso il Morimarousa, l’oceano primordiale che all’inizio dei tempi aveva partorito le solide terre su cui vivono gli umani, e credevano che i morti, nel loro viaggio di ritorno verso l’Altromondo, passassero prima attraverso la dissoluzione in quel mare. Nel famoso aneddoto riportato dal cronista del sesto secolo Procopio, ci viene detto che alcuni abitanti della costa atlantica fungevano da traghettatori per i defunti. Svegliati a mezzanotte da un richiamo misterioso, essi saltavano verso ovest con un carico di passeggeri invisibili. Dopo un giorno e una notte di viaggio, raggiungevano un’isola in cui sbarcava la folla invisibile (alleggerendo sensibilmente l’imbarcazione), mentre una voce disincarnata li chiamava per nome e discendenza. La tradizione irlandese è coerente con questo modello: si credeva che i morti ricercassero dapprima un piccolo gruppo di isole chiamate Teach Duinn (Casa di Donn) al largo della costa sud-occidentale d’Irlanda, dove Donn, uno dei figli di Mil (antenati dei Gaeli moderni) aveva incontrato la morte trasformandosi così nel Dio dei Morti, il capo che da quel momento in avanti avrebbe incontrato tutti i defunti d’Irlanda. Dopo aver soggiornato per un certo periodo nel suo regno, i defunti proseguivano verso altre parti dell’Altromondo.
Questa luna ci porta verso il cuore dell’oscurità dove i confini, divenuti invisibili, si dissolvono infine dalla nostra coscienza e ci mettiamo a disposizione del potenziale di fertilità dell’Altromondo. Così preparati, ci prepariamo all’esperienza di giamos.


II -  La Marea
(26 novembre – 23 dicembre)
Am tond trethan

Benvenuta, Luna della Marea! L’oscurità ha raggiunto il suo apice
e spazza via i resti dell’anno passato. Noi spazziamo via tutti i ricordi
di errori passati e ci prepariamo al nuovo inizio.

Non si tratta più dell’acqua che batte contro la scogliera, ma di un’onda che scorre libera, parte del vasto e misterioso movimento del regno marino. Nella tradizione irlandese l’espressione thar naoi dtonn (“oltre le nove onde”) definisce il punto in cui le leggi stabilite sulla terra devono lasciare il posto all’imprevedibile fluidità dell’oceano dell’Altromondo. L’onda dell’oceano, ritirandosi dalla riva, ci porta nelle profondità più remote, nella misteriosa Casa di Tethra che è la reale dimora dei poteri dei Fomori. Si tratta di un luogo pericoloso (qualsiasi luogo subacqueo è per definizione ostile agli umani che necessitano di respirare, a meno che non prendano precauzioni speciali), ma è anche la fonte di ogni fertilità, il primo collegamento della grande catena della vita; se si viaggia fin lì si troverà il potere vivificante che sta dietro alla maschera della morte. Al termine del suo canto Amairgen chiede: Cia beir buar o thig Tethrach? (“Chi porterà il bestiame dalla casa di Tethra?”) Un’antica tradizione sostiene che questo bestiame siano in realtà le stelle che sorgono dal mare, ma nel contesto dell’invocazione di Amairgen sono ovviamente qualcosa di più delle stelle fisicamente presenti nel cielo. Un bardo come Amairgen che ha viaggiato nel buio della casa di Tethra ed è riuscito a tornare sarà in grado di richiamare dall’inconscio immagini che danno la vita, così come le stelle emergono dall’abisso ogni notte sul percorso a mo’ di ruota che tracciano nei cieli. Il buar Tethrach è la ricompensa finale per coloro che rischiano se stessi nel mondo al di là della coscienza; e le leggende di tutto il mondo celtico che parlano di bestiame magico che esce dalle profondità acquatiche riflettono proprio questo motivo.
Nel corso della stagione oscura, con le forze della crescita immobilizzate, si può dire che l’anno soggiorni nella Casa di Tethra. Ma per prepararsi alla rinascita, i ricordi negativi del passato non devono essere proiettati sull’oscurità. Non si deve consentire ai veleni di restare nel terreno in cui germoglieranno i semi. L’onda che ci porta via dalla terra fin nelle buie profondità deve anche lavare via da noi la contaminazione del ciclo passato, così che possiamo giungere al ventre della rinascita purificati da ogni negatività.


III - Il Cervo
(23 dicembre – 20 gennaio)
Am dam secht nd’írend

Benvenuta, Luna del Cervo! Il cervo degli déi balza fuori dalla fredda foresta,
una scintilla di luce solare brilla tra le sue corna.
Portiamo le nostre menti a seguire la luce che cresce e ci guida
attraverso tempi oscuri
.

