mercoledì 6 aprile 2011

L'ortica nelle fiabe - I cigni selvatici di Hans Christian Andersen (prima parte)


Di questa fiaba ricordavo solo una fanciulla che tesseva le ortiche sopportando il dolore che tale attività recava alle sue povere mani, non l’ho nemmeno cercata perché non avrei nemmeno saputo come fare, eppure me la sono trovata davanti cercando qualcos’altro, probabilmente è lei che cercava me.

M
olto lontano da qui, dove le rondini volano quando qui viene l'inverno, viveva un re con undici figli e una figlia, Elisa. Gli undici fratelli, che erano principi, andavano a scuola con la stella sul petto e la spada al fianco; scrivevano su una lavagna d'oro usando punte di diamante e sapevano leggere bene i libri e recitare a memoria: si capiva subito che erano principi. La loro sorella, Elisa, stava seduta su uno sgabellino di cristallo e guardava un libro di figure che valeva metà del regno.

Oh! quei bambini stavano proprio bene, ma la loro felicità non poteva durare per sempre!
Il padre, re dell'intero paese, si risposò con una principessa cattiva che non amava affatto quei poveri bambini, e loro dovettero accorgersene fin dal primo giorno.
Al castello c'era una grande festa e i bambini giocavano a farsi visita, ma invece di dar loro tutte le torte e le mele al forno che riuscivano a mangiare, la matrigna gli diede solo della sabbia nelle tazze da tè e disse di far finta che fosse qualcosa di buono.
La settimana successiva trasferì Elisa in campagna da alcuni contadini e non passò molto tempo che riuscì a far credere al re cose molto brutte sui poveri principini, così che egli non si preoccupò più di loro.
Volatevene via per il mondo e arrangiatevi da soli!” disse la regina cattiva. «Volate via come grandi uccelli senza voce!”; non riuscì tuttavia a far loro tutto il male che avrebbe voluto: i principini si trasformarono in undici bellissimi cigni selvatici. Con uno strano verso si sollevarono e andarono via dal castello verso il parco e il bosco.
Era ancora mattino presto quando arrivarono alla casa dei contadini in cui abitava la sorellina Elisa; dormiva ancora, e loro volarono un po' sopra il tetto, girarono il collo da ogni parte e batterono le ali, ma nessuno li vide né li sentì! Dovettero riprendere il volo, in alto verso le nubi, lontano nel vasto mondo, finché giunsero a una immensa e oscura foresta che si stendeva fino alla spiaggia.
La povera Elisa giocava nella casa dei contadini con una foglia verde: non aveva altri giocattoli; fece un buco nella foglia e guardò attraverso, verso il sole: le sembrò di vedere i begli occhi chiari dei suoi fratelli, e ogni volta che i caldi raggi del sole le illuminavano il viso, pensava alle loro carezze.
Passarono i giorni, uno uguale all'altro. Quando soffiava tra i cespugli di rose davanti alla casa, il vento sussurrava alle rose: “Chi può essere più grazioso di voi?” e le rose scuotevano la testa e dicevano: “Elisa”. E quando la vecchia contadina, la domenica, seduta sulla soglia, leggeva il libro dei salmi, il vento girava le pagine e chiedeva al libro: “Chi può essere più devoto di te?” e il libro rispondeva: “Elisa”, e quello che le rose e il libro dei salmi dicevano era la pura verità.
Quando compì quindici anni, Elisa venne richiamata al castello; e appena la principessa vide che la ragazza era così bella, cominciò a odiarla crudelmente. Avrebbe voluto trasformare anche lei in cigno selvatico, proprio come i fratelli, ma non osò farlo, perché il re voleva vedere la figlia.
