mercoledì 16 novembre 2011

Il Graal - VIII


Riprendo il concetto accennato nella prima parte sul Graal, dove viene asserito che il contenuto del sacro calice non era il vino, ma il sangue o un estratto del sangue che gli alchimisti codificano da sempre col termine “sale” e che si identifica con quel calice di amarezza che Gesù per un momento non volle bere.

In un suo studio sul simbolismo della quaternità, (in C.G. Jung: La simbolica dello spirito, Einaudi , Torino, 1975) Jung prende in considerazione le polarità:

Spirito Santo
Padre Figlio
Maria

e considera Maria come polarità femminile della SS. Trinità a causa del suo rapporto con lo Spirito Santo, che la rende il vaso puro che può generare l’essere che realizza in sé le due nature: l’umana e la divina. Jung rileva che alla rappresentazione di Dio trino corrisponde spesso un Satana Tricefalo, che appare come Umbra Trinitatis, avversario di Cristo e Signore della Materia e della molteplicità. Solo l'integrazione delle qualità del principio femminile, rappresentate da Maria, può riunificare e pacificare l'anima umana, che è il teatro del lacerante conflitto tra i princìpi opposti. Così l'Assumptio Beatae Mariae comporta il passaggio del corpo materiale e mortale, soggetto allo spazio e al tempo, al regno dei Cieli. Maria incarna la possibilità data all'uomo di sottrarsi al dominio del Principe di questo mondo e di reintegrarsi nel principio creatore e trinitario. Negare o rimuovere questo archetipo in quanto principio attivo in noi, significa rinunciare a quell'amore verso l'alto che unifica e rende elevata e piena di senso la nostra esperienza terrena. Nel linguaggio della psicoanalisi junghiana l'uomo, rimuovendo il principio femminile salvifico e sapienziale legato a Maria, condanna se stesso a doverlo vivere attraverso la propria Ombra. La costellazione archetipica della quale abbiamo fin qui parlato viene allora ad assumere caratteristiche sataniche e lavora per la frammentazione e la dispersione dell'esistenza e dei rapporti. L'archetipo mariano, al contrario, opera attraverso l'amore, secondo la via del cuore e tende a realizzare l'integrazione e l'armonizzazione degli opposti che si agitano nell'anima e a dissolvere le barriere innalzate tra gli uomini dalla brama di potere e dalle distinzioni di razza e di censo.
In questo senso la Vergine Maria, il calice destinato ad accogliere il Cristo sulla terra, viene accostata al santo Graal, il calice con cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sgorgavano dal costato di Gesù crocefisso. Secondo la leggenda il Graal fu intagliato all’inizio dei tempi in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, quando questi si ribellò a Dio (lo stesso calice era denominato da Wolfram Von Eschembach lapsit exillis, cioè pietra esiliata, da exilium, o caduta dai cieli, da ex coelis, stesso nome dato alla loro Pietra dagli alchimisti). Il Graal rappresenta, nell’uomo, lo spazio sacro del cuore, destinato ad accogliere il Verbo, il calice invisibile che custodisce il senso interiore della tradizione cristiana. Nel mondo esterno rappresenta la Chiesa in quanto custode nel mondo della stessa tradizione, in quanto Gerusalemme terrena che può condurci a quella celeste, cioè all’aspetto iniziatico della tradizione. Narrava ancora la leggenda che la coppa del Graal scomparve dalla terra e che i cavalieri della Tavola Rotonda si proposero come mèta suprema di ritrovarla. Questo pellegrinaggio verso la Terra Santa, questo vagare nel labirinto del mondo alla ricerca del Centro e della Parola Perduta è destinato al fallimento se il viaggio non diventa anche un cammino interiore.
Anche gli alchimisti parlavano di una terra Vergine, resa feconda da un seme spirituale e destinata a partorire la loro Pietra, una terra vergine che spesso essi identificavano con il Sale della Sapienza.
Il culto della Vergine fu considerato dagli alchimisti come una allegoria del loro Magistero e le cattedrali gotiche francesi, veri templi eretti all’arte alchemica, sono quasi tutte consacrate a Notre Dame, cioè a Maria. Come esempio di linguaggio “alchemico” nel culto mariano Fulcanelli, nelle “Dimore Filosofali”, cita l’epistola che viene letta alla messa dell’Immacolata Concezione: “Il signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora e io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era ancora stata formata; io ero già nata prima delle colline. Egli non aveva ancora creato né la terra, né i fiumi, né consolidato la terra mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”. (Si osservi la straordinaria somiglianza con l’inno a Iside citato da Apuleio nell’”Asino d’oro”).
