lunedì 7 novembre 2011

Reitia - La Dea Madre dei Veneti

La Chiave di Reitia, ritrovata a Ca' Oddo di Monselice. Risale al V secolo a.C
Reitia è la divinità somma nella religione dei Veneti, ciò significa che abbraccia tutta la natura e che non esiste nulla al di fuori né al di sopra di lei.
Oltre il nome e la forma, oltre il tempo e lo spazio, è l’Unica Forza che trae sostegno in se stessa e dalla quale ogni altra è nata e ciclicamente ritorna.
Ha il dominio sul succedersi delle stagioni ed è chiamata tessitrice, cioè colei che tesse la tela della vita.
È la Dea madre del parto, tanto che i Greci la paragonavano alla loro Artemide, protettrice delle levatrici, e sempre come Artemide è signora degli animali selvaggi e dei boschi. È strettamente legata all’elemento acqua, come diverse dee femminili. Risanatrice e compassionevole, è principalmente una divinità taumaturga, cioè guaritrice, tanto è vero che il suo epiteto completo è Pora Reitia Sainate. Pora è la divinità degli Euganei, il popolo che i Veneti hanno trovato migrando dalle pianure a sud del Baltico e con i quali sembra si siano fusi pacificamente, tanto da adottare il doppio nome per la loro divinità. Sainate significa sanante, “colei che guarisce”. Ad Este esisteva una famosissima scuola di scrittura, Reitia può quindi essere anche associata alla scrittura e, come il Dio egizio Thot, è preposta alla saggezza e alla conservazione della memoria. Suoi compagni inseparabili sono il lupo mite, l’anatra e la chiave magica.
È inoltre associata al passaggio, sia spirituale che fisico; il passaggio spirituale di una vita di una persona può essere per esempio quello dall’infanzia all’età adulta, dalla condizione di single a quella coniugale, o il momento della morte, vista semplicemente come un passaggio da un tipo di esistenza ad un’altra, mentre il passaggio fisico può essere un guado oppure un passo montano, si pensi al Passo Resia che è il nome latinizzato di Reitia.
Per capire da dove viene Reitia bisogna partire da molto lontano. La culla della Grande Dea è Babilonia ove il suo primo nome fu quello della sensuale Inanna. Presso i Greci prese il nome di Gea - la Terra, ovvero colei che ha creato l'universo dal Chaos (creazione simboleggiata dall’Ouroboros che si morde la coda) senza intervento maschile. Gea generò i sette Titani (padroni delle rispettive potenze planetarie dell’epoca che corrispondono ai 7 metalli alchemici) e la figlia anatolica Cibele.
Presso i Romani Cibele veniva chiamata Rea e Rea Silvia (detta anche Ilia per la sua provenienza anatolica) ed è la madre dei gemelli allattati dalla lupa. Ebbene, Reitia è la Rea Silvia veneta, e non per nulla compare un lupo nelle sue raffigurazioni e anche la chiave (che è simbolo di Cibele). Dunque si tratta di un’unica Dea che ha assunto diversi nomi nel tempo ma che in essenza è sempre la stessa.
La chiave di Reitia si credeva perduta per sempre a causa dell’avvento del Cristianesimo. Fortunatamente questa chiave pratica ed operativa si è salvata grazie al suo mascheramento all'interno della dottrina alchemica, di cui parimenti costituisce il fondamento poiché Bisanzio fu a lungo miniera d’innumerevoli manoscritti alchemici che, radunati dalle rovine di Alessandria d’Egitto, prendevano il mare per Venezia.
In realtà essa è un caduceo stilizzato ed ha il potere di aprire agli iniziati i sette cancelli che conducono alle dimore dei Titani, come abbiamo visto i sette pianeti, i sette metalli collegati, ma anche i sette centri di forza lungo l’asse della colonna vertebrale, i chakra. La coppia di serpenti attorcigliata nel Caduceo è attorcigliata a questi sette centri di forza.
Robert Graves ne I miti greci riporta che la Dea creatrice creò le sette potenze planetarie e mise a capo di ciascuna un titano e una titanessa: Iperione e Tia al Sole, Atlante e Febe alla Luna, Ceo e Meti a Mercurio, Eurimedonte e Temi al pianeta Giove, Crio e Dione a Marte, Oceano e Teti a Venere, Crono e Rea (Reitia) a Saturno.