Di primo mattino la regina si recò nel bagno, costruito in marmo e decorato con soffici cuscini e bellissimi tappeti; lì prese tre rospi, li baciò e disse al primo: “Mettiti sulla testa di Elisa, quando entrerà nella vasca da bagno, e rendila indolente come te! Tu invece devi saltarle in fronte” disse al secondo rospo “così che diventi orribile come te e suo padre non la riconosca! E in quanto a te, devi metterti sul suo cuore” sussurrò al terzo animale “e renderla tanto malvagia che ne soffra lei stessa!”. Intanto fece scivolare i tre rospi nell'acqua limpida, che subito divenne verdognola; poi chiamò Elisa, la svestì e la fece entrare nella vasca da bagno; mentre lei si immergeva i tre rospi saltarono uno sul suo capo, uno sulla fronte e l'ultimo sul cuore, ma Elisa sembrò non accorgersene neppure. Quando si rialzò, galleggiavano nell'acqua tre papaveri rossi; se gli animali non fossero stati velenosi e baciati dalla strega, si sarebbero trasformati in rose rosse; ma divennero comunque fiori soltanto perché avevano riposato sul suo capo e sul suo cuore; Elisa era così pura e innocente che i sortilegi non avevano alcun effetto su di lei.
Quando la cattiva principessa lo vide, spalmò la ragazza con succo di noci, per scurirle la pelle; poi le unse il viso con un unguento puzzolente e le arruffò i capelli: ora era assolutamente impossibile riconoscere la bella Elisa.
Infatti suo padre, vedendola, inorridì e dichiarò che quella non poteva essere sua figlia. In realtà nessuno la riconobbe, a parte il cane da guardia e le rondini, ma quelli erano dei poveri animali e non aveva alcuna importanza ciò che dicevano.
La povera Elisa cominciò a piangere pensando ai suoi undici fratelli che erano lontani. Malinconica, uscì dal castello e camminò per tutto il giorno per campi e paludi finché giunse nel grande bosco. Non sapeva dove si trovava, ma era molto triste e provava una grande nostalgia dei fratelli, che sicuramente erano stati cacciati via dal castello come lei, e decise che li avrebbe ritrovati a tutti i costi.
Era giunta da poco tempo nel bosco quando sopraggiunse la notte; aveva perso la strada e così sedette sul morbido muschio, recitò la preghiera della sera e appoggiò la testa a un tronco d'albero. C'era una grande quiete e l'aria era mite, e sull'erba e tra il muschio si accendevano centinaia di lucciole; quando Elisa con delicatezza sfiorò un ramoscello con la mano, quegli insetti luminosi caddero su di lei come stelle.
Per tutta la notte sognò i suoi fratelli, sognò di quando da bambini giocavano insieme e di quando scrivevano con la mina di diamante sulla lavagna d'oro e guardavano il bel libro illustrato che era costato metà del regno. Ma sulla lavagna non scrivevano più, come allora, le aste e gli zeri, ora disegnavano le affascinanti avventure che avevano vissuto e tutto quel che avevano visto.
Gli uccelli cantavano, i personaggi uscivano dal libro illustrato e chiacchieravano con Elisa e con i suoi fratelli, ma quando lei girava pagina, ritornavano dentro di corsa per non creare confusione tra le figure.
Quando si svegliò, il sole era già alto nel cielo; in verità lei non riusciva a vederlo, perché gli alti alberi si allargavano sopra di lei con rami fìtti e folti, ma i raggi penetravano tra le foglie formando un velo d'oro svolazzante. C'era un buon profumo d'erba e gli uccelli quasi si posavano sulle sue spalle. Elisa sentiva il gorgoglio dell'acqua, perché c'erano diverse sorgenti che sfociavano in un laghetto con il fondo di bellissima sabbia. Tutt'intorno crescevano fitti cespugli, ma in un punto i cervi avevano creato un'apertura e da lì Elisa arrivò fino alla riva. L'acqua era così limpida, che se il vento non avesse mosso i rami e i cespugli, lei li avrebbe creduti dipinti sul fondo, si rispecchiava nell'acqua ogni singola foglia, quelle illuminate dal sole e quelle in ombra.
Quando vide riflesso il proprio volto Elisa si spaventò, tanto era nera e brutta, ma non appena si toccò gli occhi e la fronte con la mano bagnata, subito la pelle chiara ricomparve. Allora si tolse i vestiti e si immerse nell'acqua fresca, una figlia di re più bella di lei non si trovava in tutto il mondo.
