sabato 3 dicembre 2011

Le masche


La masca è un termine piemontese, molto diffuso nel Roero, nelle Langhe, nel Biellese e nel Canavese e un po' in tutto il Piemonte, la cui etimologia è incerta. Il termine sta prevalentemente ad indicare una strega o fattucchiera.
La parola probabilmente trae origine dal longobardo maska, che indica l'anima di un morto (da cui anche il significato meno comune di "spirito soprannaturale"), o dall'antico provenzale mascar, borbottare, nel senso di borbottare incantesimi.
Le masche sono una figura di rilievo nel folklore e nella credenza popolare piemontese, che attribuiscono ad esse facoltà sovrannaturali tramandate da madre in figlia o da nonna in nipote. Secondo la tradizione, oltre ai poteri, la masca eredita anche il Libro del Comando, un testo contenente le varie formule e incantesimi della strega.
Il loro aspetto fisico, come quello delle altre streghe, era di donne anziane dall'aspetto sgradevole, ma a volte si trattava anche di donne dall'aspetto normale e talvolta di giovani attraenti, ma dotate di poteri sovrumani.
Nel passato gli agricoltori e i montanari usavano attribuire ad esse la responsabilità di avvenimenti negativi o inspiegabili. Le donne accusate di essere masche venivano perseguitate e spesso processate e condannate al rogo dal tribunale dell'Inquisizione.
Ancor oggi è di uso comune in Piemonte commentare scherzosamente la caduta "soprannaturale" (accidentale) di oggetti (ad esempio una forchetta che cade dalla tavola) con l'espressione "Ai sun le masche" ("Ci sono le masche").
Donato Bosca, dirigente dell' istituto scolastico “Beppe Fenoglio”» di Neive e presidente dell' associazione culturale L'Arvangia, da oltre 20 anni è impegnato a raccogliere le testimonianze dei più anziani sulle imprese criminose e magiche delle fattucchiere, togliendo il velo su un materiale ricchissimo che mescola religione, paura, contrasti familiari e comunitari e consente un'ampia indagine psicologica del mondo contadino.
“La masca - dice - era una persona dalla doppia vita, in genere una donna in grado di compiere una metamorfosi. Durante il giorno vestiva i panni dell'innocua pensionata o della casalinga e di notte si trasformava in una creatura diabolica, che usciva di casa per compiere la vita agli altri. Si presentava sotto forma di gatto nero, pipistrello, capra o biscia e aveva il compito di seminare zizzania, di riscattarsi da un destino umile con infinite rivincite nei confronti di parenti, vicini e viandanti”.
Ma esistono ancora le masche? “Oggi sembra che tutto ciò che riguarda il contrasto delle masche sia scomparso. Non ci sono più i buoi a trascinare i carri, i gatti neri non fanno più paura e nessuno si avventura in un bosco di notte senza pila, telefonino e scarpe da trekking. Il condizionamento culturale di un tempo è difficile da comprendere, ora l'istruzione media spazza via gran parte del discorso”.
Nonostante ciò, ancora oggi qualcosa nelle credenze è rimasto. “Spiegare i tanti racconti di masche con l'ignoranza di altri tempi significa non tener conto della realtà attuale popolata di cartomanti, veggenti e ufo. Di settimini e guaritori sono ancora pieni i paesi, con lunghe file di persone che si rivolgono a loro con fiducia”. In Liguria le chiamano “bazure”, nelle vallate cuneesi si trasformano in “sarvanot”, una specie di folletto che vive nei boschi e si prende gioco delle persone. In alcune zone queste tradizioni sono rimaste più in ombra, in altre sono risalite a galla “Oggi siamo in molti ad occuparci di questi argomenti. Perfino alla facoltà di architettura di Torino il professor Borghini, studioso del paesaggio, ha commissionato una tesi di laurea sulle dimore delle masche nell' immaginario collettivo”. Donato Bosca ha iniziato a parlar di masche nel '79: “In quei tempi la gente aveva paura a sbottonarsi, si temeva ancora il loro influsso malefico. Oggi è tutto diverso e a Paroldo, in Alta Langa, c'è addirittura un ristorante con il menù delle masche. Mi sento in parte complice della trasformazione, di questa forma di riscatto. Da persecutrici evitate da tutti, le masche sono diventate motivo di attrazione e di suggestione bonaria”. Grazie alla magia bianca del folklore, del turismo e del teatro.
Le masche di Pocapaglia si ritrovano due volte all'anno in primavera ed in autunno verso la mezzanotte di un giovedì del mese di aprile e un giovedì del mese di novembre, sotto il Bric dove venne bruciata la Masca Micilina in località San Sebastiano sulla strada che da Pocapaglia conduce alla frazione di Saliceto; come riconoscere il giovedì giusto è molto semplice, perché durante quella notte nei dintorni di San Sebastiano e per tutto il tratto di strada che conduce a Saliceto si potranno incontrare gatti con occhi particolarmente luminosi, si potranno sentire rami scricchiolare, la luna si presenterà con colori mai visti durante tutto l’anno, ma soprattutto ombre di vecchiette si aggireranno nervosamente attorno al Bric della Masca Micilina.
Viene consigliato a chi volesse provare queste indimenticabili emozioni, di riunirsi in un gruppo formato da almeno e non meno di undici persone per fare una passeggiata notturna nelle notti di aprile e di novembre fino al Bric della Masca Micilina accompagnati dal suono di una fisarmonica, guidati dalla luce delle fiaccole e sorseggiando di tanto in tanto un buon vino caldo.

Il libro del comando
Il Libro del comando è l'archetipo simbolico da cui traeva il suo potere la "strega" pedemontana. Il libro, rappresenta il "negativo" e l'archetipo "controreligioso" dei breviari sacerdotali, non ha nulla a che vedere con pseudo-alchimisti teutonici se non una omonimia derivata dalla traduzione....
Si narra che il libro, le cui dimensioni erano 18 cm di altezza, 15 cm di larghezza e 3 cm di spessore, avesse sulla prima pagina l'effigie del demonio, poi 3 pagine vuote e di seguito una pagina con su scritto solamente “comando, comando, comando”, dopo di che vi erano vergate tutte le formule la cui conoscenza era indispensabile alla masca per compiere le sue oscure gesta.
Le masche ricevevano il libro direttamente dal diavolo, che si incontrava con loro in un bosco o presso un quadrivio (sempre, comunque, nei paraggi di un bosco), spesso vicino ad un grosso albero, sovente un noce, colpito dal fulmine.
Che i libri del comando siano realmente esistiti lo danno per sicuro parecchi anziani residenti in Piemonte; un ottuagenario piemontese racconta di aver partecipato, assieme al fratello settimino ad un rito di “abbruciamento” dei libri del male officiato dall’allora vescovo di Fossano. Quando la masca moriva doveva lasciare il “maleficio” a qualcuno, ma sempre ad una sola persona e di sesso femminile.
Per trasmettere questo potere per alcuni si riteneva necessario il passaggio di proprietà del libro del comando, mentre per altri era sufficiente toccare la persona prescelta.
Se la masca non avesse trasmesso il suo potere, la sua morte sarebbe stata orrenda, tra tormenti ed ossessioni diaboliche; e vi è anche chi ritiene che, senza la trasmissione del potere, la masca addirittura non potesse morire


Da: http://misteri.altervista.org/leggende_piemontesi/masche_return.htm
http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070926072207AAihAkO
http://www.asfodelopocapaglia.it/le-masche.htm

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