venerdì 27 gennaio 2012

Le Salighe - il loro aspetto



A Campitello abitava un contadino che andava a far il fieno nell’alta Val Duron.
Una volta, mentre era seduto all’ombra a riposare, vide un gruppo di bellissime fanciulle che scendevano dal Passo e si fermavano a raccogliere erbe e fiori, proprio sul suo prato. La cosa più fantastica era che queste ragazze sembravano essere fatte di vetro, tanto erano trasparenti.
I raggi di sole passavano attraverso di loro senza fermarsi, così che le fanciulle non avevano ombra.
Talora, invece le Selvatiche indossano un vestito bianco, come in questa storia.
Nel Bosco Bacher, vicino a Novaponente (Deutschnofen), si vedeva a volte una minuscola ragazzina, con una veste bianca come la neve. Chi meno se lo aspettava se la trovava proprio davanti agli occhi, a camminare lungo la via del bosco, di giorno come di notte, leggera, a passare sopra i ruscelli senza che il suo piede avesse bisogno di cercare un punto d’appoggio.
A volte, invece le Donne Selvatiche portano anche vestiti neri; spesso indossano per anni gli stessi stracci. Per esempio, non lontano dal castel Ehrenburg, c’è una roccia che ha una caverna, nella quale abitano tre vergini vestite di nero.
Secondo una saga di una zona di confine, un contadino di bosco di Hohenhart, nell’Engadina, aveva preso ai suoi servizi una bella ragazza bionda. Questa ragazza viveva solo di latte fresco e aveva mani così delicate che non la si poteva usare per nessun altro lavoro che per filare il lino.
In questo loro filare e tessere teli di lino, le Selvatiche a volte li buttano in aria e li appendono sui raggi del sole, per renderli più chiari. Spesso si vede la loro conocchia splendere fino giù, nella valle, e a volte i loro lini bianchi, appesi nell’aria, volano sulla testa dei contadini di sotto.
Sul Collio, una zona collinare vicino a Gorizia, di notte spesso si alza un vento che preannuncia la venuta di queste fanciulle speciali. È allora che, nel buio, scendono a valle le Vile, le Selvatiche che stanno da quelle parti.
I loro vestiti trasparenti scintillano come diamanti. Sul fondo del prato si danno la mano e prendono a danzare un girotondo. Poi, al sorgere del sole, perdono i loro gioielli; le pietre preziose si staccano dai veli ondeggianti e diventano allora la brina del prato.
Alcune caverne del Carso portano nomi come “Vila” e “Vilenica” presso Corgnole; pare che lì, appunto, vivano le Vile. Fra gli slavi del Sud si pensa che le Vile siano anime mature di un albero, che possono esteriorizzarsi al di fuori di esso; allora vanno ad abitare in caverne di montagna o di roccia. J.N. Ritter von Alpenburg descrive le Vile slave con occhi neri, disposte a incontrarsi volentieri con i guerrieri e vendicative. Al contrario delle Salighe, che hanno occhi azzurri, incontrano pastori e contadini e sono pazienti.
Ecco già, da questi racconti, delinearsi alcuni tratti delle Donne Selvatiche.
Luminosità, leggerezza, relazione con i colori chiari: il lino viene appeso ai raggi del sole perché diventi più bianco.
Trasparenza, luce, luna, danza. E il cerchio, la totalità femminile.
Non la competizione fra donne, per la carriera o l’immagine, ma il girotondo, danzato in fondo al prato, nella notte rischiarata dalla luna. Tutte forme di bellezza, splendore, forza, allegria, armonia, che la Bella Selvatica, raccontata in queste storie, può offrire a quelle donne, e a quegli uomini, che oggi si sentono lontani da queste energie.
Nelle saghe loro dedicate si ricorda spesso che “le Donne Selvatiche ballano e cantano volentieri”. Zone in cui le Salighe ballavano frequentemente erano quelle sul Muehlegg (angolo del mulino) e nel Taufnerbruennel (accanto alla Val Sugana).
Erano vestite in modo splendido, e partecipavano alla danza con perfetta armonia di movimenti ed espressione. I ragazzi che vedevano questo spettacolo avrebbero dato qualsiasi cosa per ballare con loro, ma solo quelli davvero molto bravi avevano la fortuna di poter partecipare alle danze.