Poi si rivestì di nuovo e si intrecciò i lunghi capelli, andò verso la sorgente zampillante e bevve dal cavo delle mani, e si diresse nel bosco, senza sapere dove andare. Pensava ai suoi fratelli, pensava al buon Dio che certamente non l'avrebbe abbandonata, lui che fa crescere le mele selvatiche per dar da mangiare agli affamati. Elisa trovò infatti uno di questi alberi, con i rami piegati per il gran peso dei frutti; ne mangiò, poi mise dei sostegni sotto i rami e s'incamminò nella parte più buia del bosco. C'era un tale silenzio che sentiva il rumore dei suoi passi, sentiva ogni singola foglia secca che scricchiolava sotto i suoi piedi, non si vedeva un uccello e neppure un raggio di sole riusciva a passare attraverso i fitti rami degli alberi: i tronchi alti erano così vicini tra loro che quando guardava davanti a sé, le sembravano una inferriata che la tenesse prigioniera; per la prima volta provava una solitudine tanto profonda!
La notte fu proprio buia, neppure una lucciola brillava nel muschio; allora, tristemente, Elisa si sdraiò per dormire; le sembrò che i rami degli alberi si traessero da parte e che il buon Dio la guardasse con dolcezza, mentre gli angioletti gli facevano capolino sopra la testa e sotto le braccia.
Quando si risvegliò al mattino non seppe dire se aveva sognato o se tutto era veramente accaduto.
Si incamminò, ma dopo pochi passi incontrò una vecchia che portava bacche selvatiche in un cestello. Questa gliele offrì e Elisa le chiese se aveva visto undici principi cavalcare per il bosco.
“No” rispose la vecchia “ma ieri ho visto undici cigni con una corona in testa, che nuotavano nel fiume che passa qui vicino!”
E condusse Elisa verso un pendio in fondo al quale scorreva un fiume; gli alberi più grandi stendevano i loro lunghi rami folti verso quelli degli alberi dell'altra riva, con cui si intrecciavano; le piante che non erano cresciute abbastanza per toccarsi, avevano divelto le radici dal terreno e si sporgevano più che potevano sull'acqua per intrecciare i rami con quelli delle altre piante.
Elisa salutò la vecchia e s'incamminò lungo il fiume, finché questo non sfociò nella spiaggia aperta.
L'immenso mare si stendeva ora davanti alla fanciulla, ma non c'era né una vela né una barchetta. Come poteva proseguire? Cominciò a guardare gli innumerevoli ciottoli che si trovavano sulla spiaggia, l'acqua li aveva tutti levigati, vetro, ferro, pietra, tutto quello che era stato depositato sulla spiaggia era stato levigato dall'acqua, che pure era molto più delicata della pelle delle mani!
“L'acqua è instancabile nel suo lavoro e così riesce a smussare gli oggetti più duri; anch'io voglio essere altrettanto instancabile! Grazie per quanto mi avete insegnato, chiare onde fluttuanti; un giorno, me lo dice il mio cuore, voi mi porterete dai miei cari fratelli!"
Tra i relitti portati dall'onda, c'erano undici bianche piume di cigno; lei le raccolse e ne fece un mazzetto, e vide delle goccioline d'acqua, ma chi poteva dire se erano lacrime o gocce di rugiada? Elisa era sola sulla spiaggia, ma non soffriva di solitudine, il mare infatti era in continuo mutamento, si trasformava in poche ore più volte che non un lago nell'arco di un anno intero. Se sopraggiungeva una grande nuvola nera, allora il mare sembrava dire: "Posso anche oscurarmi!", quando soffiava il vento le onde mostravano il bianco, se il vento calava e le nubi erano rosse, allora il mare diventava liscio come i petali di rosa; poi si faceva ora verde ora bianco, ma per quanto potesse stare calmo c'era sempre un lieve movimento lungo la riva, l'acqua si sollevava dolcemente, come il petto di un bambino che dorme.
Mentre il sole tramontava Elisa vide undici cigni bianchi con le corone d'oro in testa volare verso la riva; allineati com'erano uno dietro l'altro, sembravano un lungo nastro bianco. Elisa si arrampicò sulla scarpata e si nascose dietro un cespuglio: i cigni si posarono vicino a lei e sbatterono le loro grandi ali bianche.
