Il Battistero di San Giovanni, detto Tomba di Rotari sebbene non abbia nulla a che fare con l'omonimo sovrano longobardo, assieme alla chiesa di Santa Maria Maggiore, forma il complesso monumentale di San Pietro. Si trova a Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia.
Pochi metri dividono il colonnato della basilica di S. Michele dalla più antica chiesa del paese: San Pietro, sede della prima parrocchia cittadina, che venne demolita nel 1891 per ragioni storiche. Di essa oggi restano il seicentesco rosone a traforo posto sul portale d'ingresso, le basi di quattro colonne di granito e la struttura absidale a semicatino scavata da nicchie risalente al XII secolo. A sinistra dell'abside si accede alla Tomba di Rotari, che non è un sepolcro come si potrebbe pensare, ma un Battistero dedicato a San Giovanni che, nei primi del XII sec, Rodelgrimo e suo cognato Pagano da Parma fecero sopraelevare e coprire a cupola. L'appellativo è dovuto all'errata interpretazione del nome del costruttore e del vocabolo "tumba" (cupola).
Monte Sant’Angelo è una località della Puglia fortemente legata al culto micaelico. Ed è principalmente questo fatto che lo rende pieno di fascino. Questo fascino si trova in bilico tra la spiritualità che emana, e tra la storia che è scritta tra le sue mura, centro frequentatissimo nel Medioevo da pellegrini e da crociati pronti a recarsi in terra Santa, tradizione rimasta nei secoli fino ai giorni nostri. La cittadina sorse nel secolo V intorno al luogo dove apparve San Michele Arcangelo, l'Angelico archistratega che i Longobardi considerarono addirittura santuario nazionale. Fu a lungo contesa da Bizantini, Longobardi, Saraceni e Normanni. Dall'XI secolo la Puglia ha due poli religiosi egemoni: San Nicola a Bari e il Santuario micaelico a Monte S. Angelo, entrambi inseriti nelle più importanti vie dei pellegrinaggi europei, quali la via Sacra Langobardorum e la via Francigena.
A un primo impatto, rispetto ai complessi religiosi della Puglia, la tumba di Rotari dà una sensazione molto particolare. Sembra quasi che l’anima si innalzi a vette inaudite, seguendo un percorso iniziatico che sembra non aver molto in comune con i dogmi cattolici.
In realtà, sembra di trovarsi in presenza di un vero e proprio libro di pietra che cela al suo interno un messaggio diverso da quello che ci si aspettava: la fede senza gnosi non può esistere. La fede senza gnosi è solo bigottismo brutale, superstizione, ignoranza che priva l’uomo della sua reale natura, della sua origine, e perciò della sua dignità. La tumba di Rotari appartiene a quei luoghi che contribuiscono a restituirci il nostro vero volto cosicché la fede diventi uno strumento non di controllo ma di elevazione.
Gli indizi
Appena si arriva all’ingresso della tumba si può osservare nell’architrave dell’ingresso un rosone con quattro sirene o donne serpente che incorniciano una stella a otto punte. Al di sotto di questa immagine si trova la raffigurazione di un calice con l’ostia e in più si trova il classico stemma massonico (la mano che regge un compasso) che, stranamente, sembra in armonia con gli altri elementi.
All’interno si trova una vasca quadrata e un architrave che porta all’interno in cui compare una croce che origina da due sfere, seguita dalla famosa scritta Q PETISH. Questa scritta è stata tradotta da molti critici come quod petis habebis, ossia “ciò che chiedi avrai”, espressione genericamente ripresa dalla Bibbia e interpretata come allusione al battesimo. Entrando sulla destra si trova una vasca circolare e sulla sinistra, un sarcofago vuoto scavato nella roccia. All’interno della tomba sulla cornice imposta dal tamburo si trovano tre figure femminili: la prima fuoriesce dal guscio di una lumaca mentre una mano sembra volerla svegliare dal sonno, la seconda rappresenta una donna seduta con un ampio mantello che stringe al seno un bambino dormiente, la terza rappresenta una donna nuda sdraiata con una lunga chioma, mentre viene addentata alla mammella destra da un serpente. Inoltre, dalla base di volta, più piani si sovrappongono assottigliandosi, passando dal quadrato della base all’ottagono intermedio ed al cerchio di volta. Nel quadrato di base della tomba è, invece, inscritto il sigillo di Salomone. Un altro indizio interessante lo si trova nell’atrio superiore del santuario micaelico, dove, collocata in alto rispetto alla porta di ingresso a destra, c’è una lapide con un’iscrizione che recita “Terribilis est locus iste hic domus Dei et porta coeli”, tradotto: “Questo è un luogo terribile. Questa è la casa di Dio e la porta del Cielo”, tratta dalla Genesi.