Spesso il canto è la forza che stabilisce il contatto profondo tra le Selvatiche e gli uomini. È ancora il canto, e la musica, che le richiama alla natura, e alla compagnia delle altre Donne Selvatiche.
L’intervento delle Selvatiche sul mondo si può vedere, secondo Marius Schneider, ne Il significato della musica, come la manifestazione successiva di tre potenze. “La prima è la potenza della voce (il canto, la parola); la seconda è la trasformazione e la materializzazione di tale forza cantata in energie di nutrizione; la terza costituisce facoltà di procreazione.”
Dunque: cantare, mangiare e procreare (rispettivamente: la vita spirituale, vegetativa e sessuale), sono tre aspetti di una stessa forza creatrice elementare. Queste donne, prima cantano, quindi si occupano della nutrizione, fisica e spirituale, degli uomini, e infine si riproducono, per poi tornare alla forza creatrice elementare da cui provengono.
Tutto, però, comincia dal canto. Come ricorda D.H. Lawrence. “Ears can hear deeper than eyes can see” (L’orecchio può sentire più profondamente di quanto gli occhi possano vedere).
Incontrare la Donna Selvatica, fuori e dentro di noi, è anche questione di aprire bene le orecchie e saper ascoltare.
Le Donne Selvatiche vengono spesso chiamate Vergini, Vergini Beate, Vergini Felici.
Nelle culture tradizionali, come quella alpina cui queste saghe appartengono, è frequente la credenza che la vergine possegga qualcosa di misterioso, che eserciti la sua potenza sugli avvenimenti e le cose della terra. L’antica cultura delle valli alpine, come tutta la cultura tradizionale germanica, non si riferisce però alla verginità fisica, sessuale. La Selvatica è vergine perché è colei che sa serbarsi, che è capace di riservatezza e di segreto, che custodisce qualcosa che sta crescendo e divenendo. È la donna che porta in sé il futuro, in quanto giovane e psicologicamente intatta, quindi in grado di “essere una con se stessa” (vedi anche http://damadiavalon.blogspot.com/2011/07/le-vergini-antiche.html).
La stessa concezione la troviamo nelle saghe germaniche narrate nell’Edda, il grande poema mitico dell’antica cultura tedesca. Anche la potenza delle Valchirie, definite “vergini”, non è affatto legata alla verginità fisica. Ciò che invece conta nel mondo germanico, e in genere nordico, è l’innocenza (Unschuldig), il non essere stati “toccati” dal male, non provarne piacere: un’integrità morale, non necessariamente fisica. Questa innocenza è, nella credenza popolare tedesca, portatrice di una particolare forza: l’innocente sa fare più di altri, può difendersi dal male, e anche risolvere situazioni compromesse, sciogliendole. Viene richiesta la forza dell’innocente per liberare una vergine intatta o per avere un tesoro.
Nel Parzival l’eroe sposato amministra il santuario del Graal con le “vergini” portatrici della Coppa, e la più influente di esse è chiamata la “Dispensatrice di gioia” (Repense de joie). Questo atteggiamento di apprezzamento per la giovane psicologicamente “vergine” rappresenta la giusta devozione davanti a ciò che sta crescendo, alle forze non ancora liberate della gioventù, e in particolare del femminile che si dischiude. Un campo di energie che si esprime anche nelle tradizioni popolari dei riti di fertilità, molti dei quali sono continuati nelle Alpi anche sotto forme cristiane.
L’energia magica e apportatrice di fortuna della “vergine” selvatica” la troviamo nelle immagini, più volte riproposte in questi racconti, delle vergini bianche, delle beate fanciulle, delle vergini che ballano e cantano, che aiutano,che curano, che avvertono, che donano, che amano.
Perfino dee materne, come Nerthus-Frea-Frigg, diventano aiutanti virginali. Come del resto, nella mitologia greca, è materna, e insieme vergine, la fanciulla dei boschi Artemide, figura psicologicamente molto vicina alla Donna Selvatica. Persino la dea più materna, il Sole, che nella mitologia tedesca è di genere femminile, diventa una vergine: potente e intatta.

Da: Donne selvatiche di Claudio Risé e Moidi Paregger

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