Alcuni fra i primi studiosi hanno tradotto questa frase con “Sono un toro dei sette combattimenti”, poiché dam può significare sia “bue” che “toro” o “cervo”. Il termine dam pare designasse in origine la natura bellicosa di questi animali, e veniva applicato metaforicamente ai guerrieri umani. Nella parlata irlandese moderna, damh ha finito per significare quasi sempre e solo “bue”; è andato perciò perso il suo antico collegamento con la lotta alla vittoria.
Il Cervo è il primo dei quattro animali sacri citati da Amairgen. Pare esistere uno stretto rapporto tra il Cervo e il Cinghiale: entrambi sono creature dell’Altromondo che varcano i confini tra i mondi con facilità, fungendo spesso da messaggeri o guide tra una parte e l’altra del confine. Proprio come il cinghiale bianco condusse Pryderi nella trappola dell’Altromondo architettata da Llwyd ap Cil Coed nel Terzo Ramo dei Mabinogi, così la caccia al Cervo Maschio inaugura gli eventi magici in Geraint ac Enid e nella sua controparte continentale, Érec). Insieme a questa somiglianza di ruolo abbiamo visto che esiste anche una complementarietà: quando uno dei due animali è associato con la metà “giorno” dell’esistenza, all’altro viene data la metà “notte”.  E così, quando il Cinghiale si insedia nell’Altromondo dopo Beltane egli diviene un animale solare col dono della saggezza poetica, mentre il Cervo è legato alla terra verde e interiormente in crescita, proprio come Cernunnos che viene sospinto nelle foreste del nostro mondo e inizia la crescita delle sue corna. E dopo Samhain, quando il Cinghiale (ora una Scrofa) vaga sulla terra desolata nella forma del temibile Hwch Ddu Gwta, il Cervo si trova nei regni celesti come presenza luminosa, a portare la speranza.
Quest’ultima veste del Cervo è familiare nel folklore: numerose leggende locali (in particolare quelle associate a Sant’Eustachio e Sant’Uberto) parlano di un cervo meraviglioso dalle corna luminose la cui apparizione porta il miglioramento negli affari umani. Nel contesto che ci interessa, egli è il messaggero più appropriato per il grande cambiamento che avverrà dopo il Solstizio d’Inverno. Nonostante la terra rimanga buia e senza frutti e le notti siano ancora molto più lunghe dei giorni, la luce ha iniziato a crescere in modo impercettibile. Ci troviamo ancora nell’abisso della modalità giamos, ma una scintilla brilla di fronte a noi ricordandoci di non perdere il contatto con la forza vitale, poiché vivremo ancora nella luce. Sarà nostra guida il “cervo con corna di sette punte” che ha attraversato molti cicli di crescita e decadimento ed è sempre riuscito ad aprirsi la strada verso un nuovo trionfo della vita.
Man mano che la luna cresce, contempliamo allora la luce – senza associarla a un qualche significato o scopo, ma puramente come fenomeno luminoso che brilla oltre l’oscurità in cui si trovano ora immobili i nostri spiriti.


IV - Il Diluvio
(21 gennaio – 17 febbraio)
Am loch i m-maig

Benvenuta, Luna del Diluvio! Pioggia e neve coprono la terra d’acqua,
il duro terreno avrà il suo disgelo che lo trasformerà in fango fertile
dove potranno germogliare i semi.
Qualsiasi parte di noi che sia congelata e rifiuti di crescere
deve lasciare il posto al dissolvimento benedetto del Diluvio