Il simbolismo
Il rosone
La prima simbologia che si incontra, foriera di significati occulti, è quella del serpente. Il serpente è collegato alla simbologia dell’anello, del tutto, specie nella sua forma di Uroboros, il serpente che si morde la coda. Se l’anello o cerchio appare con una croce nel mezzo si tratta del simbolo della Rosi-crucis che, secondo Lawrence Gardner ne Il regno dei signori degli anelli, è un richiamo al Sangreal. La rosi crucis diventa un simbolo della linea dinastica matriarcale, discesa per il tramite di Lilith e Maria Maddalena.
Un'altra associazione con il serpente, è il drago drakon.
Il vocabolo di origine greca è affine a edrakon, ossia vederci chiaro, ed è equivalente a Nahash, termine biblico che significa “serpente”, oppure “decifrare”, “scoprire”. Il serpente, infatti, era colui che vedeva chiaramente le cose in modo limpido e pieno di saggezza, qualità che caratterizzano il sapiente. Il serpente veniva quindi associato sia alla saggezza, sia alla guarigione.
In Mesopotamia, il drago Mushus, aveva compiti di guardiano e i re e le regine messianiche (unte, consacrate) venivano chiamati dragoni o pendragoni perché ad essi venivano attribuite le virtù dell’animale. Tali re venivano nutriti con una particolare sostanza, l’essenza lunare delle regine dragone (contenenti secrezioni endocrine capaci di esaltare alcune qualità interiori). In Iran, inoltre, esiste una pianta molto particolare, la dracena draco, appartenente al genere delle liliaceae (giglio), la cui resina è conosciuta come sangue del drago. Probabilmente questa sostanza rappresentava un sostituto di tale mistura, chiamata fuoco stellare che, al pari della secrezione mestruale e per la forte assonanza simbolica con quest’ultima, veniva usata nelle cerimonie di consacrazione.
Le regine dragone (le sacerdotesse) venivano associate per questo motivo al fiore del giglio o del loto tramite il nome che portavano: Lilia, Lilith, da cui, secondo Gardner, scaturirebbe il lignaggio De Lac. Altre variazioni si ravvisano nel nome Del Acqs. La stessa rosa crucis è spesso definita coppa delle acque ed è uno dei simboli del Graal, identificato con il sangue messianico raccolto nel sacro calice scaturito dal grembo materno. La simbologia del Graal presente a Monte Sant’Angelo, potrebbe riportare a queste simbologie che risalgono agli albori di una leggenda che in seguito venne cristianizzata.
La prima decodifica di questa leggenda, ci parla di una guarigione spirituale più che fisica, come se il Graal e i suoi poteri agissero sul piano dell’anima, restituendo o modificando le percezioni sensoriali dell’adepto. Bevendo dal Graal (che in origine conteneva una mistura in grado di risvegliare nell’uomo facoltà assopite da tempo ma sempre presenti), l’uomo normale raggiungeva un lignaggio mitico e si ritrovava ad appartenere a una linea messianica che, partendo dalla Mesopotamia, si ritrova nella Bibbia e viene trasmessa per via matriarcale.
Ma soprattutto i simboli sembrano spronarci a scoprire, a decifrarli, a vederci chiaro, a raggiungere lo stato di iniziato e le sue qualità, poiché soltanto chi è in possesso di queste chiavi potrà essere in grado di decifrare il codice.