Non appena il sole scomparve nel mare, i cigni persero il loro manto di piume e apparvero undici bellissimi principi, i fratelli di Elisa! Lei mandò un grido perché, benché fossero cambiati molto, sentiva che erano loro; si precipitò nelle loro braccia chiamandoli per nome, e loro, riconoscendo la sorellina che si era fatta così grande e bella, si rallegrarono immensamente. Ridevano e piangevano, e subito si resero conto di quanto la matrigna fosse stata cattiva con loro.
“Noi fratelli” spiegò il più grande “voliamo come cigni finché è giorno; non appena il sole è calato, assumiamo le sembianze di uomini: per questo dobbiamo badare bene a avere un luogo per posare i piedi, quando è l'ora del tramonto. Infatti, se in quel momento stiamo ancora volando tra le nuvole, diventando uomini, precipiteremmo giù. Noi non abitiamo qui, c'è un altro paese altrettanto bello, dall'altra parte del mare; ma la strada per arrivare fin là è lunga, dobbiamo attraversare l'immenso mare e non c'è neppure un'isola su cui posarci e passare la notte, solamente un unico scoglio, molto piccolo, che affiora: soltanto stringendoci riusciamo a starci tutti e quando il mare è mosso, l'acqua ci spruzza, ma nonostante ciò ne ringraziamo Dio. Lì passiamo la notte nelle sembianze di uomini e senza quello scoglio non potremmo mai rivedere la nostra cara terra natale, perché utilizziamo i due giorni più lunghi dell'anno per compiere il viaggio. Solo una volta all'anno ci è permesso visitare la nostra patria e possiamo restare qui solamente undici giorni. Allora voliamo sopra questa grande foresta e rivediamo il castello dove siamo nati e dove nostro padre ancora vive, scorgiamo anche il campanile della chiesa dove nostra madre è sepolta.
“Un richiamo del sangue ci lega a questi alberi e a questi cespugli, qui cavalcano per le praterie i cavalli selvaggi, proprio come ai tempi della nostra infanzia, qui i carbonai cantano le vecchie canzoni al cui ritmo noi ballavamo quand'eravamo piccoli; questa è la nostra cara patria che ci chiama a sé, e qui abbiamo ritrovato te, cara sorellina! Possiamo rimanere ancora due giorni, poi siamo costretti a partire per quella bella terra, che però non è la nostra patria! Come facciamo a portarti con noi? Non c'è una vela né una barca!”
“Come posso fare per salvarvi?” esclamò la sorellina.
Continuarono a parlare per quasi tutta la notte, dormendo solo poche ore.
Elisa fu svegliata dal rumore delle ali dei cigni, che sibilavano sopra di lei. I suoi fratelli si erano già trasformati di nuovo e volavano in larghe spirali, e presto scomparvero; ma uno di loro, il più giovane, rimase con lei; posò il suo capo di cigno sul suo grembo e lei gli accarezzò le bianche ali. Rimasero insieme tutto il giorno, verso sera ritornarono gli altri, e quando il sole scomparve ripresero la loro forma umana.
“Domani partiremo e non potremo tornare prima che sia passato un anno intero, ma non possiamo lasciarti così! Hai il coraggio di venire con noi? Le nostre braccia sono abbastanza robuste da portarti per il bosco, quindi anche le ali saranno abbastanza forti da portarti con noi sul mare!”
“Sì, portatemi con voi!” supplicò Elisa.
Per tutta la notte intrecciarono una rete con la corteccia flessibile del salice e dei giunchi pieghevoli, e la rete riuscì grande e robusta; Elisa vi si adagiò sopra e quando il sole sorse, i fratelli si trasformarono in cigni selvatici, afferrarono la rete con il loro becco e si sollevarono tra le nuvole con la cara sorellina che ancora dormiva. I raggi del sole le cadevano dritti sul capo, allora uno dei cigni volò proprio sopra di lei perché le sue ampie ali le facessero ombra.

(continua
)

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