lunedì 12 dicembre 2011

Le anguane



Chi sono le anguane? Sono delle figure mitiche femminili e soprannaturali, che si incontrano nel folklore popolare di tutta l’Italia settentrionale, e in particolare nel Veneto, in Friuli e nel Trentino, giù fino al Po, con diramazioni e riferimenti perfino nelle tradizioni popolari dell’Europa dell’Est (Slovenia, Bosnia, Albania).
Il nome delle anguane doveva essere antico poiché se ne trovano tracce anche nel passato: presso la Basilica di San Vincenzo a Galliano di Cantù, in provincia di Como, venne ritrovata un’ara di epoca romana con una epigrafe indicante una dedica indirizzata alle “Matronis et Adganae” (entità d’acqua pagane di probabile origine celtica chiamate contemporaneamente col nome latino “matronis” e con quello celtico “adganae”). Non a caso nella cripta della basilica è ancora presente un pozzo, dove una volta sgorgava l’acqua, posto sotto un dipinto raffigurante la “Madonna che allatta”. Tutto questo può stare ad indicare la presenza di un antico culto legato alle acque risemantizzato in chiave cristiana. Altro indizio interessante è il toponimo “Naquane” o “Aquane”, nome della località nei pressi di Capo di Ponte, in Val Camonica, dove sono presenti la maggior parte delle famosi incisioni rupestri locali. È ipotizzabile che anche questo nome di luogo dove si trovano le tracce di un luogo sacro preistorico, possa derivare dal nome di queste entità/divinità. Giova ricordare che i Camuni erano considerati un popolo retico come retiche erano quelle popolazioni alpine che formarono l’antico e originario sostrato etnico e culturale dal quale si formerà nei secoli successivi l’identità ladina.
Secondo alcune interpretazioni il termine anguanes deriverebbe dalla parola latina aquana derivante a sua volta da “aqua”, acqua (infatti si tratta di entità soprannaturali d’acqua), ma la similitudine con la parola “aqua” probabilmente venne accentuata dopo la latinizzazione. Se prendiamo il nome prima citato “Adganae” troviamo il suffisso “gan”, che nelle lingue celtiche corrisponde ai nomi delle entità fatate. Troviamo infatti la Morrigan in Irlanda e le Korrigans in Bretagna; la stessa fata Morgana dei cicli arturiani porta nel nome la stessa particella. Qualcosa di molto simile troviamo anche in Sardegna dove, nella lingua locale, le fate si chiamano janas. Probabilmente questo nome o suffisso legato alle fate ha origini indoeuropee arcaiche forse risalenti addirittura all’Età del Bronzo. Questa stessa parola (sempre usata per indicare fate d’acqua) la ritroviamo nel vocabolo ladino Gana. Anche questo nome come toponimo si trova in altre parti del mondo alpino e prealpino. È a questo proposito emblematico il sito della Val Ganna in provincia di Varese. Qui, proprio in località Ganna, è presente la Fonte di San Gemolo, ancora oggi oggetto di devozione popolare: non è un caso che questo toponimo sia legato alla funzione sacrale dell’acqua.
Accanto alle anguane, potremmo ricordare ancora le fate serpentiformi della tradizione medievale, come la Ponzela Gaia, la donna-vipera del Bel Inconnu o la Sibilla di cui ci parlano Antoine de La Salle o il Guerrin Meschino; o ancora le moltissime fate-serpenti della tradizione folklorica, come quelle di cui ci parlano certi racconti siriani. Ad esempio in Fiabe siriane, Il pastore ed il serpente, in cui un pastore accoglie le profferte nuziali di una donna, che tra l’altro si vanta di aver molto denaro, incontrata in un pascolo remoto. La donna si tramuta in una serpe, il pastore la porta in un sacco a casa sua, e sebbene abbia promesso di non tradire il suo segreto, non resiste alla tentazione di esibire il serpente ai conoscenti. Il giorno dopo il pastore riporta la serpe in montagna e la fata, riassunte forme umane, gli comunica che, essendo stata umiliata davanti a tutti, non vuole più sposarlo. Il pastore da allora evita quel luogo. La categoria fu riconosciuta e studiata come tale da Ulrico Molitor nel suo De Pythonicis mulieribus et lamiis, pubblicato a Colonia nel 1489; ma già nella tradizione antica affiorano di quando in quando degli esseri femminili serpentiformi e amorosi che ricordano da vicino questa diffusissima tipologia di fate.