Come molti altri poeti, i Celti avevano un mito del diluvio; e come in altri miti di questo genere, l’evento era raffigurato in modo ambiguo, sia come un disastro che come una fonte di buone cose. Tutta l’acqua (cioè l’essenza della fertilità) appartiene alle divinità fomoriche, che la mantengono nel mondo sottostante. Se l’acqua non fosse sfuggita al regno dei Fomori per un incidente o appositamente, nel mondo superiore non esisterebbero laghi e fiumi per l’irrigazione. È quasi sempre una figura femminile a catalizzare l’evento. Probabilmente la versione più famosa di questo mito nella tradizione celtica è il racconto irlandese del Pozzo di Segais.
Questo pozzo apparteneva a Nechtan (“Grande Nipote), il cui nome proviene dalla stessa radice del latino Neptunus (Nettuno era un dio delle fonti prima di essere assimilato al greco Poseidone, trasformandosi così in un dio del mare) e si riferisce in genere all’antico concetto indoeuropeo del dominatore dell’acqua come “Nipote delle Acque”. Sul pozzo di Nechtan facevano ombra i nove noccioli della saggezza, i cui frutti cadevano nell’acqua e le davano la qualità dell’illuminazione divina, molto ricercata dai bardi (le nocciole sono inoltre mangiate dal salmone nello stagno, impregnando la sua carne della stessa qualità). Soltanto Nechtan e i suoi tre coppieri Fleasc, Lamh e Luamh avevano il permesso di avvicinarsi al pozzo. Ma la dea Boann (Bó-fhionn, la “Mucca Bianca”) desiderò bere dal pozzo per aumentare il proprio potere. Si avvicinò a esso in segreto, ma il pozzo esplose di fronte alla sua presenza non autorizzata e inondò la terra, scorrendo infine verso il mare nella forma del fiume Boyne, in cui lo spirito di Boann avrebbe dimorato di lì in avanti. La stessa storia si raccontava circa le origini degli altri fiumi (fra cui lo Shannon), ma il Boyne era chiaramente considerato il primo e principale tra tutti i fiumi, addirittura il Drumchla Daimh Díle (“Tetto dei Diluvi”), fonte reale di tutti i fiumi del mondo; in tal senso, il mito della sua origine deve essere considerato come il mito dell’origine di tutte le acque. E sebbene a un certo livello la storia sembri terminare tragicamente per Boann, il cui piano era stato sventato, in realtà ella assume il ruolo di nutrice e di donatrice di vita della Dea-Terra favorevole alla Tribù umana. Boann pare incarnare il ruolo di un Prometeo femminile che ruba tesori vitali dal regno degli déi per renderli accessibili ai mortali.
Dato che durante questo periodo lunare si celebra la festa di Imbolc, e poiché Brigid è la stessa Dea-Terra la cui energia ispira la Tribù, è idoneo considerare la sua mitologia accanto alla storia del diluvio e osservare i riferimenti incrociati che appaiono. Nella tradizione celtica il collegamento di fuoco e acqua (due opposti apparentemente polari) diviene la rappresentazione simbolica primaria della fertilità e della guarigione. Brigid accende il fuoco nella terra (ed è anche il potere del sole che dà la vita), ma è inoltre la custode delle falde acquifere della Terra, e invia fiumi e sorgenti a compiere la loro missione di fertilità. Brigid è quindi patrona sia del fuoco che dell’acqua, e trae da questo i suoi attributi. Va notato che anche i “Nipoti delle Acque” della cultura vedica e persiana (legati a Nechtan dalle stesse radici indoeuropee) esprimono questa stessa idea di “fuoco nell’acqua”.
L’ultima, lunga parte della metamorfosi invernale che porta alla primavera è solitamente un periodo di neve e di pioggia abbondanti. Man mano che i giorni si allungano e la maggiore quantità di luce impedisce al gelo di entrare nelle profondità della terra, quest’abbondanza d’acqua riesce a percolare nel terreno, ammorbidendone la composizione e preparandolo a nutrire le piante che si stanno lentamente risvegliando. E in effetti, poco tempo dopo la scomparsa di questa luna, iniziamo a vedere i primi segni del risveglio: crocus e narcisi selvatici emergono tra la fanghiglia del disgelo. Tradotto nei termini del nostro mondo interiore, utilizziamo le proprietà acquose di questa stagione per compiere il disgelo nei nostri spiriti, conducendoli fuori dalla loro rigidità invernale e preparandoli per la modalità samos di crescita e di espansione.
Così, mano a mano che la luna cresce, acquisiamo consapevolezza della raccolta delle acque nelle profondità amorfe e senza dimensione della Casa di Tethra; percepiamo la loro crescente  pressione contro la barriera di terreno inerte, la loro brama di esprimere una manifestazione cosciente
.

V - Il Vento
(18 febbraio – 17 marzo)
Am gaeth i m-muir

Benvenuta, Luna del Vento!
Forti venti soffiano sulla terra desolata
animando di vita le acque col loro respiro.
facendo di noi strumento di creazione