Il culto di una dea vergine che partorisce un bambino è comunque antecedente alla nascita del cristianesimo. Da Semele, la madre di Dioniso, ad Iside (in una delle possibili etimologie il nome viene fatto derivare dal greco Isha, Vergine), sono numerosi gli esempi delle Vergini madri. A questo proposito nella sua “Storia delle credenze e delle idee religiose” Mircea Elide scrive: “La teologia di Maria, della Vergine Madre, riprende a perfezione le antichissime concezioni asiatiche e mediterranee della partenogenesi (capacità di autofecondazione) delle grandi dee (Hera, Cibele). La teologia mariana rappresenta la trasfigurazione dell’omaggio più antico e più significativo che si sia mai reso, dalla preistoria, al mistero religioso della femminilità: la Vergine Maria verrà identificata, nel cristianesimo occidentale, con la figura della Sapienza divina, mentre la chiesa di Oriente svilupperà accanto alla teologia della Teokotos, la Madre di Dio, la dottrina della sapienza celeste Sophia, nella quale si manifesta la figura femminile dello Spirito Santo.”
L’arte sacra dei primi cristiani, che rappresenta la Vergine con il bambino Gesù tra le braccia, sembra aver tratto ispirazione dal culto di Iside che culla il piccolo Horus (la cui nascita veniva celebrata la notte del 24 dicembre, data anche della nascita di Mitra, il sol invictus dei misteri mitraici di origine persiana, che nasceva in una grotta da una pietra). Anche Fulcanelli (nel “Mistero delle Cattedrali”, ma cfr anche J. Baltrusaidis, “La ricerca di Iside”, Adelphi, Milano, 1985) ritiene che il culto delle Madonne nere si sia innestato su un preesistente culto isiaco, mantenendo talvolta invariati anche gli oggetti di culto (immagini e statue della dea reinterpretate come raffigurazioni della Madonna). Anche Vesta o Hestia (dal sanscrito Was, abitazione) era una dea vergine della terra a cui erano sacri sia il focolare domestico che il fuoco sacro della città, l’estinguersi del quale era ritenuto un segno inequivocabile dell’avvicinarsi di una calamità.
Le sacerdotesse di Vesta, le vestali, dovevano essere vergini e mantenersi caste durante tutta la durata del loro ufficio, pena la morte. Avevano il compito di custodire il fuoco sacro e il Palladium (una statua della vergine Atena armata di lancia) oltreché i simulacri dei Penati e altri oggetti sacri in un luogo di forma ottagonale in cui nessun uomo poteva penetrare. Nelle loro cerimonie non potevano usare l’acqua degli acquedotti ma solo quella piovana e delle sorgenti. Le statue di Vesta venivano poste nelle abitazioni all’entrata (da cui, secondo Ovidio, il termine vestibolo) e la dea era raffigurata con in mano una coppa, il Palladium o una torcia.
Nelle “Dodici chiavi della filosofia” di Basilio Valentino, nella quarta chiave è raffigurato uno scheletro in piedi su un catafalco, accanto al quale arde una candela, e, vicino allo scheletro, un tronco di quercia essiccato. Nel simbolismo alchemico la quercia cava raffigurava il “forno filosofico” entro il quale veniva cotto l’uovo filosofico, cioè il recipiente entro il quale si realizzava la trasmutazione alchemica. La figura di Basilio rappresenta l’estrazione del “Sale filosofico”, quel sale che ha il potere di preservare per sempre dalla putrefazione ciò con cui viene a contatto. Un simile Sale, ci dice Valentino, “È inutile se il suo interno più profondo non è scoperto ed il suo esterno spinto al centro”. Il Sale viene liberato dalla cenere ottenuta con la combustione e dev’essere poi unito allo Zolfo e al Mercurio che originariamente appartenevano al corpo non purificato. In tale modo diviene possibile ricostruire, con l’aiuto del fuoco, ciò che distruzione e dissezione avevano dissolto, ma il nuovo corpo, a differenza del vecchio, è un corpo immortale.
Nel “De confectione Lapidis” Rupescissa definisce il Sale come “L’acqua coagulata dalla secchezza del fuoco”; Mylius lo chiama “Il diadema del tuo cuore” e nello stesso modo viene definito da Senior nel “De Chemia”. Per Senior il Sale è anche, alternativamente, “il corpo bianco della cenere” o “la terra bianca fogliata che va separata dalla terra dannata e nera”, cioè dalla parte impura, pesante e malvagia della terra. Lo stesso Senior in “Artis auriferae”, spiega come il Mercurio dei filosofi si fabbrichi dal Sale: “...dapprima diventa cenere, poi Sale, e dal Sale, mediante diverse operazioni, il Mercurio dei Filosofi”.
Molti autori credono che nel Sale siano fusi sia lo Zolfo che il Mercurio, tanto che alcuni lo chiamano Rebis, “la cosa doppia”, un appellativo che, peraltro, veniva riferito talvolta allo Zolfo, talvolta al Mercurio. Infine il testo ermetico “Tractatus aureus”, contenuto nel Musaeum Hermeticum, così ammonisce l’alchimista che pretenda di portare a termine il suo Magistero senza servirsi del Sale: “Colui che opera senza Sale non ridesterà i corpi morti, colui che opera senza Sale tende un arco senza corda. Perché voi in effetti dovete sapere che i saggi hanno bisogno di un Sale assai diverso da questi minerali volgari”.
È interessante anche notare il rapporto costante che esiste tra il sale e l’oro, tanto in alchimia quanto nella geografia sacra.
E il sale è proprio una delle chiavi di quello che si è convenuto di chiamare l’affaire di 

