martedì 24 aprile 2012

L'alba di Avalon



Nelle Nebbie di Avalon, di Marion Zimmer Bradley, Igraine ricorda un tempo in cui lei e Uter, sacerdotessa e sacerdote di Atlantide, assistettero alla costruzione di Stonehenge, nella piana di Salisbury. Naturalmente non si tratta di un’idea nuova: il folclore inglese è costellato di riferimenti a civiltà scomparse, che sono diventate la spiegazione ovvia per tutte le caratteristiche controverse del paesaggio inglese, come lo Zodiaco di Glastonbury o l’ancor più evidente sentiero a spirale attorno al Tor. Da Atlantide a Camelot, è tutto un fiorire di leggende di un’età dell’oro, del sogno fulgido di un regno di pace e armonia, potere e splendore, che fiorisce e prospera, per poi perire tragicamente.
Nelle Nebbie di Avalon, la Bradley ha raccontato la fine del regno di Artù ma, molto tempo prima di scrivere quel libro, aveva raccontato la storia di un regno assai più antico.
Di regola, alla Bradley non importava particolarmente mantenere una coerenza tra i suoi romanzi: il riferimento ad Atlantide nelle Nebbie di Avalon non è altro che il riconoscimento di qualcosa di più personale, il ricordo del suo primo libro, un romanzo cupo e arcano, dall’evocativo titolo di Web of Darkness (“Rete di oscurità”). I segni che caratterizzano questa sua Atlantide privata si riscontrano chiaramente nella magia ultraterrena di Avalon non meno che nei telepati darkovani dei suoi romanzi di fantascienza, e praticamente in tutti i personaggi (e le società) della sua narrativa dotati di poteri.
La prima stesura di Web of Darkness risale agli anni ’50: è una storia di misteri occulti, orgoglio, potere e redenzione e, soprattutto, di amore, ambientata nei templi dell’Antica Terra, madre dei Regni del Mare di Atlantide. Negli anni ’80, quando con l’affermarsi del mercato del fantasy era diventato possibile pubblicare quella storia, la Bradley era impegnata con altri progetti e così chiese al figlio David, che aveva letto la versione originale da bambino, di revisionarla. È stata proprio la conoscenza che David aveva di questo materiale a permettere alla Paxson di scrivere L’alba di Avalon.
Nel 1983, l’anno dopo il grande successo delle Nebbie di Avalon, Web of Light e Web of Darkness vennero pubblicati dalla Donning Press. In seguito, le due storie vennero raccolte in un unico volume e pubblicate dalla Tor  con il titolo di The Fall of Atlantis (tradotte in italiano con il titolo Le luci di Atlantide, Longanesi, 1991). Le vicissitudini dei protagonisti di quel libro portano alla nascita di due bambini che, secondo le profezie, sopravvivranno al cataclisma nel quale Atlantide è destinata a essere distrutta.
Mentre Diana L. Paxson lavora con Marion Zimmer Bradley alla revisione delle Querce di Albion, lei le disse di aver sempre avuto la sensazione che due dei personaggi principali, Eilan e Caillean, fossero la reincarnazione delle due sorelle, Deoris e Domaris, che nelle Luci di Atlantide legano se stesse e i loro figli alla Dea per l’eternità. Ne conclusero che i loro figli, Tiriki e Micail, erano riapparsi in quel libro come Sianna e Gawen. Da quel punto in avanti fu facile seguire la linea delle reincarnazioni attraverso Le nebbie di Avalon, Le querce di Albion, La signora di Avalon e La sacerdotessa di Avalon.
Era chiaro che c’era un collegamento tra Atlantide e Avalon. Com’erano periti i regni del Mare? E come avevano fatto i sopravvissuti al cataclisma a raggiungere le isole brumose del Nord, trovando il magico Tor che un giorno sarebbe stato conosciuto come l’Isola di Avalon? Non c’erano dubbi: un’altra storia attendeva di essere raccontata.

Da: L’alba di Avalon di Diana L. Paxson

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