Come potrebbe essere il rito di solstizio d’estate di una sacerdotessa di Reitia
Una volta raggiunta la sua meta, Benetika smontò e si sedette a gambe incrociate sull’erba, guardando verso oriente, laddove il cielo era striato delle varie tonalità di rosa di una splendida aurora. Pochi minuti dopo, il primo raggio di sole oltrepassò l’orizzonte lontano e colpì Benetika negli occhi. Allora la sacerdotessa sollevò le mani con i palmi rivolti al sole che sorgeva e gridò:
“Salute a te, o sole, nel giorno del tuo massimo splendore!”
Proprio in quel momento, risuonò il grido di un’aquila proprio sopra di lei. Benetika alzò di scatto lo sguardo e scorse ben tre di quei fieri uccelli che volavano in cerchio esattamente sulla sua verticale. Un istante dopo, s’involarono in direzione del sole sorgente, scomparendo rapidamente dalla vista.
Benetika sorrise: l’aquila era un animale solare, e vederne addirittura tre – numero sacro – in quel frangente era un ottimo presagio.
A quel punto chiuse le palpebre e sintonizzò le proprie energie con quelle del sole davanti a lei e della terra sotto di lei, i due elementi che simboleggiavano il Dio e la Dea, di cui a Beltane erano state festeggiate le Nozze Sacre e che al solstizio proclamavano la loro fertilità, che si rifletteva nella fertilità terrena di esseri umani, animali e vegetali, per poi giungere alla maturazione a Lughnasad, all’inizio di agosto, quando il grano sarebbe stato mietuto o pronto per la mietitura, a seconda della latitudine.

Celebrazione al tramonto
Benetika proseguì da sola verso la catasta di legna che, secondo le sue istruzioni, era unicamente di quercia; appoggiata sui grossi sassi che delimitavano il fuoco, c’era una torcia ben impregnata di resina e da lei precedentemente consacrata, ed accanto ad essa un cesto colmo delle erbe da offrire al fuoco, nonché acciarino e pietra focaia.
Come prima cosa, la sacerdotessa girò attorno alla catasta di legna per tre volte in senso orario, in tal modo consacrando l’area in cui sorgeva. Poi, orientandosi con la luce del sole declinante, individuò la prima direzione, quella dalla quale partiva sempre, ovvero l’est, e si girò in conseguenza.
“Leggiadra Reitia, io ti vedo seduta ad oriente, ti vedo seduta nel vento. Sei l’aria che respiro, sei saggezza, sei intuizione. Sei la brezza che accarezza l’erba, sei la bufera che spazza la pianura. Guardiana dell’Est, vieni a noi, assisti al nostro rito!”
Si inchinò profondamente, poi si mosse alla propria destra e si posizionò verso sud:
“Appassionata Reitia, io ti vedo seduta a meridione, ti vedo seduta nel fuoco. Sei il calore del mio corpo, sei movimento, sei trasformazione. Sei la fiamma confortante della candela, sei l’incendio che devasta la foresta. Guardiana del Sud, vieni a noi, assiti al nostro rito!”
Dopo essersi nuovamente inchinata, continuò alla propria destra fino a rivolgersi verso ovest.
“Potente Reitia, ti vedo seduta a occidente, ti vedo seduta nel mare. Sei l’acqua del mio corpo, sei compassione, sei guarigione. Sei la sorgente che sgorga dal terreno, sei il nubifragio che si abbatte sui campi. Guardiana dell’Ovest, vieni a noi, assisti al nostro rito!”
Di nuovo si inchinò prima di proseguire il giro, fino a fermarsi rivolta a nord:
“Generosa Reitia, ti vedo seduta a settentrione, ti vedo seduta nella terra. Sei le ossa del mio corpo, sei creazione, sei prosperità. Sei la pianura sconfinata, sei la più alta delle montagne. Guardiana del Nord, vieni a noi, assisti al nostro rito!”
Inchinatasi, Benetika concluse il suo periplo tornando al punto di partenza, ma rivolta verso la catasta di legna e sollevò le braccia ed il viso verso l’alto:
“Divina Reitia, ti vedo seduta in alto, ti vedo seduta nel cielo. Sei il nostro spirito, sei speranza, sei desiderio. Guardiana dell’Universo, vieni a noi, assisti al nostro rito!”
Tacque, abbassando le braccia e chinando il capo nell’ultimo inchino. In tutta la radura non si udiva un fiato: tutti erano rapiti dall’emozione del rito. Perfino oche e galline, cani e gatti non emettevano suono.
Benetika si accovacciò ed accese la torcia, che prese subito fuoco. Ripose acciarino e pietra focaia nel cesto delle erbe, poi alzò e sollevò la fiaccola alta verso il cielo, prima di riabbassarla e spingerla dentro una fessura fra i ciocchi di quercia, dove era stata posta della paglia secca cosparsa di resina. Subito si levò una lunga lingua di fiamma che cominciò a lambire la legna. Benetika girò attorno alla catasta, appiccando il fuoco dalle quattro direzioni per tornare nuovamente al punto di partenza che le fiamme cominciavano già a crepitare. A quel punto, gettò la torcia in cima alla catasta e prese il cesto, allontanandosi dal calore del fuoco che cominciava a diventare intenso.
“Questo è il fuoco del solstizio!”, annunciò con voce potente, come le usciva solo durante i riti – la chiamava la Voce della Dea “Con esso celebriamo il momento di massimo fulgore del sole, ed allo stesso tempo ricordiamo che è anche il momento in cui inizia il suo declino. La parte crescente dell’anno è terminata, ed inizia quella calante che ci porterà al solstizio d’inverno. E come in ogni momento di passaggio, di cambiamento, questo è un momento in cui regna il caos, il benefico caos da cui è nata la vita, e che rigenera l’Universo e noi stessi. Qui, in omaggio al popolo celtico, di cui i Boi facevano parte, Benetika aveva deciso di inserire un’usanza dei druidi, “Il Re della Quercia cede il posto al Re dell’Agrifoglio, che governerà questa parte dell’anno.”
Si fecero avanti due uomini, nei panni del vecchio Re della Quercia e del giovane Re dell’Agrifoglio che iniziarono un duello. Alla fine, il vecchio re venne vinto e cadde a terra. Benetika si fece avanti:
“Il vecchio Re della Quercia è sconfitto. Ora si recherà a dimorare nel Castello di Arianrhod fino al momento di ritornare, quando verrà a sfidare il Re dell’Agrifoglio, al solstizio d’inverno.”
Il giovane Re dell’Agrifoglio si inchinò al vecchio Re della Quercia per rendergli omaggio, poi a Benetika, ed infine sollevò le braccia in segno di vittoria. I presenti lo acclamarono rumorosamente.
Mentre i due si allontanavano dopo aver interpretato il duello rituale che simboleggia l’alternarsi delle stagioni, la sacerdotessa tornò ad avvicinarsi al fuoco. Prese una manciata di erbe dal cesto: timo, ruta, maggiorana, ginepro, artemisia, camomilla, verbena, calendula e iperico.
Alcune le aveva trovate nel bosco qualche giorno prima, altre le aveva prese dalla sua riserva di piante medicinali. Erano tutte piante dalle note virtù terapeutiche, che avevano un particolare potere proprio durante il periodo del solstizio estivo.
Benetika rifece ancora una volta il periplo del fuoco, gettando manciate delle prodigiose erbe nelle fiamme fino a svuotare il cesto. Poi lo posò e rifece al contrario le invocazioni, stavolta con una formula di ringraziamento e commiato. Quella finale fu quindi rivolta all’est:
“Leggiadra Reitia, ti ho vista seduta ad oriente, ti ho vista seduta nel vento. Guardiana dell’Est, ti ringrazio di essere venuta ad assistere al nostro rito, e ti saluto.”
Con tale invocazione, la sacerdotessa fece un ultimo inchino e procedette a sconsacrare girando in senso antiorario, infine tornò in mezzo alla gente.