Forti venti si alzano man mano che l’anno si sposta verso l’Equinozio. Il “vento pazzo di marzo” spazza via le foglie e i rami morti che ingombrano la superficie del terreno, esponendone una parte più grande alla luce crescente; tutto questo ha però anche un significato mitologico. In molte culture, il concetto dello spirito è collegato metaforicamente al respiro: il latino spiritus, per esempio, e l’ebraico ruach, che nel resoconto biblico della creazione “aleggia sopra le acque”; il vento che somiglia al respiro di un essere vivente è in realtà il soffio di vita di un grande Potere che sta dietro all’intero mondo naturale, ed è così manifestazione anche del suo aspetto creativo. I Celti condividevano questo linguaggio simbolico (l’antico celtico anatlon, “respiro” è chiaramente collegato ad anatiâ, “anima”), di modo tale che, in termini mitologici, una forte folata di vento indica l’infusione dell’anima e del potere creativo. Nel Lebor Gabála i Tuatha Dé Danann, che sono déi della creatività cosciente, appaiono improvvisamente in Irlanda provenienti dall’aria, su nuvole portate dal vento. Nel Preiddeu Annwn, il Calderone dell’Altromondo della creatività viene alimentato (“ispirato”) dal respiro delle nove fanciulle (o anadyl naw morwyn) che sono la Dea manifestata in nove aspetti.
Seguendo la sequenza di questo immaginario nel conto delle nostre lune, scopriamo che il “vento sul mare” segue in modo logico la manifestazione del lago nella pianura. Le acque sono sfuggite dall’abisso fomorico portando l’essenza della fertilità nella luce del giorno, ma rimangono inerti, senza direzione né scopo. Ora lo spirito, il Vento Divino, deve insufflarsi nel loro fertile potenziale, instillando nelle acque l’idea della crescita. Dal punto di vista della nostra reazione soggettiva a questo punto del ciclo annuale, dobbiamo consentire al nostro sé interiore, scongelato e irrigato dall’esperienza della luna precedente, di aprirsi al dono dello Spirito. Ora siamo pronti a contemplare la creatività futura, il ritorno dell’azione cosciente.
Con questa luna quindi, ritorniamo nuovamente alla vita ricevendo il Soffio Divino, che ci prepara per la prossima lunazione.
Mentre la luna cresce, diveniamo consapevoli dell’assemblea dei venti, i quali soffiano da quelle regioni dell’Altromondo in cui ha sede l’energia samos. Inseguendo le nuvole scure delle tempeste di marzo, essi portano con sé gli dei della coscienza e della personalità, le divinità dell’attività manifesta. Con la luna piena percepiamo appieno la portata del vento su di noi, assaporiamo la vita che respira dentro di noi, il potere che esso ci conferisce, così perfettamente idoneo ai contenitori psichici che abbiamo preparato. E mentre la luna cala, continuiamo a far entrare in noi lo Spirito col nostro respiro, raccogliendo e compattando la nostra forza per il nuovo ciclo di lavoro che sta per arrivare
.

VI - La Lacrima Solare
(18 marzo – 14 aprile)
Am dér gréne

Benvenuta, Luna della Lacrima Solare!
I primi giorni di calda luce irrompono nel tempo del freddo,
la terra è sveglia, giovani germogli si distendono verso il sole.
Tracciamo i nostri sogni nella luce
.

Passato l’equinozio, nella seconda metà del trimestre primaverile trova alfine piena realizzazione l’invocazione del fuoco. L’acqua, supporto necessario della vita, si è diffusa sulla Terra, ricevendo quindi un’anima (seme) dallo Spirito dei venti divini. Questo seme ora nasce, si manifesta, e si apre al nutrimento appassionato della fiamma solare.
Il fuoco nell’acqua è la metafora principale della guarigione, dell’energia di affermazione della vita nella tradizione celtica. A questo punto dell’anno, il fuoco viene a vivificare l’inerte freschezza dell’acqua, a trasformare la vita potenziale in vita reale, fungendo da catalizzatore di nascita. Una goccia liquida, una lacrima caduta dal sole esprime le amichevoli qualità di questo fuoco in forma acquea.
I germogli appena risvegliati, bucando il disgelo del terreno alla ricerca del sole, sono come versioni condensate, abbreviazioni delle piante che diverranno in futuro, quando fusto, rami, foglie e fiori si saranno differenziati e avranno assunto le loro proprie funzioni. Così i nostri progetti creativi devono ora esistere in forma immaginativa (programma dei nostri scopi), prima di poter assumere la forma materiale prodotta dall’interazione della nostra volontà con le circostanze del mondo. Ciò che creiamo deve esprimere i nostri desideri più profondi, quello che la nostra natura essenziale brama ardentemente, ciò che darà vita ai nostri talenti nel modo più autentico: per scoprirlo dobbiamo usare il potere della nostra immaginazione, il Calderone su cui hanno soffiato le nove incarnazioni della Dea e che è ora riscaldato dalla fiamma solare. Facciamo uno sforzo per esporre le regioni oscure in cui sono nati i nostri sogni alla luce del giorno, al principio samos, così che i desideri possano rivelarsi come immagini che diverranno poi il fulcro
di attività creativa.
Così, man mano che la luna cresce, percepiamo il confortevole calore del sole filtrare nel nostro essere, nella forma di una grande goccia di fuoco liquido. Durante la luna piena lasciamoci scaldare e illuminare completamente, invitando quella chiarezza a raggiungere i recessi più oscuri delle nostre anime, senza temere nulla. Durante la luna calante osserviamo ciò che abbiamo liberato sorgere dalle profondità fomoriche e aprirsi alla vita
.