Rennes-le-Château. D’altronde, il nome di Magdala deriva esso stesso dall’arabo magdal, che significa “pesce sotto sale”, in alcune fonti antiche viene denominata in ebraico Migdal Nunya (torre del pesce), l’athanor è chiamato anche torre. Questa persistente continuità viene confermata da Santa Maria Maddalena, le cui lacrime sono redentrici. In effetti, su un’incisione risalente al XVI secolo si può vedere la Santa in Provenza, a Sainte-Baume: la caverna scavata nella falesia domina un piccolo fiume menzionato sotto il nome di… Salins, e nel quadro si può osservare uno stendardo recante una croce templare

Da: http://www.fuocosacro.com/pagine/gnosticismo/vergineanima.htm
Jules Verne e l’esoterismo di Michel Lamy


3 commenti:

  1. Grazie per il commento al mio post! Ultimamente non scrivo molto, periodo difficile che mi fa perdere la voglia, ma comunque leggo sempre. Il tuo blog è al primo posto tra i miei preferiti. Ciao.

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  2. Grazie a te per la tua preferenza, è un onore, sei un'anima bella e pura, lo dico senza piaggeria, grazie a te comincio a comprendere il significato della mia solitudine e mi pesa meno, anch'io non faccio parte di nessun branco.
    Mi spiace per il periodo difficile che stai attraversando, spero che tutto si aggiusti. Anche per me ci sono cose che non vanno, dove potrei contattarti in privato? non è per iniziare una corrispondenza regolare che te lo chiedo, non ne avrei nemmeno il tempo, vorrei solo parlarti di alcune cose... Ciao

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  3. Puoi scrivere alla mia email: iruka84@tiscali.it

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