Le anguane sono probabilmente imparentate con le ninfe greche e latine, con le ondine delle saghe germaniche, con le samodive o samovile balcaniche, con le sibille dei Monti Appennini, con le driadi greche e con molte altre entità fatate dei boschi e delle acque. Esse sono conosciute sotto nomi diversi aquane, gane, vivane, langane ecc., (che appaiono tuttavia semplici variazioni locali, per esempio vivana o vivena in val di Fassa, ma pantegana in Badia, langana in Cadore... ).
Possono manifestarsi come donne giovani e bellissime con lunghissimi capelli biondi o rossi e con sensuali abiti bianchi velati o come vecchie megere vestite di stracci neri o multicolori.
Nella prima forma seducevano i viandanti portandoli via per un periodo o per sempre, nella seconda forma predicevano il futuro, lanciavano maledizioni o usavano il loro potere per curare.
Nelle Dolomiti bellunesi, quando si manifestano come vecchie, dotate di poteri sciamanici e curativi, a volte esercitano pure la magia nera e vengono chiamate Bregostene.
Le anguane della Montagna Spaccata sono le più aggressive e le più pericolose. Sono anguane guerriere. Vivono nelle profondità della montagna, da cui escono cavalcando selvaggiamente diabolici destrieri neri. Vestono principalmente di nero ed hanno il coltello facile. Per tale motivo, sono chiamate comunemente Anguane Nere. Sotto i loro abiti, nascondono abitualmente armi bianche, e hanno l’abitudine di rapire spesso i bei giovanotti che sorprendono a girovagare solitari, per sedurli e lasciarli ritornare alle loro case. A volte, però, i rapiti non fanno ritorno e si dice che queste anguane, belle e seducenti, a volte si nutrano di sangue umano.
Di solito le anguane di entrambi gli aspetti avevano un piede od entrambi malformati o ritorti all’indietro o zoccoli caprini al posto dei piedi, o ancora piedi palmati come le oche.
Alcune leggende le descrivono addirittura con zoccoli ed arti inferiori caprini, e pelose dal ventre in giù, altre le descrivono con corpo di serpente dalla vita in giù.
Si trasformavano molto velocemente in grossi serpenti, spesso neri, ma assumevano anche l’aspetto di lontra, gatto o salamandra.
È del tutto plausibile che, nel corso dei secoli, delle figure mitiche originariamente ben distinte, ma con qualche caratteristica affine, possano essere state confuse e lentamente assimilate alle anguane, "importandovi" così delle connotazioni che esse originariamente non avevano affatto.
In effetti nella raccolta di Karl Felix Wolff (giornalista e scrittore nato in Croazia da padre austriaco e da madre originaria della Val di Non, che non cessò mai di percorrere le Dolomiti, taccuino alla mano, interrogando i popolani, in modo particolare gli anziani) si ritrovano le mjanines e le jarines, anche queste probabilmente solo due varianti dello stesso nome. Si tratta di un collettivo di eteree, semiliquide figure dalle fattezze femminili che vivono dentro i corsi d'acqua ed i laghi, dai quali non escono se non in via eccezionale. Anche quando lo fanno, restano sempre rigorosamente prive di individualità e di consistenza corporea, e ben difficilmente potrebbero essere scambiate per delle donne "umane", come invece avviene per le anguane; nella storia di Albolina esse si descrivono esplicitamente come "spiriti delle acque", un concetto di trasparente origine animistica.
Le anguane, oltre ad essere ciò che rimane di antiche divinità e/o sacerdotesse di culti dedicati alla Dea Madre, presentano chiari ed evidenti caratteri sciamanici.
Hanno molto in comune con il mito di Melusina e della Bean Nighe, la Lavandaia dei Guadi, la versione scozzese della Banshee, che lava i panni nei ruscelli e ai guadi dei fiumi, in genere gli indumenti sporchi di sangue degli eroi e dei guerrieri prossimi a morire in combattimento, predicendone la morte. Anche la dea irlandese Morrigan, come la Bean Nighe è una Lavandaia al Guado, e  predice la morte dei guerrieri lavandone le armi e le armature, oltre che i panni insanguinati.
Le tradizioni e le leggende popolari attribuiscono numerose qualità e caratteristiche alle Anguane:

1. Eccellono in tutto; tutto quello che fanno riesce loro straordinariamente bene
2. Hanno il dono della magia e della profezia
3. Hanno insegnato a lavorare il latte e a fare il formaggio agli uomini, e a lavorare la lana alle donne
4. Conoscono le proprietà magiche e curative di piante ed erbe e sono ottime guaritrici
5. Se vengono insultate, portano sfortuna per tutta la vita
6. Sono abili commercianti e sanno gestire bene il denaro
7. Sono sottoposte ad un “divieto magico” (geis) a cui non possono sottrarsi, come gli eroi e le divinità della mitologia celtica
8. I loro abiti sono indossati in base al simbolismo magico dei colori
9. Sono accomunate, in alcune leggende, alle Fate; in latino Fatae è il nome delle Parche, cioè delle dee che presiedono al Fato (in latino Fatum, destino)
10. Partecipano della natura del serpente, e quindi per estensione anche di quella del Drago, che altro non è che un grosso serpente magico, con zampe ed ali; posseggono quindi il potere magico e rigenerativo del Serpente e del Drago, e sono quindi in simbiosi con le “linee del Drago”, le ley-lines, che attraversano e caratterizzano i Luoghi di Potere
11. Sono le custodi delle Fontane del Latte e delle Grotte Lattifere, che, secondo la tradizione, avrebbero assicurato alle donne che avessero bevuto acqua di quelle fontane, o stillante in quelle grotte, un’abbondante produzione di latte dal loro seno
12. A volte sono descritte come esseri mostruosi, ma dal cuore grande con chi sa dare amore
13. Possono dare il dono della fertilità dei campi, alle bestie, agli uomini
14. Sono ottime sarte, ricamatrici e tessitrici
15. Possono mandare sogni premonitori e sciamanici
16. Sono “dee” delle acque e dei boschi
17. Capiscono il linguaggio degli animali
18. Conoscono i tempi giusti per tutte le operazioni agricole
19. Cantano in modo meraviglioso ed incantatore; chi le ascolta viene ammaliato dal loro canto e le raggiunge nel folto del bosco o nelle profondità delle acque
20. Vivranno finché vivrà il mondo
21. Escono dall’acqua in forma umana, e camminano e danzano su di essa
22. Si vestono di abiti bianchi lunghi e trasparenti, meno spesso di abiti verdi, secondo l’usanza magica
23. Sono bellissime e dai corpi sinuosi, eterei e quasi trasparenti
24. Alcune abitano nei boschi, presso fonti e ruscelli
25. Altre vivono nell’acqua, sul fondo di fiumi e laghi, in caverne sotterranee
26. Altre vivono in profondissime grotte e fenditure nella roccia (còvoli), in zone solitarie, impervie ed irraggiungibili
27. Fanno un bucato bianchissimo, che stendono ad asciugare sulle rocce delle montagne più alte
28. A volte chiedono del cibo agli uomini
29. Talvolta vanno a servizio dei contadini e ci restano qualche anno
33. Può succedere che si uniscano in matrimonio con gli uomini, ma più tardi scompaiono per non tornare mai più, vengono richiamate nella foresta o sono costrette ad andarsene piangendo quando si pronuncia il loro nome, o quando si viola qualche altro tabù, più o meno esplicitato in precedenza
34. Dell’equivalente maschile delle anguane (“anguano” o “vivano”) si sa molto poco, o niente; esso in pratica non viene mai citato nelle leggende e nei racconti
35. Nelle sere d’estate, dai “luoghi d’acqua”, si odono salire meravigliose melodie magiche, intonate dalle anguane
36. Oltre che con l’acqua, alcune anguane sono in rapporto anche con il sole; salutano il suo sorgere tutte le mattine, circondate dalle marmotte che si radunano attorno a loro
37. Le ire delle anguane, così come nel Trentino e nel bellunese quelle delle Salinghe, delle longane e delle anguane lavatrici, potevano essere terribili o addirittura letali se un mortale, per rabbia o per scherzo, scompaginava, sporcava o rubava il loro bucato steso ad asciugare
38. Talvolta erano raffigurate sotto l’aspetto di creature benefiche, talaltra malvagie, come donne bellicose, streghe brutte e pelose, dal gelido fiato nauseante, capre dai piedi al ventre
39. Per sfuggire alle persecuzioni, si trasformano in draghi o serpenti acquatici (montoànes), oppure in lontre (loudres)
40. Sono Signore della seduzione, che le donne del popolo temevano, vedendo in loro delle concorrenti nel gioco dei corteggiamenti; ancora oggi, nell’alto vicentino, il termine “anguana” indica una donna seduttrice di mariti altrui
41. Sanno badare al bestiame
42. Allevano molto bene i bambini
43. A volte entrano nelle osterie e ballano con i giovanotti
43. Evolvono con il tempo e si modernizzano nello stile di vita e nelle loro capacità fantastiche

Da: Per le vie dell’altro mondo: l’animale guida e il mito del viaggio di Carlo Donà
Identità e integrazione: passato e presente delle minoranze nell'Europa mediterranea di autori vari
Storie di Anguane di Anguanamadre

http://www.ilregnodeifanes.it/italiano/temi1.htm

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