Vicino al centro del cerchio di pietre scorse un’area annerita e i resti di un fuoco. Percorse da est a ovest il perimetro del cerchio ed entrò da un punto leggermente più largo sul lato orientale. Fin dal primo passo capì di avere avuto ragione a proposito dell’energia di quel luogo, e più avanzava verso il centro e più forte diventava la sua percezione della forza che emanava dalla terra, tanto che quando giunse al centro del cerchio solo il suo addestramento le permise di restare in piedi.
Chiuse gli occhi e lasciò che i suoi sensi si immergessero nel terreno ancorandola al suolo e percepì il turbinio delle correnti di energia che si irradiavano in ogni direzione, più potenti verso sud-ovest e nord-est. Ma più forte di tutto era la percezione della vitalità che si sprigionava dalla terra sotto di lei, fluendo attraverso il suo corpo finché le sue braccia si alzarono spontaneamente e si tesero verso l’alto, facendo di lei un conduttore vivente tra terra e cielo.
Tiriki aveva pensato di usare quegli istanti per avanzare i suoi diritti su quella nuova terra, e invece si trovò a doversi arrendere.
“Sono qui… sono qui!” esclamò. “Cosa volete che faccia?”
Acuta come il vento, radiosa come il sole, salda come la terra sotto di lei, giunse la risposta.
“Vivi, ama… ridi… e sappi che sei la benvenuta, qui…”
Tiriki spalancò gli occhi esterrefatta, perché quella non era la voce del suo spirito, la udiva con le orecchie. Per un istante pensò furente che qualcuno l’avesse seguita fin lassù dall’accampamento, ma la donna davanti a lei, vestita di luce e tela di ragno, non l’aveva mai vista in vita sua.
Notando le membra snelle e la massa di capelli neri, pensò che si trattasse di un’abitante delle paludi… ma c’era qualcosa nella linea delle guance e della fronte, e ancor più nel modo in cui la luce obliqua giocava attorno alla sua figura, che rivelava senza ombra di dubbio che non si trattava di un essere del mondo mortale.
In un moto di istintiva reverenza, Tiriki chinò il capo.
“È un bel gesto”, disse la donna con un sorriso divertito eppure dolce, “ma io non sono uno dei vostri Dei. Io sono… ciò che sono.”
“Tu sei…” Il cuore le batteva tanto forte che non riusciva a parlare. Nel Tempio chiamavano quegli esseri devas, ma qui le parve più naturale riecheggiare le parole di Taret… “Tu sei una dei Luminosi…?”
Gli strani occhi della donna si allargarono e parve che la sua figura si alzasse un po’ da terra. “Così dicono alcuni”, concesse, senza abbandonare quell’espressione vagamente divertita.
“Ma come debbo chiamarti?” Seguì un breve silenzio e Tiriki sentì un formicolio, come se una mano delicata le avesse sfiorato l’anima.
“Se il nome ha per te tanta importanza, puoi chiamarmi…
“Senza dubbio alcuno!” esclamò Tiriki inginocchiandosi; quella donna poteva anche essere uno spirito, ma aveva la statura del popolo delle paludi e le pareva scortese guardarla dall’alto in basso. “Ma cosa devo offrirti?”
“Un’offerta?”
Tiriki sentì di arrossire. “La tua benedizione…” disse portando una mano sul ventre. Di certo la miglior protezione che poteva trovare era il favore di chi aveva potere in quel luogo. “Chiedo la tua benedizione per il mio bambino.”
“Ce l’hai…” fu la risposta, dolce come la fragranza dei fiori. “E ti prometto anche che, finché resterà fedele a questi luoghi sacri, la tua discendenza non si esaurirà mai.”
“A questa collina?”
“Il Tor è solo il sembiante esteriore, come il tuo ventre è il rifugio del tuo bimbo. Col tempo imparerai a conoscere i Misteri che racchiude:
Tiriki spalancò gli occhi. “E come imparerò queste cose?”
Sorrise e la luminosità intorno a lei si intensificò, finché Tiriki non vide altro che luce.
Io sono una Guardiana, disse quella parte della sua mente che riusciva ancora a ragionare, devo essere in grado di chiamare qualcuno, anche se il mio corpo è intrappolato qui…
Alla fine non poté fare altro che approfittare dei momenti tra una contrazione e l’altra per continuare a trascinarsi penosamente giù dalla collina.
“Alzati.”
La consapevolezza animale del dolore nella quale si era ritirata la mente di Tiriki udì il comando senza comprenderlo. In stato di semincoscienza, aveva continuato a strisciare. Ora piccole mani le avevano afferrato le braccia con forza sorprendente e la stavano mettendo in piedi.
“Ecco fatto… puoi camminare. Ti mostrerò la strada.”
“Chi sei?” gemette Tiriki, mentre una calda ondata di energia fluiva nel suo corpo attraverso quelle mani piccole e forti.
“Concentrati sui tuoi piedi!” fu la secca risposta, ma Tiriki si fermò scossa da un’altra contrazione.
“Bene”, disse il soccorritore. “Adesso respira dentro il dolore.” Era una voce di donna e, dalla dimensione delle mani, probabilmente si trattava di una delle abitanti della palude.
Forse, pensò Tiriki confusa, qualcuno che era salito fino al Tor per assistere all’accensione del fuoco del Solstizio… Non aveva idea di dove stessero andando in quella desolazione di rami che sferzavano l’aria e di pioggia battente, né da quanto tempo si trovassero in mezzo alla foresta. Ma poi la sua misteriosa compagna la condusse in una radura al di là degli alberi. Tiriki sentì il terreno pianeggiante sotto i piedi e odore di fumo di legna e percepì, più che vedere, la sagoma di un’abitazione.
Allora la sua guida chiamò, una serie di note liquide che sembravano il trillo di un uccello ma erano in realtà parole.
Una tenda di pelle si aprì e comparve una luce tremolante. Le mani della sconosciuta la lasciarono andare e Tiriki cadde tra le braccia di Taret.
“Grazie”, disse a Taret, “e devi portare i miei ringraziamenti alla donna che mi ha condotta qui. Senza il suo aiuto sarei morta. Sei stata tu, Liala? O magari Metia? O…”
“Cosa?” Liala aggrottò la fronte confusa. “Io ho fatto ben poco. È stata Damisa che ha cominciato a preoccuparsi quando non ti sei unita a noi alla festa e non riuscivamo a trovarti. Così sono venuta da Taret, sperando che lei potesse aiutarci. Ero appena arrivata quando abbiamo sentito le tue grida e ti abbiamo fatta entrare… ma credevo che fossi arrivata da sola!”
Il sorriso di Taret era una smorfia compiaciuta. “
Da: L’alba di Avalon di Marion Zimmer Bradley e Diana L. Paxson
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