mercoledì 30 maggio 2012

Il Graal - XIV

La stella a 8 punte che simboleggia il pianeta Venere
Rinascita stellare e sovranità sono gli elementi chiave di una eresia che si perde nei secoli. La ricerca di un contatto con il Divino in grado di provocare, non solo resurrezione e conoscenza, ma anche fusione delle due polarità presenti nell’umanità per arrivare a un principio unico. L’illuminazione è la condizione di accesso ai sacri misteri unico modo per poter accostarsi al principio unico e per entrare in una dimensione più elevata. Unione del femminile e del maschile, dell’io con l’anima, ascensione, unione mistica, ripristino di una condizione primigenia. Questi gli elementi dell’eresia che risplendeva a Monte Sant’Angelo. Il mago o lo gerofante, non era altro che il sacerdote in grado di usufruire delle energie che si sviluppavano e dimoravano in luoghi consacrati, cioè destinati ad essere dimora di divinità. Ma il termine consacrato indicava anche un culto segreto dedicato ai misteri di un’antica setta di sacerdoti zoroastriani. Ecco riannodarsi i fili dell’eresia. Eppure c’era un altro elemento che mi colpiva. Nell’indagare sull’origine del termine consacrato mi ero imbattuta nel termine “segreto”. Questo, stranamente ma non troppo, descriveva con precisione tutte le eresie analizzate finora. Ponendosi in contrasto con l’ortodossia cattolica, il culto eretico doveva per forza essere segreto poiché, per la sua intima natura, minacciava lo status quo esistente. Il culto segreto non era altro che una tra tante strade con cui, chi lo desiderava, poteva pervenire al mistero del Graal, secondo la sua natura e il suo grado di evoluzione. In un certo senso tutti quelli che lo cercano trovano il loro Graal. Nelle leggende ad esempio, Lancillotto lo ottiene nella forma del suo amore per Ginevra (che in fondo non è altro che un’immagine della Dea). Galvano lo trova nella scoperta di se stesso risanando la sua parte maschile. Galahad, invece, lo trova nello spirito, nel Sacro ineffabile, nella forza vitale del Soffio Divino. L’eresia di Monte Sant’Angelo aveva molto in comune con le storie graaliane. Anzi non stentavo a riconoscere le tracce del famoso ed abusato culto del Graal e della Chiesa del Graal. Molti erano gli elementi che lo identificavano: la regalità sacra, il sacerdozio di Melchitsedeq, i simboli e le immagini, la rivelazione personale dalle molteplici forme. In più mischiati con gli elementi di alchimia, ermetismo egizio, gnosticismo. Ma soprattutto la presenza della Dea. Specie nella Tumba di Rotari, la Sua presenza era viva e dinamica. Non solo nelle immagini delle donne dragone, ma anche per la presenza della coppa e della stella a otto punte. Il Graal è anche e soprattutto, una rappresentazione dell’utero della Dea Madre, colei che dà vita a tutte le cose. Ogni figura femminile all’interno delle storie del Graal non è altro che il riflesso del volto della Dea. Ginevra, ad esempio, è la sovranità inaccessibile, Morgana la fata rappresenta la conoscenza delle leggi arcane e sacre che sfidano lo status quo. La ricerca della donna ideale non è altro che l’aspirazione all’unione con la dea. Il Graal è anche il paiolo dell’abbondanza utilizzato nei sacrifici, simbolo di risurrezione e conoscenza. Il Graal contiene vino e sangue e questi elementi simbolici rappresentano la controparte maschile. Sangue del sacrificio di se, quindi simbolo dell’energia vitale dell’anima, contenuta nella sacra coppa. Questa coppa, rappresenta il principio Unico e tutta la creazione che viene avviata proprio dal sacrificio della Divinità, con l’emissione del suono (logos) o con lo smembramento del Dio. Nel Graal è contenuta tutta la storia dell’uomo, la sua genesi spirituale, i processi tramite i quali la creazione va avanti, ossia nel costante processo di vita, morte, vita. Eppure c’era un altro elemento che traspariva dal culto del Graal che piano piano mi rivelava i suoi misteri. Il rosone che tanto mi aveva colpito celava codificate altre informazioni segrete. Innanzitutto, il simbolo massonico del compasso era un esplicito richiamo a dottrine segrete di immortalità e rinascita, ma anche, secondo alcuni studiosi, custode di un’antichissima filosofia risalente all’antico Egitto e che coinvolgeva i Faraoni e Gesù, guardiani dell’antica cerimonia di resurrezione dei vivi e dell’importanza di innalzare lo spirito umano come se fosse in un tempio. In quest’ottica il calice indica anche che, per innalzarsi al cielo, occorre riunire gli opposti e fecondare la propria anima con la conoscenza, per costruire dentro di se il tempio Sacro. Nel rosone, inoltre, le donne serpente circondano la stella a otto punte. Questa è la vera eredità delle regine dragone: la conoscenza stellare come conoscenza sacra. La stella con otto punte simboleggia, infatti, il pianeta Venere, la stella del Mattino o stella della sera che per otto fasi lunari torna in un punto specifico del cielo, ogni otto anni. Nella mitologia greca fu associata ad Afrodite la dea della bellezza, della fertilità, della sessualità e della pace. Nella regione del Tigri e dell’Eufrate era invece collegata a Inanna, Isthar e Astarte anche loro Dee dell’amore e della sessualità. Il quattro, il numero delle regine dragone, indica ciò che è intangibile, il terrestre ed è in associazione al quadrato, l’equilibrio psichico. La Dea è colei che dà origine e solidità al mondo ma è anche colei che dando vita e forma, è eterna e infinita. La donna serpente o dragone, rappresenta Melusina, colei che regge il Graal quindi colei che dona vita e conoscenza. Tutti questi elementi riportano alla tradizione dei Rex Deus, i re-sacerdoti custodi di queste conoscenze mistico astronomiche

Da: Chi ha orecchie per intendere intenda - Simboli e segni della chiesa del Graal di Anonimo


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