VII Il Falco
(15 aprile – 12 maggio)
Am séig i n-aill

Benvenuta, Luna del Falco!
L’araldo dell’estate è là fuori sulla Terra,
i fiori si gonfiano ed esplodono, l’inverno arretra.
Diveniamo campioni-guerrieri della luce,
aprendo la strada ad un gioioso trionfo dentro di no.

Il Falco è il secondo dei quattro animali sacri citati nella composizione di Amairgen. In altri contesti al suo posto vi è solitamente un’aquila, come nelle storie di Fintan Mac Bóchra e Tuan Mac Cairill; ma l’antico termine irlandese séig pare denotasse una varietà di uccelli da preda, fra cui probabilmente l’aquila. Siamo di nuovo di fronte a una rupe, confine tra le metà luminosa e oscura dell’anno, poiché in questo mese attraversiamo di nuovo tale barriera. Ma le sue caratteristiche sono cambiate: invece della tetra scogliera marina su cui battono le onde, protesa sulla buia incertezza dell’oceano invernale, esso ora porta alla sicurezza della terra fertile e illuminata dal sole, e vi si posa il Falco della coscienza risvegliata – come quello che videro Mael Dúin e i suoi compagni mentre facevano vela sui mari dell’Altromondo, il Falco di una delle ultime isole che visitarono e da cui seppero di essere vicini alla nativa Irlanda.
I falchi appaiono con ruoli diversi nella tradizione celtica: il figlio che Brigid ha avuto da Bres Mac Elathan si chiama Ruadhán (“il Rosso”), che può anche significare “gheppio” o “sparviero” (e potrebbe esserci molto di più di quanto appare nello sparviero offerto come nobile premio nel racconto Geraint ac Enid). Ma forse il riferimento più significativo è quello del nome Gwalchmai (“Falco di Maggio”), uno dei principali compagni di Artù nella tradizione gallese. Gwalchmai assiste l’eroe Culhwch nel conquistare la Fanciulla dei Fiori Olwen strappandola al padre Gigante Biancospino in uno dei più noti miti relativi a questa stagione; dai romanzi continentali (dove egli è noto come Gawain, forse dal cornico Gwalghwynn o dal bretone Gwalc’hwenn, “Falco Bianco”) è evidente che egli era un tempo il protagonista principale di tali cerche. Il “Falco di Maggio” è considerato il catalizzatore finale nel cambiamento da giamos a samos: è la sua azione decisiva e piena di volontà a liberare le energie della crescita della Terra dal suo esilio sotterraneo e a permettere di manifestarsi all’amorosa stagione piena di attività che è l’Estate. Che poi sia il Maponos o no (al solito, la tradizione celtica rifiuta di essere categorica su un punto del genere), egli fornisce comunque l’impeto iniziale che porterà al trionfo del Maponos.
Anche noi cominciamo a desiderare l’azione sentendo il potere di questa vasta presenza attiva che spazza la Terra: il marc’hek glas, il gigantesco cavaliere verde della primavera, che Per-Jakez Hélias presenta in un famoso poema come una tradizione di sua nonna. Avendo gradualmente ricevuto potere dall’essenza di acqua, aria e fuoco durante la nostra permanenza nel ventre-calderone della Dea, siamo ora completi, pronti a rompere i nostri gusci protettivi e ad esprimere le nostre volontà. Seguendo il passaggio della Terra nella modalità samos, manifestiamo ora all’esterno le energie che conservavamo dentro di noi.
Nel periodo di crescita della luna diveniamo consapevoli della rupe che si avvicina, dietro la quale vi è la Terra, verde e invitante, pronta a soddisfare i nostri desideri. In cima alla rupe attende il Falco di Maggio, in qualità di sentinella e di faro. Con la luna piena raggiungiamo la rupe e arriviamo faccia a faccia col Falco, identificandoci con lui e assorbendo la sua energia sconfinata e di battaglia. E mentre la luna cala, lo seguiamo nella sua cerca per liberare la Fanciulla dell’Estate, viaggiando in terre verdi e sempre più verdi, lasciandoci possedere dallo spirito dell’avventura.

Da: Il tempo dei celti. Miti e riti: una guida alla spiritualità celtica di Alexei Kondratiev

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