Variante del rito, a mezzogiorno intorno ad un braciere (un falò di giorno manderebbe troppo caldo e non sarebbe una visione suggestiva come di notte):
assieme alla Dea la sacerdotessa invoca anche gli animali a Lei associati:
il cinghiale per l’oriente, che avanza con Reitia sulle ali del tiepido vento di primavera; il leone per il meridione, che procede con Reitia sulle fiamme del caldo fuoco estivo; il lupo per l’occidente, che marcia con Reitia nelle fresche piogge dell’autunno; l’orso per il settentrione, che si muove con Reitia sulla gelida terra invernale.

Le erbe e i fiori da gettare nel fuoco del braciere si possono anche variare: iperico, rosmarino, petali di rosa, artemisia, verbena, menta e lavanda, in una miscela profumatissima, ripetendo il gesto nelle quattro direzioni.

Benedizione di una sacerdotessa di Reitia ad un/a neonato/a, che si potrebbe anche fare per benedire noi stessi/e a tutte le nostre nuove nascite o inizi dell’anno (celtico o babbano):
rivolta ad est:
“Leggiadra Reitia, per mezzo dell’Aria tu sei il nostro respiro e la nostra ispirazione: concedi a (nome del/la neonato/a) chiarezza di mente, saggezza e conoscenza.”

A sud:
“Appassionata Reitia, per mezzo del Fuoco tu sei il nostro calore e la nostra luce: concedi a … giustizia, appagamento e gioia.”

Ad ovest:
“Potente Reitia, per mezzo dell’Acqua tu sei la nostra vita ed il nostro rinnovamento: concedi a … generosità, compassione ed amore.”

Infine a nord:
“Generosa Reitia, per mezzo della Terra tu sei il nostro sostentamento e la nostra forza: concedi a … salute, solidità e abbondanza.”

Completando il giro su se stessa, solleva il piccolo/la piccola verso l’alto e conclude:
“Divina Reitia, per mezzo dello Spirito tu rendi ogni cosa partecipe d’ogni altra e tutto congiungi in un’unica grande entità: concedi a … speranza, realizzazione e crescita spirituale.”

Da: http://www.freewebs.com/wicca_veneta/
http://www.youtube.com/watch?v=a5dF6UjkOw0
Sul sentiero di Reitia di Mariangela Mariga

2 commenti:

  1. Ho trovato casualmente queste citazioni dal mio romanzo "Sul sentiero di Reitia"; sono profondamente onorata che ti abbiano tanto colpito da volerle inserire nel tuo blog, e te ne ringrazio di cuore.
    Possa Reitia camminare sempre al tuo fianco.
    Mariangela Mariga
    https://www.facebook.com/mariangela.mariga

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    1. E' veramente un romanzo stupendo, da rileggere più volte, che Reitia sia sempre anche con te.
      Scusa se rispondo solo adesso, è un po' che non visito il mio blog e mi dimentico di leggere i commenti :-)

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