Consacrazione, unzione, saggezza, capacità di guarire o autoguarirsi, indicano un uomo che appartiene a un lignaggio sacro di tipo sacerdotale, che dagli albori della storia umana sembrano portarci fino all’ebraismo. Lo stesso simbolo massonico dà l’idea che, un codice simile, sia stato in possesso di società segrete che, però, hanno sparso simboli che soltanto gli iniziati possono decifrare. Inoltre, il richiamo alla massoneria e l’immagine di una stella identificata con Sirio o con Venere, le stelle del mattino, sembrano indicare due cose: la conoscenza stellare collegata alla resurrezione e alla conoscenza delle origini, ma anche alla Dea Madre. Che la Tumba sia un tempio della Dea? Quest’ultima considerazione è avallata dal simbolo della Dama Serpente. Il serpente è la forza creatrice della rigenerazione (crea e rinnova) che si snoda dalla spina dorsale fino a raggiungere le ghiandole poste alla sommità del capo; è la kundalini che è al tempo stesso la regina del Graal. La regina del Graal è l’iniziatrice, colei che innesca il processo di redenzione, è Kali che rinnova e distrugge e la Shakti, l’energia primigenia della creazione, la forza femminile per eccellenza. Tra queste regine del Graal, esiste la figura di Melusina con ali di pipistrello e coda serpentina (animali sacri alla Dea), oppure la donna serpente o la sirena. Essa è custode di un anello (simbolo come si è detto della conoscenza) ma anche autentica erede e creatrice della linea del santo Graal.
Questo simbolismo non può che essere associato al culto della Dea Madre che ebbe origine quando gli antichi individuarono la sua controparte celeste. Questa era ottenuta congiungendo un gruppo di costellazioni, Auriga, Perseus, Camaleopardales, Aries, Triangolum, Cassiopea ed Andromeda: la figura delinea una donna distesa, dai grandi seni e dal ventre prominente, figura guida del tempo precessionale dell’ultima fase del pleistocene. Più tardi fu aggiunto il simbolo della costellazione del Taurus (fecondatore), felice intuizione del legame cielo e terra.
Conoscenza stellare, dunque dominio del tempo, conoscenza iniziatica, trasmutazione alchemica (distruzione e rigenerazione), custode della conoscenza: ecco gli elementi che scaturivano da una prima indagine. Inoltre, vi era anche la traccia di quella che appariva sempre più come un lignaggio sacerdotale che formava una vera e propria dinastia. Questa dinastia che custodiva tali conoscenze, riportava inevitabilmente ai tempi di Cristo dato che, in questa discendenza collegata alla Albi-gens, associata all’acqua, si rinvenivano i nomi Maria, Miriam (Merrow o Meirmaid). Le storie delle fate e delle fonti incantate, si tramutavano, dunque, in riferimenti allegorici alla cerimonia del fuoco stellare, che accendeva la conoscenza superiore e permetteva all’energia femminile di rigenerare tessuti e spirito. La tradizione del fuoco stellare, uno dei tre battesimi con l’acqua della purificazione e il sangue del sacrificio, rappresenta il veicolo della luce della conoscenza, ossia l’illuminazione che sconfigge, la gnosi che non può avvenire se non dopo la purificazione, l’eliminazione delle scorie e il sacrificio del se.
Maria è la domina del acquae ed erede della casa del Acqs tramite il simbolismo del giglio; questa eredità si mantenne e si collega alla Maddalena. La Maddalena, inoltre,è collegata anche alla sposa perduta del cantico dei cantici. Questo è un testo di origine sumera e fa riferimento al matrimonio sacro tramite il quale la sposa messianica festeggia lo sposalizio regale ungendo lo sposo con olio di nardo.
Importante è anche l’immagine iconografica della Maddalena che è spesso raffigurata con un mantello rosso sopra una veste verde, il mantello rosso può essere interpretato come simbolo dell’alto grado ecclesiastico e della cerimonia del fuoco stellare, del sangue mestruale che dona la vita, mentre la veste verde la collega direttamente alla fertilità e alla fecondità. Le due Marie (la Maddalena e la Vergine Maria) si presentano come i due aspetti o incarnazioni viventi di uno stesso principio cosmico (stellare), la Vergine e la Madre cosmica. Il loro legame con l’acqua richiama anche il concetto di Gnosi che, in quanto femminile, si incarnava nelle regine sacerdotesse. L’immagine della sirena è un’allegoria della sapienza e della Sophia, le uniche in grado di creare la vita traendola fuori dalla materia informe. La Sapienza delle regine Dragone è il ponte che collega la vita quotidiana al regno dell’Eternità, l’accesso al quale si ottiene soltanto tramite un’esperienza personale di Gnosi.
Non si dimentichi, inoltre, che il riferimento alla coppa che contiene in essa un’ostia,non fa dell’edificio soltanto un riferimento al cristianesimo, ma identifica il luogo come centro in cui viene custodito il Graal.
Da: Chi ha orecchie per intendere intenda - Simboli e segni della chiesa del Graal di Anonimo